Nel pomeriggio del 5 settembre scorso una grandinata di eccezionale violenza ha colpito una vasta area del comparto imolese (in particolare quello settentrionale e nordorientale, comprendente le località di San Prospero e Sasso Morelli): l'evento ha recato danni devastanti non solo alle colture ma anche alle infrastrutture, a causa della notevole dimensione dei chicchi (diametro medio di 3 cm, con picchi di oltre 5 cm).

Sul comparto imolese e faentino sono abbastanza comuni eventi grandinigeni, poiché queste zone vengono a trovarsi nella zona di convergenza nei bassi strati tra flussi sudoccidentali appenninici secchi, ed orientali o sudorientali adriatici molto umidi (dry-line) che, in condizioni di sufficiente instabilità atmosferica, supportano l'innesco di sistemi temporaleschi. Allo stesso tempo queste zone sperimentano raramente chicchi di grosse dimensioni (anche se talora i rovesci risultano abbondanti), come accade ad esempio, per quanto concerne la regione Emilia-Romagna, sul ferrarese, area che detiene il primato regionale di energia media di caduta per unità di superficie. Inoltre imolese e faentino vedono una maggiore frequenza di episodi grandinigeni nel periodo che va da maggio ad agosto (massima frequenza in giugno), mentre in settembre normalmente il fenomeno tende a farsi più raro. 

La grandine: come si forma

La grandine è definita come una precipitazione di ghiaccio solido i cui costituenti (chicchi) abbiamo un diametro superiore ai 0.5 cm.
Se le particelle di ghiaccio sono di dimensioni inferiori si parla di 'graupel', 'sleet', o altri termini tecnici.
La grandine è essenzialmente un fenomeno legato alla dinamica delle nubi, cioè ai movimenti, soprattutto verticali (ma non solo), che in esse hanno luogo. I meccanismi microfisici svolgono comunque un ruolo fondamentale per permetterne la formazione.

Affinchè si formi la grandine è necessaria la presenza di:

Intensi moti ascensionali (updraft), cioè correnti verticali che si dirigono dagli strati bassi alle alte quote (raggiungendo anche 10.000 m ed oltre alle nostre latitudini) in modo quasi 'esplosivo'.

Abbondante vapore acqueo nei bassi strati e quindi aria sufficientemente umida, almeno come condizione preesistente.


Schema semplificato di nube temporalesca generatrice di grandine.
Fonte: Dr. Fulvio Stel Arpa Fvg-Crma

I moti ascendenti non devono essere perfettamente verticali ma inclinati (shear verticale del vento). Lo shear verticale favorevole nel campo del vento è inteso come una variazione in velocità (aumento) ed in direzione (rotazione oraria) con la quota. Normalmente queste condizioni si hanno quando soffiano venti molto forti alle quote superiori (correnti a getto), e quando nei bassi strati atmosferici convergono masse d'aria da diverse direzioni e con diverse caratteristiche termo-igrometriche.

In questo modo le nubi temporalesche assumono un assetto 'inclinato', e ciò permette la coesistenza per lungo tempo delle correnti ascendenti (updraft) e discendenti (downdraft con annessi rovesci) senza che si 'disturbino' eccessivamente. Infatti nelle strutture perfettamente verticali le correnti discendenti fredde che trascinano verso il basso le precipitazioni tendono a 'soffocare' rapidamente la corrente calda ascendente decretando il collasso del temporale in poco tempo, e ciò è tipico di temporali di intensità debole o al massimo moderata.


L'azione di forti venti in quota (frecce azzurre) tende a far assumere assetto inclinato alle nubi cumuliformi (temporalesche), come si evince dalle immagini sopra (frecce arancioni).
Fonte: P. Randi, MeteoCenter

Il vapore acqueo deve essere 'confinato' preferibilmente nei bassi strati atmosferici (aria umida a bassa quota e secca alle quote superiori).

A questo punto subentra una particolarità piuttosto singolare: poiché l'acqua ha una tensione superficiale (relativamente) molto elevata, i suoi cambiamenti di stato ne sono sfavoriti e avvengono con maggiore difficoltà. (Nell'immagine a destra: l'insetto galleggia grazie alla tensione superficiale dell'acqua - Fonte: P. Randi, MeteoCenter). In pratica, per semplificare, si può affermare che il vapore acqueo 'fa fatica' a diventare liquido e l'acqua liquida 'fa fatica' a diventare ghiaccio. Nelle nubi è perciò molto frequente trovare contemporaneamente acqua liquida e ghiaccio anche a temperature di -10 o -15 °C e fino a -40°C (acqua sopraffusa); il ghiacciamento di tutte le particelle d'acqua avviene solo a temperature inferiori a -40°C.

L'acqua sopraffusa è però assai instabile: basta una minima sollecitazione per farla diventare rapidamente ghiaccio, cosa che avviene accompagnata dal rilascio del calore latente di solidificazione.


Cristallo di ghiaccio attorniato da goccioline sopraffuse.
Dr. Fulvio Stel, Arpa Fvg-Crma 

La formazione della grandine è dunque favorita dalla contemporanea presenza in seno alla nube temporalesca di abbondante acqua sopraffusa (liquida a temperature inferiori allo 0°C) e cristalli di ghiaccio.

