La ferita deve bruciare molto ai detrattori di glifosate: dieci anni di rinnovo e buonanotte a tutte le manovre per affossarlo. Come ripicca, oggi tocca alla francese Anses finire al centro del mirino pseudoecologista, venendo accusato dal quotidiano Le Monde di aver omesso la pubblicazione di alcuni studi relativi a una sua presunta genotossicità, cioè la capacità di alterare il Dna e quindi aprire poi la strada a tumori.
Ora, avendo ampiamente dimostrato che glifosate di tumori alla gente non ne provoca, né fra gli operatori, né alla popolazione in genere, il castello della genotossicità quale starter oncologico andrebbe archiviato senza neanche degnarlo di attenzione. Come sempre accade, però, il fronte chemofobico non accetta facilmente le sconfitte anche a costo di arroccarsi su posizioni che odorano più di complottismo che di scienza. Meglio quindi analizzare cosa ha fatto Anses e perché Le Monde ha perso anche l'ultima parvenza di credibilità quando parla di chimica agraria. Glifosate in primis.
I fatti
Correva l'anno 2016 e all'Anses venne chiesto di valutare glifosate per il tema cancerogenicità. Nel 2017 si doveva infatti votare il suo rinnovo europeo e quindi anche la Francia voleva vederci chiaro tramite il lavoro dei propri esperti. Mentre però il gruppo di lavoro stava preparando il proprio report, altre autorità europee, Echa ed Efsa, espressero i propri di pareri, elaborati su documenti del tutto analoghi a quelli sui quali stava lavorando appunto Anses. Per tale ragione l'Agenzia francese non ritenne quindi fosse necessario pubblicare un proprio parere sull'argomento. Una decisione per la quale Le Monde, quotidiano francese, ha fatto poi causa ad Anses appigliandosi alle norme sulla trasparenza degli atti pubblici.
Intanto, iniziamo a vedere come da sempre si pone Le Monde verso glifosate: nel 2017 Stéphane Foucart firmò un articolo dal titolo "Glyphosate: Monsanto tente une dernière manœuvre pour sauver le Roundup" ("Glifosate: Monsanto tenta un'ultima manovra per salvare Roundup"), nel cui sommario si afferma che “La firme de Saint Louis est impliquée dans une campagne de dénigrement visant le toxicologue américain Christopher Portier” ("la Casa di St.Louis è implicata in una campagna denigratoria contro il tossicologo americano Christopher Portier"). Quindi, nel più totale disprezzo delle evidenze emerse, secondo Le Monde sarebbe stata Monsanto a tramare per denigrare Portier. Non viceversa.
Non si capisce bene da quali presupposti sia partito il ragionamento dei colleghi transalpini, i quali erano e sono perfettamente al corrente delle inclinazioni ideologiche di Portier e delle consulenze strapagate dagli studi legali che preparavano la class action contro Monsanto. A dispetto infatti di ogni evidenza del duplice e mostruoso conflitto di interessi che gravava su Portier, Le Monde decise di schierarsi a favore di quest'ultimo e contro Monsanto.
Forse per capire meglio il loro modo di pensare sarebbe interessante agire sul tempo come nel film "Sliding doors" e cambiare la trama della storia, mettendo Portier come consulente segreto di Monsanto per manovrare il giudizio dello Iarc. In tal caso, forse, una tale accalorata difesa del tossicologo americano non si sarebbe vista.
Né pare che Le Monde sia interessato a parlare dello studio, quello sì tenuto nel cassetto, del National Cancer Institute americano. Cioè quello studio favorevole a glifosate che Aaron Blair, chairman del gruppo Iarc che valutò glifosate, dovette ammettere in tribunale di non aver pubblicato per tempo senza dare di ciò spiegazione alcuna. Poi se ne andò in pensione.
Oggi Le Monde, con il suo attacco immotivato all'Anses, conferma quanto sia profonda la differenza tra fare propaganda e fare giornalismo di inchiesta. Un vizio che purtroppo va per la maggiore anche nei media italiani, su carta, su web o televisivi.
Studi inutili se svolti con vecchi formulati
Gli studi sui quali Anses avrebbe dovuto operare erano tutti basati su vecchi formulati di glifosate contenenti ancore le famigerate amine di sego, o tallow amine. Questi coformulanti erano sì molto efficaci, ma portavano con sé un profilo tossicologico negativo, motivo per il quale vennero proibiti a livello europeo. A conferma, nel 2016 vi fu una falcidia di revoche di vecchi formulati che ancora li contenevano. Peraltro, l'allora Monsanto aveva già da anni sviluppato e commercializzato nuovi prodotti avulsi da ammine di sego.
