Si chiamavano SCP, acronimo di single cell protein. Erano le proteine ottenute coltivando batteri unicellulari su substrati di idrocarburi, in altre parole derivati del petrolio. Se ne parlò a lungo negli anni '70. In tutto il mondo fiorirono le ricerche e alle proteine dal petrolio si guardava con la speranza di risolvere l'imminente ingigantirsi della fame nel mondo, generata dalla “overpopulation bomb”. Allora la popolazione mondiale era di quasi quattro miliardi e di lì a poco sarebbero raddoppiati (cosa che oggi si sta realizzando). Sfamarli tutti sembrava impossibile. Ma il problema fu risolto dalla grande spinta impressa all'agricoltura tradizionale, che moltiplicò le sue capacità produttive in misura impensabile. Merito della ricerca e della innovazione, ma anche degli stessi agricoltori, che hanno saputo ben applicare le nuove conoscenze, facendo “esplodere” le capacità produttive dei loro campi. E le proteine da petrolio tornarono nel cassetto dal quale erano uscite, quello dei laboratori di ricerca e furono poi dimenticate. Rischi dal loro utilizzo non emersero, ma quando si parla di sicurezza alimentare nulla può essere dato per definitivo e dunque meglio non rischiare. Un po' come sta accadendo oggi con gli Ogm, anche se su questo argomento le discussioni sembrano il più delle volte travalicare il limite del dibattito scientifico per approdare ad un radicalismo delle convinzioni che non giova a nessuno.
Le ricerche olandesi
Ora ci risiamo con le proteine ottenute in modo non convenzionale. Sarà colpa, come negli anni '70, dello spauracchio di un aumento della fame nel mondo, sospinto questa volta dal crescere delle richieste alimentari dei Paesi con economie in sviluppo. E non bastando quella che esce dalle stalle, c'è chi immagina che la carne possa essere prodotta in laboratorio. Così dalla Università olandese di Maastricht, non già contenta della sua fama per il celebre trattato che prende il suo nome, ecco uscire la prima bistecca ottenuta da cellule staminali di bovino. In sé la notizia, se non come “curiosità” scientifica, non appare di grande rilevanza. Che le cellule staminali siano in grado di riprodursi e di replicare le finalità scritte nel loro corredo genetico è cosa acquisita. Dunque una “bistecca” di staminali non è poi una grande “novità”. Lo conferma anche l'esiguità dei finanziamenti che questa ricerca ha assorbito, 290mila euro, sempre che di questi tempi una tal cifra possa considerarsi esigua.
Quanto "rumore"
Sorprende però il clamore suscitato dagli esiti di questa ricerca. In tanti hanno ritenuto opportuno prendere le distanze e rimarcare la differenza con la carne ottenuta in modo convenzionale. Così Assocarni, per voce del suo vicepresidente Luigi Scordamaglia, si è detta contraria a qualunque prodotto carneo ottenuto da cellule staminali. Coldiretti ha diffuso gli esiti di un sondaggio fra gli italiani, contrari per il 73 percento agli hamburger in provetta (ma non ci voleva un sondaggio per scoprirlo...). Il presidente di Cia, Giuseppe Politi, ha spinto il suo dissenso oltre, ventilando una supposta pericolosità di queste alchimie di laboratorio. E chissà quanti altri, nei prossimi giorni, diranno la loro, a torto o a ragione non importa. Bistecche alle staminali con tutta probabilità non sarà mai possibile assaggiarle, troppo complicato farle e troppo costoso comprarle. Chi è disposto infatti, a spendere 290mila euro, quanto sono costate queste ricerche, per portarsi in tavola un hamburger? Ma è importante che la ricerca, anche per le bistecche in provetta, non si fermi. Non servirà sfamarci, ma a progredire sì.