Vista la sua complessità, il processo di formazione della grandine è stato compreso quasi perfettamente solo negli ultimi 15-20 anni.

La formazione della grandine è molto rapida: in circa 20-30 minuti dalla formazione della nube temporalesca si può avere grandine al suolo. L'intero processo si può suddividere in due fasi principali:
• Primo stadio (lento): formazione dell'embrione
• Secondo stadio (rapido): crescita del chicco
L'embrione, essendo piccolo (< 0.5 cm), può restare sospeso a lungo nelle nubi o passare da una nube all'altra. La crescita del chicco (che lo porterà al suolo) avviene quando l'embrione incontra molta acqua sopraffusa.

In dettaglio, i moti ascendenti (raffreddamento) favoriscono la 'condensazione' del vapore in tante goccioline. Il ghiaccio 'raccoglie' le goccioline d'acqua sopraffusa le quali congelano rapidamente rilasciando il calore latente di solidificazione: in pratica i cristalli di ghiaccio si ingrandiscono a spese delle goccioline liquide.


Chicco di grandine in fase di ingrandimento.
Fonte: Thomson Higher education

Una volta che il chicco di grandine ha preso forma precipita, per gravità, entro la nube a velocità maggiore rispetto alle goccioline ancora presenti; in tal modo 'urta' altre goccioline che solidificano istantaneamente intorno al chicco (processo di accrezione).


Chicco di grandine in fase di accrezione durante la sua discesa nella nube.
Fonte: Thomson Higher education

Questi processi all'interno della nube continuano ed i chicchi rimarranno sospesi tanto più a lungo quanto più intense saranno le correnti ascensionali in grado di sostenerli, fin quando non cadranno per il peso eccessivo. Grossi chicchi di grandine presuppongono dunque l'esistenza di correnti ascensionali fortissime in grado di sostenerli entro la nube.

Il chicco di grandine è strutturato 'a cipolla': se sezionato, mostra strati concentrici opachi e trasparenti. Tali strati non sono dovuti a ricircolo all'interno della nube come si ipotizzava fino a non molti anni fa, ma all'abbondanza o meno di acqua sopraffusa

Tanta acqua sopraffusa rilascia molto calore latente e il congelamento avviene lentamente e ordinatamente, dardo origine a strati trasparenti (come sono quelli, per esempio, dei ghiaccioli in frigorifero). Poca acqua sopraffusa rilascia poco calore latente; il congelamento avviene velocemente e in maniera disordinata, originando strati opachi (per esempio, fiocchi di neve).


Chicco di grandine in sezione in cui si notano gli strati opachi e trasparenti.
Fonte: Dr. Fulvio Stel, Arpa Fvg-Crma

Ogni chicco porta con sé informazioni sull'ambiente dove si è formato: forma sferica indica rotazione del chicco durante la caduta, mentre i lobi indicano sovrabbondanza di acqua sopraffusa. I chicchi più grossi sono generalmente irregolari.

Normalmente i rovesci di grandine si distribuiscono lungo fasce ristrette che corrispondono alle più intense raffiche di vento in discesa dalla nube temporalesca: ecco perché i danni possono variare notevolmente anche nell'area di pochi km.

Grandinate con chicchi di dimensioni superiori a 3-5 cm sono di norma associate a temporali detti a supercella: intensi sistemi caratterizzati da moto rotatorio che in casi estremi possono produrre tornado.

È il caso della grandinata del 5 settembre sull'imolese, colpito proprio da una un temporale a supercella. 

La grandinata del 5 settembre

Queste in estrema sintesi le condizioni atmosferiche che hanno provocato il temporale del 5 settembre.


Temperatura sul piano isobarico di 500 hPa ore 12,00z del 5/09/2010
Fonte: Moloch 2.3 km Model ISAC-CNR Bologna

La mappa riportata sopra evidenzia la distribuzione del campo termico sul piano isobarico di 500 hPa (circa 5500 m di quota) alle ore 14,00 del 5 settembre. In essa si nota l'avvento di masse d'aria fredda (area gialla) proveniente da NW con un valore di -15°C sulla Romagna; aria fredda in quota che affluisce su aria più calda ed umida presente negli strati più bassi implica sempre instabilità atmosferica moderata-forte.

L'aria fredda è pilotata da un flusso di correnti norodoccidentali indotte dalla presenza di un vortice di bassa pressione sull'Europa orientale, come mostra la mappa seguente:


Venti sul piano isobarico di 500 hPa ore 12,00z del 5/09/2010
Fonte: Moloch 2.3 km Model ISAC-CNR Bologna

I vettori indicano moderate correnti nordoccidentale più fresche che raggiungono il centro-nord della penisola.

Nei bassi strati inoltre è presente un flusso di correnti calde ma soprattutto molto umide provenienti dal mare Adriatico che entrano da ESE. Aria molto umida e calda rappresenta sempre un'ottima alimentazione di energia per la macchina temporalesca. La situazione nel pomeriggio del 5 è rappresentata di seguito.


