Colpa, secondo il sindacato Unions Agrarias, dei "bassi prezzi del latte (32-33 centesimi al litro, rispetto ai 36-37 di media nell'Ue)", nonostante il costo della razione alimentare sia diminuito.
Anche in Germania il prezzo sta scivolando verso il basso. Lo ha confermato, a inizio di gennaio, Ingo Mueller, l'amministratore delegato di Dmk, la più importante cooperativa lattiero casearia tedesca e una delle prime in Europa per latte lavorato. "Il prezzo alla stalla di 40 centesimi al chilo che abbiamo pagato da ottobre a dicembre rappresenta anche per noi una cifra ragionevole. Al tempo stesso il rafforzamento dell'euro rende difficili le esportazioni, per questo a dicembre le latterie hanno iniziato ad abbassare il prezzo del latte alla stalla", ha anticipato Mueller al quotidiano economico Die Welt.
"Anche noi ci siamo dovuti adeguare alla situazione del mercato - si è difeso Mueller - e così abbiamo ridotto il prezzo a 35 centesimi. Gli allevatori dovranno fare nuovamente i conti con un abbassamento dei prezzi del latte".
Friesland Campina, prima cooperativa d'Olanda e fra le più importanti su scala mondiale, ha annunciato un prezzo di ritiro del latte a 37,5 centesimi per chilogrammo per gennaio. Non è ancora stato segnalato il prezzo garantito di febbraio, ma una eventuale diminuzione non sarebbe così sorprendente, anche se la produzione dei Paesi Bassi nel periodo gennaio-novembre 2017 è stata dello 0,3% inferiore rispetto allo stesso periodo del 2016. Complice la direttiva fosfati, che è stata applicata a livello nazionale e che impone agli allevatori di alleggerire il carico di bestiame. In ogni caso, a settembre, ottobre e novembre le consegne sono cresciute su base tendenziale, a conferma che i principali paesi produttori di latte d'Europa stanno pigiando sull'acceleratore.
Un atteggiamento forse naturale, quando i prezzi sono positivi (si cerca di produrre di più, per guadagnare), ma che innesca una spirale che piega verso l'avvitamento ribassista dei prezzi alla stalla. E così, appunto, sembra essere.
La domanda, brutale, che serpeggia fra gli allevatori, è la seguente: è di nuovo crisi? La risposta, evasiva quanto basta, per ora potrebbe essere: "dipende". I segnali di una sovrapproduzione ci sono tutti, le prospettive per il primo semestre 2018 - secondo gli analisti di Clal.it, portale di riferimento per il comparto - dovrebbero essere di assestamento dei prezzi (quindi senza particolari preoccupazioni), per poi evidenziare una ripresa nella seconda metà dell'anno. Tutto questo, però, a patto che non si ecceda con le produzioni.
Intanto, il presidente di Copagri Lombardia, Roberto Cavaliere, ha chiesto la convocazione di un tavolo in Lombardia - prima regione italiana per produzione di latte - per adottare soluzioni preventive.
Anche in Italia la filiera deve fare i conti con un incremento delle consegne di latte, cresciute mediamente del 3,3% fra gennaio e novembre 2017, su base tendenziale, con una punta del 5,7% in ottobre. Ma se questa è la media nazionale, in Lombardia l'aumento è stato più significativo. Tanto che la media dei primi dieci mesi del 2017 nelle province di Brescia, Cremona e Mantova ha registrato un aumento rispettivamente del +4,63%, +4,68% e +4,11%.
I riflessi sul prezzo non sono mancati. Le Borse merci di Lodi e Verona hanno quotato, nella seduta del 22 gennaio scorso, il latte spot rispettivamente 35,50 euro/100 kg e di 35,75 euro/100 kg con un decremento dell'1,39% e dello 0,69% sulla rilevazione della settimana precedente e del 5,96% e del 5,92% sullo stesso periodo del 2017.
Basteranno le esportazioni dei prodotti lattiero caseari a frenare la caduta dei prezzi? Fra gennaio e ottobre 2017 le esportazioni italiane sono cresciute del 14% in quantità e del 12,3% in valore (con un boom di latte e panna, che hanno segnato rispettivamente il +42,3% in quantità e il 35,6% in volume).
Trend positivo anche per i formaggi, che nei primi dieci mesi del 2017 hanno messo a segno un +6,6% in volume e un +9,4% in valore.
Numeri che impongono alla filiera italiana di proseguire sulla strada delle Dop casearie, affiancando un percorso di attenzione agli equilibri produttivi e all'export, magari sostenuto da politiche promozionali differenziate in base alle esigenze delle diverse cucine e dei consumatori nel mondo.