Se escludiamo le valutazioni degli Ogm “glyphosate tolerant”, l’Efsa ha esaminato gli aspetti più disparati del celebre erbicida pubblicando 14 pareri motivati su di un totale di 33 pubblicazioni, tutte accessibili sul suo portale.
Di questi lavori cinque sono conclusioni riepilogative richieste dalla Commissione Ue nell’ambito del rinnovo dell’approvazione europea (regolamento 1107/2009) e del regolamento 396/2005 sui residui degli agrofarmaci nelle derrate alimentari (non dimentichiamoci che l’Efsa è l’Autorità europea per la sicurezza alimentare).

Uno degli ultimi lavori riguarda la materia dove l’Efsa è più “ferrata”, la sicurezza alimentare, e consiste nella consueta valutazione del rischio per il consumatore esposto ai residui dell’erbicida nelle derrate alimentari. Il risultato dell’esame è tutto sommato positivo, anche se come sempre l’agenzia ha chiesto alcuni approfondimenti riguardanti i metaboliti Ampa ed N-acetyl-glyphosate, che verranno inseriti nella nuova definizione di residuo (attualmente si prende in esame il solo “parent”); non è ben chiaro se solo nella valutazione del rischio o anche nel monitoraggio1.

Applicando cautelativamente fattori di conversione che sovrastimano il rischio, l’esposizione cronica2 si aggira intorno al 10% della dose massima tollerabile (Adi: Acceptable Daily Intake), mentre quella acuta arriva non supera il 60% per i fagioli secchi3. Considerando invece i limiti del Codex, validi anche nel resto del mondo e generalmente più elevati, il rischio rimane accettabile, in quanto non supera il 20% per l’esposizione cronica e arriva al 91% per quella acuta, riferita ai residui su barbabietola da zucchero.

Per confrontare questi valori con i risultati dei controlli residui occorre andare oltreoceano, dove il glifosate viene utilizzato in post-emergenza sulle colture geneticamente modificate (principalmente mais e soia). Quello che siti ambientalisti hanno descritto come situazione a forte rischio, conferma invece che non è certo del glifosate di cui i “risk managers” si devono preoccupare: in uno studio condotto su alcuni alimenti confezionati il residuo più alto riscontrato per il glifosate è stato 1125,3 ppb (parti per miliardo), pari a 1,126 mg/kg, sui “Cheerios”, merendina a base di farine di cereali. Nella valutazione condotta da Efsa il fattore di conversione che trasforma i residui sulla coltura in residui sulle farine si aggira intorno a 1, per cui i residui sui cereali non subiscono sostanzialmente variazioni nella trasformazione in farina. Poiché l’attuale limite varia da 10 a 20 mg/kg e l’Efsa non ha eccepito sull’innalzamento a 30, ma di cosa stiamo parlando?

 L’inserimento dei metaboliti nella definizione di residuo consente una più precisa valutazione del rischio per il consumatore ma al tempo stesso è più onerosa per l’effettuazione dei controlli analitici. La prassi normalmente adottata è considerare i metaboliti solo nella valutazione del rischio e, dopo aver trovato un fattore di conversione tra il “parent” (il glifosate) e i suoi metaboliti, effettuare il monitoraggio solo sul glifosate.

 Ipotizzando che l’esposizione avvenga per l’intera vita.

 Per esposizione acuta si intende la quantità massima di residui che viene assunta nell’arco di una giornata e/o di un singolo pasto, in generale in una “scorpacciata”.

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