Futuro, innovazione, qualità sono stati solo alcuni dei temi affrontati nell'ambito del 67° Congresso nazionale di Assoenologi, che si è svolto dal 3 al 7 giugno 2012 a bordo della Costa Atlantica, in navigazione da Savona verso Ibiza.

Dopo l'Inno di Mameli e la lettura del telegramma di augurio e di saluto tradizionalmente inviato dal Capo dello Stato, l'incontro si è aperto con relatori di primissimo piano. Il ministro delle Politiche agricole, Mario Catania, ha rimarcato che "il settore deve ancora fare molta strada, perché sui mercati mondiali nulla è acquisito”, mentre il presidente della Commissione agricoltura del Parlamento europeo Paolo De Castro ha ribadito il suo impegno nel "difendere i diritti di impianto e per mantenere l'importante risorsa finanziaria che il vino italiano ha nel mondo". Hanno poi preso il microfono i rappresentanti di organizzazioni del settore, sia italiane sia europee.

La cerimonia inaugurale si è conclusa con la consegna della Targa d'Oro - un riconoscimento che Assoenologi ha istituito nel 1969 con lo scopo di riconoscere i giornalisti che nel tempo si siano particolarmente distinti per professionalità e corretta comunicazione in particolare nel settore vitivinicolo - ad Alberto Maccari, direttore del Tg1.

 

Cambiamento climatico, in Italia il Merlot rischia la scomparsa

"E' inutile girare attorno alla questione: il Merlot è a rischio estinzione", ha spiegato l'enologo Riccardo Cotarella. Sono infatti i vitigni a maturazione più precoce a soffrire maggiormente dell'innalzamento delle temperature registrato negli ultimi anni.

Bisogna quindi sapere gestire il fenomeno, studiandolo, per poi avvalersi della tecnologia. Afferma Cotarella: "Se gestito bene il clima che cambia, da rischio, diventa solo una delle variabili su cui intervenire per ottenere buoni risultati, anche migliori di prima, nel vino”.

 

Cina, da mercato per l'export a competitor dei vini made in Italy?

Sempre di più la Cina fa parlare di sé. Un mercato da presidiare, ma da cui è necessario iniziare a guardarsi le spalle. "I cinesi si stanno attrezzando per aggredire i mercati di sbocco italiani”, ha dichiarato il direttore generale di Assoenologi, Giuseppe Martelli. La Cina, ha ricordato nel suo intervento, è il Paese che impianta di più al mondo ed è giunta a produrre ben 30 milioni di ettolitri di vino all'anno, poco meno della metà della produzione complessiva italiana.

La produzione cinese è per ora limitata al consumo interno, ma presto o tardi avrà bisogno di nuovi sbocchi: i primi mercati di destinazione, secondo le previsioni di Assoenologi, saranno probabilmente quelli asiatici, dove il modo di intendere il vino è per ovvie ragioni culturali (e, perché no, anche culinarie) più simile a quello cinese che a quello europeo.

Per adesso il pericolo è scongiurato, affermano gli enologi, ma è necessario ripensare il modo di porsi sui mercati stranieri. Il vino italiano piace ed è il più venduto nel mondo, ma l'Italia non può permettersi di dormire sugli allori.

"Dobbiamo muoverci compatti per penetrare meglio in quei mercati dove l'Italia non è in posizione dominante", ha sottolineato nel corso del suo intervento Ettore Nicoletto, amministratore delegato del gruppo Santa Margherita. La carta vincente, rilancia Nicoletto, è quella dell'abbinamento del vino al cibo. "Un nostro patrimonio esclusivo, che può diventare il cappello comune sotto il quale unire le imprese italiane e conquistare nuove fette di mercato”.

"Nel mondo oggi si mangia italiano e non più francese” ha concordato Serge Dubois. presidente dell'Union internationale des Oenologues ."L'Italia non è consapevole della qualità dei propri vini e nemmeno del potenziale che questi, assieme all'abbinamento del cibo, possa avere in termini di penetrazione sui mercati”. Il vino italiano inizia a fare paura al mercato francese, ha poi concluso Dubois, ricordando che in Quebec, dove i legami con la Francia sono secolari, c'è stato lo storico sorpasso dei vini italiani su quelli francesi.

Giordano Zinzani, direttore enologia di Caviro, si è poi soffermato sulle potenzialità del vino italiano non di alta gamma, che è e dovrà essere sempre più di qualità, ovviamente rapportata alla fascia di consumo e di prezzo. "Il Tavernello – ha spiegato Zinzani –, con le sue eccellenti performance in Italia e all'estero, ne costituisce un significativo esempio”.

