Secondo l'ultimo Rapporto di Re Soil Foundation (1), ogni 100 metri quadri di suolo italiano 47 presentano qualche forma di degrado. L'80% dei terreni agricoli, pari al 23% del territorio nazionale, è sottoposto a fenomeni erosivi e il 68% ha perso più del 60% del carbonio organico originariamente presente in essi. Il 23% dei suoli agricoli presenta livelli eccessivi di azoto, mentre il 7% è sottoposto a fenomeni di salinizzazione secondaria.
Già in articoli precedenti, elencati alla fine di questo articolo, abbiamo segnalato la necessità di incrementare la concentrazione di carbonio organico al suolo e come i fanghi fognari potrebbero costituire una risorsa in questo senso.
In Italia vengono prodotte ogni anno 3,4 milioni di tonnellate di fanghi di depurazione. Circa la metà di tale massa di fango viene smaltita in discarica, sprecando del carbonio organico che, anziché contribuire al ciclo naturale di rigenerazione dei suoli, finisce come dannose emissioni di gas serra. Vengono recuperate 1,5 milioni di tonnellate per l'agricoltura, dopo trattamenti di compostaggio o di produzione di gessi da defecazione.
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I costi associati alla gestione dei fanghi vanno dal 20 al 65% delle spese complessive di un impianto di trattamento delle acque reflue. L'elevato costo di smaltimento è il principale fattore che contribuisce a tale costo. Attualmente il costo di smaltimento varia tra 160 e 310 euro/tonnellata. Oltre alla materia organica, di cui i suoli agricoli italiani hanno disperato bisogno, i fanghi contengono sostanze inorganiche utili - quali azoto, fosforo, micronutrienti e zolfo - ma anche alluminio, metalli pesanti e composti organici tossici per l'ambiente, come Idrocarburi Policiclici Aromatici (Ipa), tensioattivi, prodotti farmaceutici e altri.
Un'altra voce di costo significativa per gli impianti di trattamento delle acque reflue è il consumo di energia, che contribuisce ai costi operativi per circa il 7-33%. Pertanto, la gestione dei fanghi dovrebbe mirare a ridurre al minimo il consumo di energia massimizzando al tempo stesso il recupero di nutrienti e carbonio per migliorare l'economia e la sostenibilità degli impianti di trattamento delle acque reflue industriali e municipali, beneficiando nel contempo l'agricoltura.
Tuttavia, il Regolamento (UE) 2019/1009 sui prodotti fertilizzanti (noto con l'acronimo UE FPR) esclude sia i fanghi urbani che quelli industriali dall'utilizzo per la produzione di fertilizzanti organici CE. Sebbene i fanghi siano ancora utilizzati in agricoltura o per la produzione di compost in molti Paesi dell'Unione Europea, l'FPR dell'Ue impedisce che compost, digestato o biochar dai fanghi siano certificati come prodotti fertilizzanti CE. Al contrario, i fertilizzanti inorganici e i sali fosfatici precipitati, estratti dalle acque reflue, sono fortemente promossi.
Il motivo di questa apparente contraddizione è che l'Ue ha identificato la roccia fosfatica e il fosforo tra le trentaquattro materie prime critiche di grande importanza per l'economia dell'Ue e ad alto rischio associato al loro approvvigionamento. Attualmente le riserve di rocce fosfatiche sono concentrate in Marocco, Cina e Usa, e si stima che anche queste si esauriranno nel giro di cento anni al ritmo attuale di consumo. Poiché i fanghi contengono circa il 2% di fosforo su base secca, ed il volume di produzione è in crescita di pari passo con la popolazione, costituiscono una fonte di fosfati da sfruttare.
Il carbonio organico è l'altro elemento chiave dei fanghi e oggi è un prodotto di alto valore. Il valore del carbonio organico è strettamente correlato a quello dell'anidride carbonica. Il Regolamento dell'Unione Europea sull'European Trading Scheme (EU ETS) stabilisce il meccanismo di mercato che attribuisce un prezzo all'anidride carbonica. Pertanto, qualsiasi tonnellata di anidride carbonica emessa dal settore dell'acciaio, dell'energia o dei fertilizzanti corrisponde a una quota che l'azienda di quel settore deve acquistare. Le misure più severe adottate dalla versione recentemente aggiornata dell'EU ETS hanno portato i prezzi dell'anidride carbonica a raggiungere valori compresi tra 80 e 100 euro/tonnellata. Poiché l'EU ETS includerà gli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani a partire dal 2026, ogni tonnellata di carbonio nei fanghi, se inceneriti, rappresenterà un costo elevato per l'impianto di incenerimento.
Ricordiamo che una tonnellata di fango disidratato contiene circa 700 chilogrammi di carbonio (2), i quali, se bruciati, produrranno 2,57 tonnellate di anidride carbonica. Al prezzo attuale dell'anidride carbonica di 80 euro/tonnellata emessa in atmosfera, il costo che dovrà pagare l'inceneritore (cioè noi cittadini!) sarà di 205 euro per ogni tonnellata di fango smaltito. Un uso alternativo, preferibilmente una soluzione di stoccaggio del carbonio nel suolo, potrebbe evitare tali emissioni di anidride carbonica e beneficiare nel contempo l'agricoltura e l'ambiente.
