Nonostante nessuna formale richiesta fosse pervenuta al ministero presieduto da Giancarlo Galan, il 7 gennaio scorso il ministro ha ricevuto una delegazione di lavoratori extracomunitari che, ad un anno dalla rivolta avvenuta nel comune di Rosarno, in provincia di Reggio Calabria, hanno manifestato contro le condizioni di lavoro nero e di mancanza di sicurezza cui molti di essi devono sottostare per trovare impiego come braccianti nei nostri campi.
“Con l’occasione dell’incontro, ritengo di dover sottolineare il valore sia politico che etico, nonché sociale, di questioni che coinvolgono lavoratori extracomunitari impegnati in agricoltura, siano questi regolari oppure clandestini” sono state le parole del ministro, che ha aggiunto “non è accettabile chiudere gli occhi di fronte a episodi di violenza e di sfruttamento. Si tratta di questioni assai rilevanti e che andrebbero affrontate con interventi e decisioni coordinate tra il ministero delle Politiche agricole, il ministero degli Affari regionali, dell’Interno e i presidenti di Regione interessati dal fenomeno”.
E' la stessa Coldiretti, presente al sit-in organizzato dall'Osservatorio migranti di Rosarno presso il Mipaaf, a ribadire la necessità di “rompere la catena dello sfruttamento che inizia con gli agrumi calabresi. Va combattuto senza tregua” prosegue l'associazione “il becero sfruttamento che colpisce la componente più debole dei lavoratori agricoli come gli immigrati, ma anche le imprese agricole oneste che subiscono la pressione di un contesto gravemente degradato, dovuto ad un doppio furto di identità e di valore, che subisce l’agricoltura italiana” riferendosi, in questo ultimo passaggio, ai succhi di frutta venduti coma made in Italy ma ottenuti, in realtà, da agrumi d'importazione con il risultato di lasciare la produzione nazionale – sottopagata - sugli alberi.
“Gli episodi che si verificarono a Rosarno hanno mostrato al Paese la situazione di invivibilità nella quale versano numerosi lavoratori immigrati stagionali” ha dichiarato il presidente di Confeuro, Rocco Tiso, che ha proseguito affermando che la crisi che sta colpendo duramente il settore agro-alimentare italiano, deve essere superata non solo attraverso l'adozione di necessarie manovre economiche di sostegno, ma altresì ribadendo con forza la legalità. “Nonostante i passi in avanti fatti nel territorio calabrese, con 800 stagionali immigrati contrattualizzati, c'è ancora molto da fare, specialmente sulla retribuzione spettante a questi lavoratori” ha concluso Tiso.
Un'idea, scaturita da osservazioni 'dal basso', di cosa è davvero cambiato un anno dopo Rosarno, ha cercato di fornirla Rete Radici costituitasi nel novembre 2010 allo scopo di monitorare le condizioni del lavoro agricolo nella piana di Gioia Tauro e dar voce alle rivendicazioni dei migranti.
La Rete, informale, costituita da Action - diritti in movimento, da Sud Onlus, Libera Piana e Tenda di Abramo, ha portato avanti da novembre 2010, un'azione di monitoraggio delle condizioni di vita e lavoro degli stagionali africani impiegati nelle campagne della Piana.
Il capillare lavoro sul territorio fatto di interviste e contatti diretti sia con lavoratori che con istituzioni e associazioni ha dato vita ad un dossier presentato a Reggio, la cui pubblicazione completa è prevista per fine gennaio.
Sono diversi i passaggi interessanti riscontrabili nelle pagine pubblicate in un anticipazione scaricabile al sito http://www.meltingpot.org/IMG/pdf/Dossier_RADICI_-_anticipazione.pdf.
Da una prima analisi quantitativa dei dati raccolti dalla Rete, emerge che la stima delle presenze stagionali di braccianti africani domiciliati sul territorio per l'anno in corso, è di circa 1.000 persone, provenienti per lo più da Mali, Costa d’Avorio, Guinea, Burkina, Ghana e Senegal.
Il dato, si legge nel rapporto, è “significativo perché siamo regrediti ai livelli di fine anni ‘90 con meno della metà di presenze rispetto agli ultimi anni e, in particolare rispetto all’anno passato, quello della rivolta (oltre 2.500 presenze)”.
Segno questo, secondo gli autori dello studio, della mancanza di lavoro, della paura di nuove persecuzioni e dei controlli divenuti di colpo intensi.
Le carte dell’inchiesta 'Migrantes' scattata nell’aprile 2010 e coordinata dalla procura di Palmi, hanno obbligato l’intero sistema di controllati e controllori nelle campagne della Piana, ad un cambio di passo e con l’avvio della nuova stagione della raccolta agrumicola se ne sono avuti i segnali.
L'intensificarsi di accertamenti, ispezioni e l'incremento di registrazioni ai Centri per l’Impiego hanno avviato una fase di 'normalizzazione': per la prima volta parecchi lavoratori migranti hanno un contratto, costituito però, ci spiega Alessio Mauri della Rete, da una semplice comunicazione al Centro per l'impiego.
Si tratta certo di un passo in avanti rispetto alla barbarie contrattuali degli anni scorsi, che però ha lasciato inalterate le condizioni sia di lavoro (20-25 euro per giornate da 8-10 ore in media) che del disagio abitativo.
I ghetti della Piana di Gioia Tauro-Rosarno dal 7 gennaio 2010 non esistono più; gli insediamenti dei braccianti africani, nella persistente assenza di un piano di accoglienza, sono ora molto meno visibili perché più piccoli (15-20 braccianti per insediamento) e confinati in casolari malmessi, vecchie case patronali e ruderi di campagna nascosti nel bel mezzo degli aranceti.
Di carabinieri e polizia, si legge nel rapporto, non hanno paura “siamo tutti regolari. Sono venuti qualche volta. Hanno guardato le carte e sono andati via”; i più fortunati hanno trovato un tetto in affitto.
Nonostante, dunque, l’apparente sterzata legalitaria nelle campagne si continua a lavorare in nero dal momento che, spiega il rapporto, una larga parte dei lavoratori stagionali africani presenti sul territorio, è in una situazione di limbo giuridico che gli garantisce il diritto a permanere sul suolo italiano, ma non quello ad un regolare contratto di lavoro.
La Piana di Gioia Tauro-Rosarno, rappresenta solo un pezzo dello scenario di sfruttamento e diritti negati delle campagne del Sud Italia ma, come si legge nel rapporto, “lavoro nero, emergenza abitativa e cattive condizioni igienico-sanitarie non cambiano se alle arance e alle clementine calabresi si sostituiscono i pomodori pugliesi o campani”.