Venti sul piano isobarico di 850 hPa ore 12,00z del 5/09/2010
Fonte: Moloch 2.3 km Model ISAC-CNR Bologna

La mappa sopra concerne il profilo dei venti sul piano isobarico di 850 hPa (circa 1500 m di quota) e mostra molto bene il flusso caldo-umido che, proveniente da ESE, si estende su tutta l'Emilia-Romagna.

Questo flusso va poi a convergere con correnti da SW più secche attive sull'Appennino e provenienti dalla Toscana; la convergenza di masse d'aria aventi diverse caratteristiche nei bassi strati facilita notevolmente l'innesco dei moti convettivi.

Infine si è verificato un rinforzo dei venti alle alte quote (shear) che determina la struttura inclinata delle celle temporalesche (favorevoli alla genesi di grandinate); infatti la situazione a circa 9000 m di quota è proposta di seguito:


Profilo del vento e vorticità potenziale ore 15,00z sul piano isobarico di 300 hPa
Fonte: Bolam model

Nella mappa riportata sopra è mostrato il profilo del vento a circa 9000 m di quota con annessi i valori di vorticità potenziale (con valori medio elevati è favorito l'innesco di corpi nuvolosi e nel periodo estivo anche di sistemi temporaleschi); nel pomeriggio in questione si nota un rinforzo del vento da NW con valori di vorticità potenziale in aumento (aree in rosso).

Nel pomeriggio del 5 erano presenti tutti gli ingredienti 'base' per l'innesco di attività temporalesca severa: forti correnti ad alta quota con elevata vorticità; arrivo di aria fredda e secca alle quote medie; convergenza di venti aventi diverse direzioni e proprietà nei bassi strati; aria umida nei bassi strati; windshear verticale positivo nel campo del vento.

Tuttavia gli eventi osservati sono stati di gravità anche superiore rispetto a quella ipotizzabile tramite la carte meteorologiche.

In seguito sono proposte alcune immagini satellitari e radar:


Immagine satellitare ore 15,00z del 05/09/2010. Fonte: Sat24.com

L'immagine sat delle ore 17,00 mostrao il sistema ancora  in piena azione tra imolese e faentino (area cerchiata in rosso), con top delle torri convettive assai elevato.

Ancora più eloquente l'immagine radar delle ore 16,15 locali nella fase più intensa del sistema:


Immagine radar ore 14.15z (16.15 locali). Fonte: Arpa-Simc

Al centro dell'immagine radar si vede la struttura della cella temporalesca che sta per investire l'imolese. I colori che vanno dal verde al rosso rivelano precipitazioni via via più intense, mentre le aree in colore bianco indicano altissima riflettività e presenza di grandine.

La forma arcuata della cella e la presenza di un eco ad uncino (la specie di virgola che caratterizza la struttura alla sua sinistra) indicano che si tratta di un temporale a supercella con, tra l'altro, rischio di tornado proprio dove si trova la forma uncinata.

Si è trattata quindi di una tipologia di temporale estremamente violenta e pericolosa. La fase più violenta è durata all'incirca 15-20 minuti; in seguito, spostandsi verso il faentino e l'arco appenninico, la struttura temporalesca si è indebolita e si è trasformata in una cella 'normale', sebbene ancora intensa ed in grado di recare grandine di debole-moderata entità. 

La grandinata sull'imolese del 5 settembre 2010

Di seguito alcune immagini relative alla zona maggiormente colpita dalla grandine.


Gravissimi anni da grandine su vigneto in località San Prospero nell'imolese.
Foto: Pierluigi Randi, MeteoCenter

 
Gravissimi danni da grandine su vigneto in località San Prospero.
Foto: Pierluigi Randi, MeteoCenter


Ancora danni da grandine su vigneto in località San Prospero.
Foto: Pierluigi Randi, MeteoCenter


Altri gravissimi danni da grandine su vigneto in località San Prospero.
Foto: Pierluigi Randi, MeteoCenter


Gravissimi danni da grandine su pescheto in località San Prospero.
Foto: Pierluigi Randi, MeteoCenter

Conclusioni

La grandinata del 5 settembre 2010 nell'area imolese è da considerarsi eccezionale, sia in relazione alla dimensione media e massima dei chicchi, sia se valutata in relazione al periodo stagionale, che vede gli eventi grandinigeni farsi sempre meno frequenti e violenti in corrispondenza della fine dell'estate.

L'innesco di un sistema a supercella in condizioni di instabilità moderata-forte giustifica la violenza dell'evento atmosferico e la sua imprevedibilità. Le principali dinamiche che hanno portato alla formazione del sistema vanno riferite in piccola scala alla particolare orografia della zona e alle sua interazioni con il vicino mare Adriatico.

Spesso, infatti, la differenza tra normali strutture temporalesche e sistemi assai severi viene decisa in buona parte dalle condizioni esistenti a piccola scala (mesoscala) e nei bassi strati atmosferici, laddove la conformazione territoriale assume un ruolo di primaria importanza.

A cura di Pierluigi Randi, MeteoCenter 

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