A cura di Roberto Volpi

I prodotti agricoli appartengono a tre diverse categorie: a) quelli tipici, Dop, Igp, Doc Docg, i prodotti biologici (vini, formaggi, carni lavorate, nella grande maggioranza); b) quelli distribuiti allo stato naturale dai grossisisti e dettaglianti (frutta, agrumi, ortaggi, fiori); c) le materie prime per la industria alimentare.

I primi rappresentano il 10% del valore della produzione, i secondi il 26%, i terzi il 64%. Nove euro, dei dieci che incassa l’agricoltore italiano, provengono dalle commodities, ossia da beni sui quali egli è un “price taker” che subisce il prezzo generatosi dall’incontro fra la domanda e l’offerta.
I primi sono, anche se solo in parte, protetti dalla concorrenza di beni succedanei, tutti gli altri sono oggi
in diretta competizioni con la concorrenza europea ed estera.
Un tempo i prodotti che andavano direttamente al consumo godevano di vantaggi eccezionali, oggi lo sviluppo dei trasporti e delle comunicazioni ha eliminato del tutto anche questo beneficio.
Acquistiamo fiori e pomodori africani, frutta tropicale in diretta competizione con quella da noi prodotta.
Da questi dati nasce una primo quesito. I giornali che trattano di agricoltura e di alimentazione, i politici che illustrano temi della politica agraria, danno straordinaria enfasi ai prodotti di qualità, quelli tipici - che costituiscono una parte quasi marginale - ignorando, così almeno sembra - che il nostro Paese è un fornitore di materie prime alla industria alimentare che concorre per il 14% al totale export nazionale ed alle numerossime imprese della distribuzione.
E’ probabile che questa inspiegabile dimenticanza nasconda oltre che una carenza di idee, anche un certo imbarazzo.
E’ noto che la capacità di competere della nostra agricoltura in un regime di libero mercato e senza il sostegno dei prezzi, è assai limitata per ragioni che tutti conoscono.
Tuttavia non è corretto che politici e giornalisti non sappiano che il prodotto tipico ha oggi importanza economica quasi solo per i produttori di latte del Parmigiano reggiano e del Grana padano, per i suinicoltori di Parma e di Udine e per i viticoltori vinificatori dei Doc e Docg.
Questi ultimi poi, specialmente quelli più capaci e fortunati, con aziende situtate in determinate aree, non hanno difficoltà a commercializzare i loro vini.
Ignorando il problema non solo non lo si risolve, ma non lo elimina. E diverrà più complesso e di più difficile soluzione.
Sembra che molti ritengano che lo Stato, con i mezzi finzanziari delle collettività, sia capace di dare competività ed aumentare l'efficienza alla nostra agricoltura.
Bisogna aver chiaro che la ricchezza la creano solo ed esclusivamente le imprese, ma queste per innovare, per accrescere la produttività e i redditi, per essere in grado di rimanere sul mercato, devono avere condizioni esterne favorevoli.
Una burocrazia inefficiente, che ha prodotto una smisurata congerie di leggi e di norme che rendono la loro applicazione spesso discrezionale, infrastrutture non adeguate, ampi territori sottratti alla autorità dello Stato dalla malavita, la corruzione diffusa e altre problematiche, pongono l’Italia in fondo alle classifiche della World Bank e di International Transparency nella classifica mondiale riferita al “doing business” ossia al clima per fare impresa.
Vi è quindi in Italia una situazione assai sfavorevole per chi ha talento e volontà di creare ricchezza, ma questo argomento non trova spazio, probabilmente perché non gradito all'opinione pubblica.
Weber, nella nota lezione sulla professione del politico, affermava che egli chiede al popolo di acquisire, mediante il voto, il potere di governare la collettività solo ed esclusivamente per servirla. Per servirla ha il dovere di conoscere a fondo problemi ed esigenze.
Il dovere più pregnante del giornalista e caposaldo del diritto di cronaca, scrive un noto sito web specializzato, è il dovere di verità, considerato sia dalla L. n. 69/1963 che dalla stessa Carta dei Doveri quale “obbligo inderogabile”. Gli organi di informazione sono l'anello di congiunzione tra il fatto e la collettività.
Essi consentono alla collettività l'esercizio di quella sovranità che secondo l'art. 1 Cost. “appartiene al popolo”. Un'informazione che occulta o distorce la realtà dei fatti impedisce alla collettività un consapevole esercizio della sovranità.

 

 

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