Quindi insistere con il tormentone degli studi "nascosti" di Anses è pratica del tutto priva di senso, poiché quegli studi a oggi non hanno più alcun valore per il semplice motivo che quei formulati non esistono più. Inoltre, vi sono pareri superiori perfino a quello di Anses che dicono che no, glifosate non è genotossico.
Volendo quindi essere corretti, quegli studi andrebbero svolti ancora tutti, ma con i formulati nuovi. Anche così, però, si ripeterebbe il solito errore di usare formulati al posto della sostanza attiva. Questa magagna, più volte sottolineata, nasce infatti dall'uso di formulati commerciali per irrorare cellule in vitro che quei formulati di fatto non vedranno mai come tali.
Perfino Bruce Ames, inventore di quegli studi in vitro, ha poi passato il resto della vita a spiegare di quanto si fosse pentito di averli sviluppati, poiché gli usi che ne sono stati poi fatti non erano quelli che lo scienziato americano intendeva.
La presunta genotossicità di glifosate
Nonostante le premesse di cui sopra, giova comunque fare un breve riassunto del tema "glifosate-genotossicità", ripercorrendo alcuni studi che parrebbero deporre in tale direzione e che sono stati presi in considerazione nella monografia 112 di Iarc.
Per esempio, compare una ricerca condotta da Moya et Al(1) su cellule di tre differenti organismi, fra cui anche linfociti umani. Nota positiva: le prove, basate sul metodo del Comet Assay, sono state condotte con la sola sostanza attiva, usandola a concentrazioni nell'ordine dei microgrammi per litro e osservando un allungamento delle cosiddette "code" dei linfociti.
Bene precisare che per quanto basse possano essere considerate quelle concentrazioni, esse sono comunque molto più elevate di quelle che transitano, per dire, nel nostro lume intestinale, ove glifosate si può trovare nell'ordine dei nanogrammi per litro. Cioè mille volte sotto. Per giunta, i due terzi di quel glifosate finisce nel water con le feci e il rimanente terzo va a seguire il medesimo destino tramite urine nel volgere di pochi giorni. Quindi ai nuclei delle nostre cellule, linfociti inclusi, usando molta ma molta fantasia può arrivare qualche picogrammo se non qualche femtogrammo di glifosate. Cioè un milionesimo o un miliardesimo della dose impiegata su linfociti in vitro da Moya et al. E si ripete: usando molta fantasia.
Peraltro, alcune puntualizzazioni vanno fatte proprio sui Comet Assay, chiesti a gran voce dagli ambientalisti anche a questo giro di giostra contro Anses. Non si capisce infatti bene se non si rendano conto che tali prove sono già state condotte e hanno rivelato come di rischi genotossici per glifosate, nella realtà, non ve ne siano. Per questo non v'è agenzia o autorità mondiale che consideri l'erbicida come potenzialmente genotossico.
Inoltre, quando applicati ai linfociti i Comet Assay sono influenzati da fattori quali genere, età, alimentazione e vizio del fumo(2). Quindi vanno svolti con estrema attenzione alle variabili in gioco. Ancora, i risultati dei Comet Assay non sempre sono espressione di reali danni al Dna tali da indurre patologie misurabili epidemiologicamente. Va infatti tenuto sempre in considerazione che un conto è lavorare su cellule sospese in un brodo di coltura di laboratorio, un altro è considerare un organismo intero, con tutti i propri sistemi di detossificazione attivi. Motivo per il quale agli studi "colpevolisti" di laboratorio non corrispondono mai epidemiologie con essi coerenti.
Purtroppo, molti fra i test di genotossicità presi in considerazione da Iarc sono stati svolti con alte dosi proprio su cellule isolate, usando i vecchi formulati commerciali ed evidenziando in tal modo danni alle cellule o al Dna. Si parla di concentrazioni fino a 10 milligrammi per litro: un'enormità.
Ciò è per esempio avvenuto in alcuni lavori pubblicati(3) da un gruppo di autori fra i quali risalta il nome di Gilles Eric Séralini, il ricercatore dell'Università di Caen che provò senza successo a dimostrare che gli ogm sarebbero cancerogeni, pubblicando poi il libro–denuncia "Siamo tutti cavie" e rimediando il biasimo di gran parte della comunità scientifica internazionale.