L'alternativa all'incenerimento e al compostaggio è la pirolisi lenta, oggetto di un recentissimo studio tutto italiano (3).
In estrema sintesi, il processo consiste in quattro stadi:
- Disidratazione dei fanghi.
- Pirolisi lenta a temperature comprese fra 400 e 450°C. I gas prodotti dalla pirolisi (22,6% della massa iniziale di fango disidratato) si possono utilizzare per fornire l'energia al processo. Si ottengono inoltre il 34,2% di olio da pirolisi (utilizzabile come combustibile liquido dopo la disidratazione) e il 43,1% di biochar.
- Lisciviazione del biochar con una soluzione di acido nitrico e poi con idrossido di potassio. La prima consente di estrarre dalla frazione carboniosa i metalli pesanti (principalmente ferro) e il calcio, mentre la seconda consente di recuperare il fosforo. Il risultato è un carbone molto simile a quello fossile, ma di origine organica, con bassissime concentrazioni di metalli pesanti, zolfo e ceneri. Esso è utilizzabile per diversi scopi: siderurgia, produzione di carbone attivato, combustibile industriale. Lo studio non lo prevede, ma il fatto che il biochar derivato dal fango (non marchiabile come ammendante CE) venga sottoposto ad un processo che ne modifica sostanzialmente la sua natura potrebbe bastare a far valere la disciplina europea nota come "end of waste" (fine della condizione giuridica di rifiuto) e a questo punto il biochar purificato sarebbe utilizzabile in agricoltura e pure con marchio CE. A meno di cervellotiche interpretazioni burocratiche e ideologiche, s'intende…
- Il lisciviato va trattato ulteriormente mediante diverse reazioni chimiche, precipitando i metalli pesanti e ottenendo un fertilizzante solido di tipo PK. Esso sarebbe un prodotto a tutti gli effetti, per cui soggetto alla disciplina "end of waste" e marchiabile come fertilizzante CE.
Nonostante il suo potenziale, la pirolisi dei fanghi non è diffusa su larga scala e l'incenerimento rimane il secondo metodo di smaltimento preferito dai gestori, dopo il conferimento in discarica.
Prendendo atto di questa condizione di fatto, un altro gruppo di ricerca italiano (4) si è concentrato sulla sperimentazione di diverse tecniche di recupero di fertilizzanti dalle ceneri dei termovalorizzatori. Tali ceneri contengono fra il 5 e l'11% di fosforo e lo studio evidenzia che il processo di estrazione ottimale dipende dalla composizione delle ceneri, la quale a sua volta dipende dall'impianto di provenienza dei fanghi. A seconda dal tipo di acido e di altri parametri di processo, la percentuale di recupero del fosforo varia dal 50 al 90%, con basse percentuali di inquinanti nel prodotto finale. Ad esempio, il trattamento delle ceneri con una soluzione di acido solforico produce un liquido contenente fra il 76 e il 90% del fosforo iniziale. La successiva aggiunta di calce, filtraggio ed essiccazione, consente di recuperare un solido (fosfati vari) contenente dal 4 al 9% di fosforo e inquinanti (metalli pesanti, arsenico), oltre cento volte al di sotto dei limiti di legge.
I due studi in questione dimostrano la fattibilità tecnica, con sistemi relativamente semplici ed economici, della soluzione all'annoso problema dei fanghi. Il recupero del fosforo permetterebbe di risolvere, o almeno di mitigare, anche il problema dell'esaurimento dei fosfati. L'àncora che impedisce il decollo di tali soluzioni rimane la mentalità di chi governa, sia a Bruxelles che a Roma, e di larghe fette della popolazione che ritengono che essere "ecologista" consista nell'opporsi sistematicamente ad ogni progetto infrastrutturale.
Finché i fanghi continueranno ad essere visti come un problema anziché come una risorsa, e finché ogni tentativo di potenziamento o di miglioramento degli impianti finirà con manifestanti e comitati "no depuratore", continueremo con il solito modello di economia lineare. A pagare le conseguenze saranno, come al solito, l'agricoltura e l'ambiente.
Bibliografia
(1) AA.VV, 2023. Il suolo italiano al tempo della crisi climatica - Rapporto 2023. Re Soil Foundation.
(2) G. Giovannini , R. Riffaldi & R. Levi-Minzi (1985) Determination of organic matter in sewage sludges, Communications in Soil Science and Plant Analysis, 16:7, 775-785, DOI: 10.1080/00103628509367643.
(3) Salimbeni, A.; Di Bianca, M.; Rizzo, A.M.; Chiaramonti, D. Activated Carbon and P-Rich Fertilizer Production from Industrial Sludge by Application of an Integrated Thermo-Chemical Treatment. Sustainability 2023, 15, 14620.
(4) Gaia Boniardi, Andrea Turolla, Laura Fiameni, Enrico Gelmi, Francesca Malpei, Elza Bontempi, Roberto Canziani, Assessment of a simple and replicable procedure for selective phosphorus recovery from sewage sludge ashes by wet chemical extraction and precipitation, Chemosphere, Volume 285, 2021, 131476, ISSN 0045-6535.
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