Gli scarti di potatura - che un tempo erano una preziosa risorsa da usare come combustibile - sono diventati nella agricoltura moderna praticamente un rifiuto da gestire e da smaltire con un certo costo economico e a volte anche ambientale.

 

Sebbene possano anche oggi essere usati come combustibile o trasformati in biochar, nella maggior parte dei casi vengono smaltiti in campo.

 

Solitamente vengono bruciati, cosa che oltre a comportare un certo dispendio di lavoro e un totale spreco energetico, ha delle problematiche legate soprattutto alla produzione di fumi e di polveri sottili, tanto che in molti comuni in certi periodi dell'anno è vietato bruciarli per limitare l'inquinamento dell'aria. 

 

In altri casi vengono trinciati e lasciati sul terreno, cosa che evita la produzione di fumi e contribuisce all'aumento della sostanza organica del suolo e al sequestro di CO2, ma che comunque comporta un costo in termini di lavoro e di consumo di carburante.

 

Ma potrebbero essere usati per la produzione di pellet per uso domestico o industriale?

 

Verrebbe ovviamente da rispondere di sì, ma la cosa non è così immediata, almeno per quanto riguarda gli scarti di potatura della vite, come ha dimostrato uno studio portoghese recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Agriculture (Florindo et al., 2022).

 

I ricercatori dell'Istituto politecnico di Viana do Castelo, nel Nord del Paese, hanno valutato la composizione chimica del legno dei tralci potati e la qualità del pellet che potrebbe derivare, oltre alla quantità ad ettaro producibile e al possibile valore economico.

 

Le valutazioni sono state fatte sugli scarti di potatura del vigneto sperimentale della Scuola Superiore di Agraria dello stesso Istituto Politecnico di Viana do Castelo.

 

Dal punto di vista chimico, il legno dei tralci ha tutte le caratteristiche per poter produrre un pellet di qualità secondo gli standard internazionali Enplus®, ad eccezione di 2 parametri: le ceneri e il contenuto di rame.

 

Per la produzione di ceneri, il pellet producibile dagli scarti di potatura delle viti analizzate in Portogallo sfora i parametri per rientrare nelle categoria A1 e A2 degli standard Enplus®, le categorie di maggior pregio, ma potrebbe essere usato per un pellet di categoria B.

 

Il vero problema invece è stato il contenuto di rame, che sfora di oltre 2 volte e mezzo i limiti ammessi per la produzione di pellet. Rame derivante da 2 soli trattamenti fatti al vigneto nell'anno di prova.

 

I tralci di potatura quindi non possono essere usati per produrre un pellet di legno di vite al 100%. Però i tralci possono essere usati in miscela con altri legni, anche se comunque alcuni problemi possono rimanere a seconda delle percentuali usate.

 

Facendo un pellet con il 50% di scarti di potatura della vite e l'altro 50% di legno di pino, il contenuto di rame rimane ancora troppo alto da non rendere certificabile il prodotto.

 

Usando invece una miscela contenente il 25% di legno di vite, si può riuscire ad ottenere un pellet di categoria A2, e riducendo la percentuale degli scarti di potatura del vigneto al 10% si riesce ad ottenere un pellet di categoria A1.

 

Gli scarti di potatura della vite quindi si possono usare per fare pellet di qualità, anche se non da soli.

 

Ma quanto legno scarto produce un vigneto?  

 

La biomassa dei tralci potati ovviamente varia da zona a zona e dal tipo di impianto e dalle tecniche colturali, ma in media i ricercatori portoghesi hanno stimato una produzione media di circa 3,5 tonnellate ad ettaro.

 

Più difficile è valutarne il valore commerciale. I dati riportati nello studio, per quanto raccolti poco più di un anno fa, non sono più in linea con i prezzi della legna e del pellet che sono stati oggetto di rincari e speculazioni fortissimi.

 

In ogni caso, con la crisi energetica di oggi, il valore della biomassa è comunque salito.

 

In conclusione quindi gli scarti di potatura della vite, pur con alcuni limiti, possono essere una risorsa interessante, sia per le aziende, che se non altro si risparmierebbero i costi di smaltimento, sia per la collettività e per l'ambiente, valorizzando uno scarto che può contribuire al fabbisogno energetico e alla riduzione dell'uso delle risorse forestali.

 

Resterebbero i problemi legati alla logistica della raccolta e del conferimento ai centri di lavorazione, ma se si crea l'interesse economico e una filiera funzionante, sono problemi facilmente risolvibili.