L'influenza aviaria non è più un problema per soli "addetti ai lavori", allevatori e veterinari, ma si allarga all'intera collettività.

Lo ha messo in evidenza Ilaria Capua, nota virologa e medico veterinario, in un recente articolo pubblicato sul Corriere della Sera.

Complice il cambiamento climatico, il virus si va diffondendo in numerose specie di uccelli selvatici, le cui migrazioni consentono al virus di spostarsi con estrema facilità a grandi distanze. 

 

Della pericolosità di questa malattia AgroNotizie ha parlato a più riprese. L'ingresso del virus in un allevamento avicolo comporta elevate mortalità senza possibilità di cure.

Talmente devastanti le conseguenze, che i regolamenti di polizia veterinaria impongono l'abbattimento di tutti gli animali che possono aver contratto l'infezione.

A essere interessate sono tutte le specie avicole, polli da carne, tacchini, galline ovaiole, selvaggina da penna.

Tenendo conto della densità degli allevamenti, gli abbattimenti necessari al contenimento del virus possono coinvolgere anche milioni di animali.

 

Danni incalcolabili

Un danno al quale si aggiunge il blocco di tutte le attività di allevamento nelle aree interessate, con riflessi importanti sul fronte dell'export, per via del possibile divieto che altri paesi possono imporre all'ingresso di prodotti avicoli.

In Italia gli ultimi casi di influenza aviaria segnalati dall'Istituto Zooprofilattico delle Venezie, che ospita in Centro di referenza nazionale per questa malattia, risalgono alla prima decade di febbraio, dove il virus è stato riscontrato in specie selvatiche fra Emilia Romagna, Veneto e Lombardia.

Desta molta preoccupazione sia la forte presenza di allevamenti avicoli in queste regioni, sia la diffusione di questo patogeno in larghe fasce di selvatici, dai gabbiani ai cigni, sino ai rapaci.

Si profila un rischio per la perdita di biodiversità, data l'elevata mortalità che consegue alla malattia.

 

La forte presenza del virus nei selvatici aumenta enormemente la possibilità di infezione degli allevamenti, a dispetto di ogni misura di biosicurezza, che pure è massima proprio negli allevamenti intensivi, perché protetti dall'ambiente esterno.

Non così per gli allevamenti all'aperto, dove è favorita la possibilità di contatto fra animali allevati e selvatici.

Per questo motivo nelle aree interessate gli allevamenti all'aperto sono vietati.

 

Una minaccia globale

Purtroppo il problema non si limita al mondo avicolo.

Il virus ad alta patogenicità dell'influenza aviaria ha già dimostrato la capacità di adattarsi ad altri animali, dai cani sino alle balene.

Recente è la segnalazione del virus in un allevamento di visoni in Spagna.

Nemmeno l'uomo ne è al riparo, sebbene si tratti di episodi rari e prevalentemente segnalati fra gli “addetti ai lavori”.

E' bene ricordare che il consumo di carni e prodotti avicoli è del tutto esente da rischi.

 

La vaccinazione

La diffusione del virus favorisce la possibilità di mutazioni, con forme di maggiore pericolosità per l'uomo oltre che per altri animali.

Di fronte a questa possibilità è necessario ripensare alle strategie di controllo dell'influenza aviaria, sino ad ora orientate alla sua eradicazione, con piani di abbattimento degli animali e l'istituzione di zone di protezione e di sorveglianza per circoscrivere la diffusione del virus.

 

L'impiego della vaccinazione, come deciso dal Regolamento Comunitario del 2021, è limitata a “vaccinazioni di emergenza” da attuare solo dopo l'approvazione delle autorità europee.

Un limite suggerito dalla possibilità che il virus possa comunque sfuggire al vaccino e mascherare la comparsa di un focolaio.

La messa a punto di vaccini di maggiore efficacia e il loro impiego nelle specie avicole di interesse zootecnico si fa sempre più pressante.

Solo vaccinazione su vasta scala potrà davvero arginare una minaccia sanitaria che rischia di mettere in ginocchio un settore economico che vale in Italia quasi dieci miliardi di euro nel suo insieme.

E metterci al riparo da una possibile nuova emergenza sanitaria.