 

Parola d'ordine: razionalizzare

Tagliare i costi in vigna e in cantina, senza compromettere la qualità del vino, ma anzi migliorandola, è possibile. "Innanzitutto abbattere i tempi di lavorazione, potenziando la meccanizzazione delle operazioni colturali” ha spiegato il direttore generale Martelli. Favorire l'introduzione di macchine, per esempio, consente di abbattere le ore di lavoro manuale, passando dalle 300 ore per ettaro alle 20-30 ore.

Come ha spiegato nel corso del suo intervento Luigi Bonato, direttore di Evoluzione Ambiente, grazie a macchine sempre più affidabili, calibrate e sofisticate, e a strumenti basati sul Gps, sono possibili interventi precisi e mirati in ogni fase, dall'impianto alla vendemmia, passando per la potatura ed i trattamenti, con dati puntuali su ogni area del vigneto.

In questo contesto, però, i produttori vitivinicoli italiani si muovono ancora troppo lentamente: in Italia esistono solo 2.000 vendemmiatrici meccaniche, contro le 20.000 in Francia.

I costi si abbattono anche riducendo la burocrazia, vera croce delle imprese italiane. Secondo Paolo Peira, direttore di Antesi, un direttore di cantina dedica oltre il 20% del proprio tempo a carte e bolli: tempo prezioso sottratto alla sua attività professionale. La proposta di Assoenologi? L'autocertificazione.

 


La platea del del 67° Congresso nazionale di Assoenologi

 

Il punto sul settore vitivinicolo italiano

Giuseppe Martelli, che oltre a ricoprire la carica di direttore generale di Assoenologi è anche presidente del Comitato nazionale vini del Mipaaf, ha fatto il punto sulla situazione del settore vitivinicolo italiano e internazionale.

La produzione mondiale di vino è, secondo la media dell'ultimo quinquennio, di 270 milioni di ettolitri, di cui il 60% prodotto nell'Unione Europea. Il 17% della produzione mondiale e il 17% di quella europea provengono da vigneti italiani.

"Nel 2011 l'Italia ha prodotto 40,6 milioni di ettolitri di vino, contro una media decennale di 46,4 milioni. Questo conferma che la produzione media italiana si sta decisamente contraendo - spiega Giuseppe Martelli - Basti pensare che nel decennio 1992-2001 era di quasi 58 milioni ettolitri, nel decennio 2002-2011 è scesa a poco più di 46 milioni mentre negli ultimi 5 anni si è stabilizzata intorno a 44,4 milioni di ettolitri".

Tutto questo trova conferma nell'abbattimento della superficie di uva da vino che nel 1980 era di 1.230.000 ettari, nel 1990 era scesa a 970.000 ettari e oggi è di 694.000 ettari (dati Istat). In poco più di vent'anni sono quindi andati persi 276.000 ettari, più di quanti ne possiedono oggi la Lombardia, la Puglia e la Sicilia insieme. E' difficile stabilire un giudizio univoco su questo calo: per alcuni è un dramma, per altri un bene. Le loro argomentazioni? E' inutile produrre quello che il mercato non vuole e, oggi più che mai, è pericoloso produrre male.

Quello dell'abbattimento delle produzioni non è un fenomeno solo italiano, ma anzi è evidente in tutti i Paesi tradizionalmente produttori.

"L'Unione europea, solo negli ultimi 5 anni (2007/2011) ha perso ben il 12,4% della sua potenzialità produttiva - spiega il direttore di Assoenologi - passando da 3.792.000 ettari a meno di 3.600.000 ettari con cali di oltre l'11,5% in Spagna e il 6 % in Francia". Diversa la situazione nell'area extra comunitaria dove l'andamento della superficie vitata è alquanto diversificata: "Stati Uniti d'America e Brasile fanno registrare una crescita zero: Nuova Zelanda, Cina, Australia e Cile sono cresciute tra l'1 e il 6%in 5 anni; Argentina e Sudafrica sono calate da 1 a 3,5 punti percentuali”.

Parlando di consumi in Italia, in base ai dati elaborati da Assoenologi, oggi siamo a 42 litri procapite, contro i 45 del 2007 e con una tendenza a un ulteriore decremento. Anche questo trend riguarda tutti i Paesi tradizionalmente produttori. La Spagna scende dai 29,4 litri del 2007 agli attuali 21,8 (-27,4%) e la Francia passa da 52 a 47,4 litri (-10%); in controtendenza solo il Portogallo.

Di fronte a questi dati Martelli asserisce che l'unica strada percorribile rimane l'export, che nel 2011 ha registrato un incremento del 12% in valore e del 9% in volume rispetto al 2010.