A dire il vero, si parla del periodo che va dal 1° luglio in avanti, visto che la precedente intesa ha avuto durata 1° febbraio - 30 giugno, con una cifra record di 44,5 centesimi per litro di latte.
Le cronache ufficiali parlano di un nulla di fatto e di un nuovo incontro da fissarsi fra le parti dopo Ferragosto, ma prima del prossimo 31 agosto. Lactalis sarebbe disposta a pagare un prezzo inferiore, mentre i produttori chiederebbero di confermare il prezzo al 30 giugno.
Eppure, seppure in mancanza di un accordo ufficiale, la cifra che già oggi viene pagata da alcune aziende trasformatrici, è di 42 centesimi al litro. Un prezzo indicativo e transitorio, suffragato dall’andamento produttivo del latte a livello europeo e mondiale, che vede i principali Paesi esportatori (Ue-28, Nuova Zelanda, Usa, Argentina, Ucraina, Australia, Bielorussia, Cile, Uruguay, Turchia) seguire un’onda positiva (+5% gli ultimi dati riportati da Clal e relativi ad aprile).
Elaborazioni in parte più recenti, pubblicate sul portale di riferimento a livello mondiale del settore lattiero caseario, vedono le consegne di latte in Australia (periodo gennaio-maggio 2014) in crescita del 4,32% rispetto allo stesso periodo del 2013.
Anche gli Stati Uniti possono contare un aumento dell’1,29% delle consegne di latte, nel primo semestre del 2014, su base tendenziale. La produzione in Europa ha segnato un balzo del 5,71% fra gennaio e aprile di quest’anno. E così, per tutte queste macro-aree del pianeta, sono mediamente cresciute le produzioni di polveri e, non con la medesima omogeneità, talvolta anche le produzioni di burro (+10,66% in Australia) e formaggi (+2,23% in Europa, +1,24% negli Usa).
Una maggiore produzione di latte a livello mondiale, dunque, spiega l’avvitamento del prezzo a 42 centesimi, che – ribadiamo – non riveste i connotati dell’ufficialità, perché nessun accordo è stato siglato fra Galbani e Confagricoltura, Coldiretti e Cia. È più un sentiment, captato parlando con alcuni operatori della filiera. E qualche esperto lo definisce “un prezzo equo, rispondente alle contingenze attuali”.
Tuttavia, quei 42 centesimi pagati oggi da alcune realtà di trasformazione, potrebbero anche per i prossimi tre mesi diventare il parametro applicato per i conferimenti di latte. Questa volta il prezzo del latte potrebbe essere sottoscritto per un periodo più breve rispetto ai cinque mesi di durata del precedente accordo. E i motivi sono in un ipotizzato cambio di rotta del trend produttivo.
L’exploit diffuso a livello mondiale di questi ultimi mesi potrebbe subire una frenata.
Nell’area a sud del mondo, per l’ingresso progressivo verso l’estate australe, con una fisiologica diminuzione delle produzioni, dovuta appunto al clima. Mentre in Europa per la linea adottata dalla presidenza italiana di turno nell’ultimo semestre che vede in vigore il regime delle quote latte (sarà abrogato dal 1° aprile 2015).
Il ministro Maurizio Martina ha sfoggiato toni pacati, ma a Bruxelles ha fatto capire che la corsa a produrre avrebbe comunque dovuto rispettare i tetti ancora oggi in vigore, facendo capire agli attuali Paesi splafonatori (Francia, Germania, Austria, Olanda e Irlanda) che non si sarebbero salvati con un colpo di spugna, ma che le multe le avrebbero dovute saldare.
Questa volontà di far rispettare le regole fino all’ultimo avrebbe – dicono i maligni – innescato la macchina dell’euroburocrazia, facendo partire a inizio luglio la richiesta da parte di Bruxelles all’Italia di saldare quella cifra di 1,4 miliardi di euro per vecchie multe ancora insolute.
Ergo, i principali Paesi europei produttori di latte dovranno rientrare nella quota loro assegnata, riducendo così i volumi di latte nei prossimi mesi.
A contribuire a una ripresa dei prezzi, con ogni probabilità anche la Cina, che sempre di più si conferma una vera e propria “idrovora” di latte su scala mondiale. Continuerà ancora ad importare, come lasciano supporre gli ultimi dati Clal disponibili.
Anche a giugno, infatti, nell’ex Celeste Impero le importazioni mensili di formaggio su base tendenziale (gennaio-giugno 2014 rispetto al medesimo periodo 2013) sono aumentate del 58,15%, l’import di polvere di latte intero del 73,1% e quello di polvere di latte scremato del 82,9 per cento. In vertiginosa crescita anche l’import di burro, che ha toccato il +119,5 per cento. La Cina, insomma, si beve tanto latte e in proiezione, quando diminuirà la produzione lattiera su scala mondiale, sarà un fattore non secondario nell’infiammare il mercato di nuovo.
Continua la fase non brillante dei formaggi a pasta dura, Grana Padano (quotato 6,78 €/kg lo scorso 17 luglio sulla piazza di Mantova, nello stagionato a 10 mesi) e Parmigiano Reggiano (8,10 €/kg la stagionatura minima di 12 mesi, nella quotazione del 21 luglio a Milano). In particolare, il Parmigiano Reggiano ha segnato il -6,36% rispetto allo stesso periodo del 2013.
Tale calo fa presumere che i magazzini non sia in sofferenza, tutt’altro.
La domanda che logicamente ci si pone è la seguente: la programmazione produttiva è stata efficace oppure ci si sarebbe dovuti aspettare di più? O senza l’accordo programmatico sarebbe andata peggio?
Potrebbe forse un impianto di polverizzazione gestito dai due consorzi di tutela del Grana Padano e del Parmigiano Reggiano ammortizzare queste flessioni di mercato o la legge della domanda e dell’offerta vince sempre e comunque e rappresenta la regola numero uno dell’economia?