Al momento quella che arriva da Bruxelles in tema di ambiente e allevamenti è solo una proposta, ma desta molte preoccupazioni per le pesanti conseguenze che potrebbero derivarne.
Ma partiamo dall'inizio e cioè dal Green New Deal, la sfida ambientale che vorrebbe portare l'Europa ad azzerare le emissioni di gas climalteranti entro il 2050.
Molte le leve sulle quali agire e fra queste il contributo all'inquinamento da parte delle industrie.
Si è così pensato di rimettere mano alla Direttiva numero 75 del 2010 che si occupa di certificazioni ambientali.


Le false verità

A forza di sentirlo ripetere a ogni occasione, il legislatore europeo si è lasciato convincere da quanti sostengono, per ragioni non sempre cristalline, che gli allevamenti sono fra i maggiori "inquinatori" del pianeta.
Più delle auto, più delle industrie, più di arei e trasporti.
Le cose stanno ben diversamente come hanno evidenziato molti ricercatori e scienziati (inascoltati) e la stessa Ispra, Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione Ambientale).
In Italia, ad esempio, il contributo degli allevamenti alla produzione di gas serra incide per appena il 5,2% ed è in progressiva diminuzione.


Numeri "gonfiati"

I commissari europei, nella loro riunione settimanale per discutere dei vari argomenti, hanno incontrato sul loro cammino documenti che puntano il dito contro gli allevamenti.
Numeri che non tengono conto del ruolo degli allevamenti e delle coltivazioni nel sequestro di carbonio.
Tanto che ricerche scientifiche hanno dimostrato che in molte situazioni l'allevamento dei bovini presenta un bilancio del carbonio positivo, ovvero è più quello sequestrato rispetto a quello emesso.
Per di più il carbonio che genera da agricoltura e allevamenti rientra in un ciclo naturale, contrariamente a quello proveniente da fonti fossili.
Ma queste cose gli agricoltori le sanno, gli europarlamentari no, almeno non tutti.

 

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I "numeri" sui quali si fondano le proposte per la revisione della direttiva sulle certificazioni ambientali


Idee stravaganti

Così dalla consueta riunione dei commissari europei è uscito un voto favorevole a una stravagante proposta di modifica della direttiva sulla certificazione ambientale che vorrebbe equiparare gli allevamenti alle industrie.
Se questa proposta divenisse operativa, scatterebbe una serie di pesanti oneri che colpirebbe ogni settore, dai polli ai bovini, ai suini, nessuno escluso, se non gli allevamenti di piccolissime dimensioni.
Più burocrazia e maggiori costi che arriverebbero nel momento meno opportuno. 


Verso la catastrofe

Già oggi alcune analisi del Crea, Centro per la Ricerca in Agricoltura e l'Analisi dell'Economia Agraria, hanno messo in evidenza che l'aumento dei costi di produzione conseguente alla fiammata della bolletta energetica e dei prezzi delle materie prime rischia di mettere fuori mercato il 10% delle aziende agricole.
Una direttiva ambientale incongruente come quella proposta darebbe la mazzata finale.
Con buona pace per il ruolo strategico che le produzioni agroalimentari hanno dimostrato di rappresentare con l'emergenza sanitaria prima e poi con le drammatiche conseguenze del conflitto in atto fra Russia e Ucraina.


Levata di scudi

Non resta che sperare in un ravvedimento delle decisioni e in un ritiro delle proposte ora sul tavolo del legislatore europeo.
Va in questa direzione la levata di scudi proveniente da tutto il mondo dell'agroalimentare, dalle organizzazioni agricole, con Ettore Prandini di Coldiretti e Massimiliano Giansanti di Confagricoltura in prima linea, come pure dalle organizzazioni di settore, fra queste Filiera Italia tramite il suo consigliere delegato Luigi Scordamaglia.
Si spera siano ascoltati quando sarà il momento di passare dalle proposte agli atti legislativi e soprattutto che nelle sedi europee si sappia fare un efficace gioco di squadra.
Basterebbe prendere esempio dall'ottimo lavoro fatto dalle lobby ambientaliste.