Grano. C’è chi ha aspettato sino all’ultimo prima di venderlo, sperando che la corsa dei prezzi non si arrestasse. Ma non è andata così. A gennaio il grano tenero della categoria buono mercantile quotava alla Borsa merci di Bologna 259 euro per tonnellata, a marzo saliva a 263 euro. Poi il precipizio, Prima a 228 euro in maggio, per poi scivolare sotto quota 200 euro a fine agosto. Stessa cosa per il grano duro, con i listini che a gennaio svettavano a 475 euro tonnellata, per poi precipitare a 291 euro a fine agosto, appena 11 euro in più rispetto allo stesso periodo nel 2007.

Chi ha giocato sull’attesa ci ha rimesso, hanno guadagnato tutti gli altri. Così è stato non solo per il grano, ma anche per altri cereali, dal mais all’orzo, all’avena, pur se con oscillazioni differenti dall’uno all’altro. Ma intanto le alte quotazioni di fine 2007 e di inizio anno hanno prodotto l’inevitabile risultato di spingere verso l’alto i prezzi di molti prodotti alimentari, del pane e della pasta, ma anche di prodotti di origine animale, dalla carne agli insaccati, visto che quegli stessi cereali finiscono anche in bocca agli animali attraverso i mangimi. Normale e prevedibile.

 

Mercati in flessione

Ora i prezzi dei cereali scenderanno ancora. Non occorre la sfera di cristallo per azzardare una previsione. Basta consultare i dati produttivi dell’ultima campagna cerealicola. I prezzi alti hanno incoraggiato gli agricoltori ad aumentare le superfici seminate e grazie anche ai migliori risultati produttivi l’annata si chiude con un significativo + 45% per il grano duro e un buon 14% in più per il tenero, seguito dall’orzo con il suo +13%. Succede in Italia e in molte altre parti del mondo dove si coltivano cereali. E i prezzi scendono. Normale anche questo.

Ma il pane che mangiamo oggi si fa con la farina acquistata ai prezzi di ieri, quando erano alle stelle. E la pasta si è fatta con la farina di grano duro introvabile e quindi cara come l’oro. Normale, ancora una volta.

 

Prezzi e scoop

Nella calura estiva che per strane alchimie rende più rarefatte le notizie e le informazioni (le motivazioni sono cosa da sociologici di comprovata esperienza, che a noi sfuggono), tutto va bene per solleticare la curiosità del lettore. Anche il pane che rincara e la pasta che a leggere i titoli dei giornali è diventata merce da oreficeria. Perchè se oggi il grano costa poco non ci si preoccupa del magro bilancio delle nostre aziende agricole, ma ci si indigna perché il pane costa molto. E tutti a gridare allo speculatore (lasciando che gli agricoltori siano fra i sospettati).

A ben guardare la storia della benzina non è differente da quella del grano. Il petrolio è arrivato a sfiorare i 200 dollari al barile e la benzina è schizzata in prossimità degli 1,50 euro al litro. Poi il petrolio è sceso a 110-120 dollari al barile, ma la benzina è rimasta dov’era. Giustamente non si grida allo scandalo. La benzina che fa andare oggi le nostre auto è stata comprata ieri, quando il petrolio costava molto. Ma dovrà calare nei prossimi mesi, altrimenti sì, che c’è “odore” di speculazione.

 

Pane e benzina

Nel confronto pane e benzina si può azzardare anche qualche conto, magari approssimativo. Se il prezzo della  pasta cresce di 10 o 20 centesimi al chilo (una enormità in percentuale), una famiglia in stretta dieta mediterranea (supponiamo mezzo chilo di pasta al giorno, per 365 giorni) si trova a fine anno a spendere da 18 a 36 euro in più. In un anno. Non ci sembra, sinceramente, una gran spesa.

Se la benzina aumenta di 10 o 20 centesimi (poco in percentuale) la stessa famiglia a dieta mediterranea e con scarsa propensione ai viaggi, spenderà per percorrere 10mila chilometri (pochi, appena quanto basta per andare al lavoro, se vicino, qualche week end e una vacanza fuori porta), spenderà da 70 a 140 euro in più per muovere le ruote della propria utilitaria. Altro che pasta.

 

Le soluzioni

Ma i giornali si accaniscono sul caro pasta, le organizzazioni agricole strepitano che gli aumenti sono frutto di speculazioni e non hanno responsabilità gli agricoltori. E invitano a far la spesa in azienda. Quattro chilometri per raggiungere il produttore di zucchine, dieci chilometri per andare al distributore automatico di latte fresco. Sai che risparmio.

C’è anche chi propone il doppio prezzo, quello percepito dall’agricoltore e quello di vendita al dettaglio. Sai la rabbia; gli agricoltori a vedere il loro lavoro sfruttato da altri e i consumatori a friggere per aumenti che suonano come speculazione. E magari si tratta solo dei giustificati ricarichi per una filiera di distribuzione forse troppo lunga o troppo vecchia. Su quella sì, che bisognerebbe intervenire. E anche sulla egemonia che la Gdo si è presa in tema di distribuzione e di prezzi. Che a volte, anzi spesso, strozzano proprio i più deboli, gli agricoltori.

 

Foto Zeta