Nei suoi studi su glifosate il professore di Caen ha utilizzato un sistema abbastanza semplice: applicare dosi altissime perché così qualche cosa alla fine pur succede. Tanto poi nessuno va a vedere se quelle concentrazioni fossero ragionevoli, oppure fossero bombe atomiche che nulla avevano a che vedere con le condizioni misurabili in realtà.
Infine, altri studi sono stati svolti nel 1997 da Bolognesi et Al(4). In tal caso la genotossicità verso linfociti umani sarebbe stata raggiunta operando a dosi fra 1 e 6 milligrammi/millilitri, cioè da uno a sei grammi per litro: in pratica, dosi vicine a quelle utilizzate in un diserbo in pieno campo.
Difficile poi considerare verosimile un effetto distruttivo sul Dna a seguito di una somministrazione intraperitoneale (iniezione nel ventre) di una dose prossima a quella letale, ovvero la cosiddetta LD50. In tali condizioni di somministrazione e a tali dosi le cellule si disfano letteralmente, quindi che il Dna si rompa lascia stupiti quanto potrebbe stupire un vaso di cristallo che si rompa quando gettato dal tetto di un grattacielo. Se queste sono le prove della genotossicità di glifosate, si può quindi suggerire ai cittadini di dormire sonni più che tranquilli.
Nota per tutti
Se proprio si ha paura che il nostro Dna subisca danni, allora è meglio non esporsi alla luce del naturalissimo Sole. Dopo qualche ora di tintarella i nuclei delle nostre cellule epiteliali sono stati infatti bombardati da quei raggi Uv che sul nostro Dna agiscono come bocce da bowling sui birilli. Dopo lo strike, il nostro sistema di riparazione taglia e ricuce le sequenze di basi puriniche e pirimidiniche, al fine di ristabilire l'ordine originale nei nostri geni.
Non sempre però ce la fa e danno dopo danno qualche cellula impazzisce e sviluppa un melanoma. E questi sì che sono danni reali, oggettivamente misurati e altrettanto oggettivamente correlati al cancro. Tanto è vero che i raggi Uv sono in Gruppo 1 della Iarc, quello dei "sicuramente cancerogeni". A buon intenditor…
Conclusioni
- Anses non ha insabbiato niente, a differenza di altri protagonisti della saga su glifosate. Ha solo rinunciato a completare un report che aveva ormai senso dal poco al nullo. Ora lo ha dovuto pubblicare, ma solo per evitare processi capziosi e strumentali atti più che altro a minare la fiducia dei cittadini nelle autorità delegate alla difesa della loro salute. Ciò nulla cambierà però dal punto di vista della valutazione complessiva di glifosate: non è genotossico e sarà quindi meglio che le compagini pseudoecologiste se ne facciano una ragione. Giornalisti inclusi.
- La denuncia di Le Monde appare sterile e motivata solo da orientamenti ideologici, quindi in linea con le posizioni antiglifosate espresse già in passato dal giornale, senza mai dare notizia di tutte le informazioni che invece deponevano a favore dell'erbicida. Un esempio squallido di cherry picking giornalistico.
- La genotossicità di glifosate è solo uno dei tanti fantasmi agitati agli occhi del pubblico, sfruttando il fatto che questo non sa che dietro al lenzuolo nulla c'è. I test di laboratorio che alimentano questa percezione non hanno infatti alcuna connessione con gli scenari reali, ove la popolazione è esposta a dosi di glifosate da migliaia a milioni di volte inferiori a quelle che potrebbero sviluppare quegli effetti.
Riferimenti bibliografici consigliati
(1) Alvarez–Moya C, et al. (2014): "Comparison of the in vivo and in vitro genotoxicity of glyphosate isopropylamine salt in three different organisms". Genet Mol Biol, 37(1):105–10
(2) Bajpayee et al (2005): "Comet assay responses in human lymphocytes are not influenced by the menstrual cycle: a study in healthy Indian females". Mutat Res. 2005 Jan 3;565(2):163–72
(3) Gasnier et al (2009): "Glyphosate–based herbicides are toxic and endocrine disruptors in human cell lines". Toxicology, vol. 262, pp. 184–91
(4) Bolognesi et al (1997): "Genotoxic Activity of Glyphosate and Its Technical Formulation Roundup". Journal of Agricultural and Food Chemistry, vol. 45, pp. 1957–62