C'è un problema però: mentre l'azoto e molti altri elementi sono relativamente mobili nel terreno, il fosforo è praticamente incollato nei pochi millimetri in cui si trova. Quindi per le radichette risulta difficile attingere a tali riserve. Un vero peccato, perché è proprio in quel momento che ne avrebbe più bisogno, visto che il fosforo è un costituente della membrana cellulare, come pure partecipa a numerosi processi biochimici.
Per esempio, il fosforo è un tassello fondamentale nella costituzione degli acidi nucleici, componenti di Dna ed Rna. Parimenti importante il contributo ai processi energetici cellulari, rientrando nella costituzione di molecole come l'Atp acido adenosin trifosfato, ma anche Nadph, ovvero la nicotinammide adenina dinucleotide fosfato. Senza tali molecole il metabolismo si arresta per fame energetica.
Da ciò se ne deriva che la richiesta di fosforo da parte delle cellule, quindi delle piante, è direttamente proporzionale alle attività metaboliche. Ovvio quindi che più le fasi colturali sono delicate ed esigenti, più il fosforo cresce di importanza nelle pratiche di nutrizione vegetale.
Immobile e prezioso
Ben pochi come detto i millimetri intorno a sé entro i quali la radichetta in via di accrescimento può reperire il fosforo. O la radichetta lo trova di propria iniziativa, o il fosforo mai andrà spontaneamente da lei. Quindi la disponibilità per le piante può risultare fortemente limitata, causando ritardi e insufficienze nello sviluppo a tutto detrimento delle rese finali delle colture agrarie.Tale situazione si aggrava in presenza di valori di pH del suolo spostati verso l'acido o verso il basico. Nel primo caso si può verificare la cosiddetta "retrogradazione del fosforo", formandosi in tal caso precipitati di fosfati di ferro e alluminio. Al contrario, con valori alti di pH l'elemento può legarsi con il calcio e insolubilizzarsi sotto forma di fosfato tricalcico.
Localizzata è meglio
Anche senza giungere a tali situazioni estreme, a causa della generale immobilità del fosforo nel terreno è comunque bene razionalizzarne la somministrazione alle colture, minimizzando le dosi per ettaro e massimizzando al contempo l'efficienza della concimazione.In tal senso la localizzazione alla semina appare la pratica più consigliabile, abbinando il fosforo anche ad altri elementi nutritivi, come per esempio azoto, potassio, zinco, meglio se in forma chelata, e infine acidi umici. Un mix ad assetto alquanto variabile nelle diverse proposte commerciali in tal senso in Italia, tanto che in alcuni casi la componente nutrizionale può anche essere abbinata a sostanze attive ad azione insetticida, anche se ciò appare più utile per la coltura del mais, soggetta ad attacchi radicali di Diabrotica ed elateridi. Per il frumento tale addizione fitosanitaria appare infatti superflua. L'aggiunta di zolfo appare invece importante proprio per il grano, quindi è bene se anche questo elemento risulta presente nel pool di componenti del fertilizzante.
Indipendentemente però dal mix di elementi nutrizionali scelti, l'attenzione dell'agricoltore si dovrà focalizzare sulla qualità dei formulati stessi. Non solo per quanto riguarda la granulometria, bensì anche per la robustezza dei granuli, al fine di minimizzare le formazioni di polveri.
Se la scelta sarà stata oculata, i risultati saranno misurabili attraverso un adeguato "effetto starter", cioè quanto di più utile vi sia per il grano nelle primissime fasi di germinazione. Poi, potrà avviarsi al meglio alla stagione invernale, in attesa di affrontare le seguenti fasi delicate del suo ciclo, ovvero la levata e la fioritura, in primavera.
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Fonte: Agronotizie