Un'annata da incubo per i pericoltori italiani, come si sa la produzione è stata dimezzata, rispetto agli anni precedenti, a causa di problematiche climatiche ed emergenze fitosanitarie. Per la prima volta quest'anno, l'Italia è stata superata dall'Olanda nella produzione. La mancanza di prodotto, soprattutto per le Abate, spinge i prezzi in alto ma mai a sufficienza per compensare le scarse rese (in annate normali, la resa di un ettaro si aggira attorno alle 25 tonnellate). In molti stanno espiantando, è una diceria che circola nell'ambiente, il dato reale lo si conoscerà solo l'anno prossimo, per ora si sa che dal 2008 al 2018 gli ettari in produzione in Italia sono passati da 37.096 a 29.616.

Come trovare motivazioni per non mollare? Abbiamo cercato qualche risposta fra gli operatori del settore, durante l'ultima edizione di Futurpera, la principale fiera dedicata alla pericoltura che si tiene ogni due anni, a Ferrara (il cuore della produzione pericola italiana). Per resistere ci vogliono aggregazione, comunicazione, organizzazione, qualità e anche una certa dose di buona sorte: "Per il 2020 bisogna sperare di avere una vera primavera, con buona allegagione, come è sempre stato" ci ha detto Gabriele Ferri, direttore di Naturitalia. "Per le altre due incognite, cimice asiatica e maculatura bruna, sono convinto che, come in passato per altre emergenze, si arriverà a una soluzione tecnica".

La sensazione comune è comunque che senza aggregazione non si vada da nessuna parte: "Noi siamo un caso di aggregazione - ci ha raccontato Alessandro Zampagna, direttore di Origine group, consorzio che raggruppa nove gruppi ortofrutticoli - il problema è che sono ancora moltissime le aziende non aggregate e alcune operazioni si riescono a fare solo quando si ha una certa dimensione. Per fare pubblicità, per lavorare con certi clienti, per fare ricerca, occorrono certe dimensioni".

Della stessa idea Luca Granata, direttore generale di Opera, organizzazione specializzata esclusivamente in pericoltura e che rappresenta un quarto della produzione italiana: "Bisogna creare un'aggregazione in grado veramente di influenzare il mercato. Zespri, per esempio - ha detto proprio Granata ad AgroNotizie - commercializza il 100% del kiwi della Nuova Zelanda. Il nostro consorzio, purtroppo, non è mai andato oltre il 25% di rappresentatività e l'altro 75% è molto frammentato. E' complesso avere una certa comunione d'intenti quando bisogna dialogare con così tanti soggetti. Anche per pianificare pubblicità efficace ci vogliono certe dimensioni".
Alessandro Zampagna, di Origine group, è convinto che si potrebbe puntare sull'Igp per valorizzare il prodotto italiano: "Abbiamo il Consorzio di tutela pera Igp dell'Emilia Romagna ma copre una percentuale ancora troppo bassa di prodotto. Il fatto che sia prodotto certificato ha un appeal, in Italia soprattutto, ma in generale anche all'estero".

Già, i mercati esteri. Alcuni sono appena stati aperti, altri lo saranno in tempi ragionevolmente brevi. Proprio durante Futurpera, Cso Italy ha reso noti i mercati con i quali si sta dialogando: la Cina è a buon punto, ci sono poi trattative in corso con Messico, Sudafrica e Usa. Nuove possibilità di sbocco per la pera italiana, una volta che la produzione sarà tornata alla normalità: "Sicuramente aprire nuovi mercati è sempre molto importante anche se abbiamo notato che non basta aprire, bisogna frequentare questi mercati con comunicazione, con massa critica, non serve arrivare su un mercato con un prodotto poco noto. Serve poi essere pronti con prodotti in linea per quei mercati", ha detto ancora, ad AgroNotizie, Gabriele Ferri di Naturitalia.

"E' certamente utile ma non dobbiamo dimenticare che oltre il 90% delle esportazioni delle nostre pere è in Europa, dobbiamo non perdere spazi di mercato dove già esportiamo", gli ha fatto eco Luca Granata. A proposito della questione quote di mercato, nel mare di negatività, proprio Ferri intravede un segnale positivo: "La presenza sui mercati esteri quest'anno di Conference da Belgio e Olanda è massiccia, ciò permetterà al consumatore fedele alle nostre Abate di provare pere diverse. Il segnale positivo però è che c'è una fascia di consumatori estremamente attratta dall'Abate, i prezzi di quest'anno non si erano mai visti gli anni precedenti eppure continuano ad acquistare Abate. Abbiamo quindi consumatori fidelizzati in modo importante, dobbiamo fare leva su questo, le caratteristiche positive delle Abate andranno enfatizzate. Che i fedeli restino tali e che chi ha trovato l'alternativa possa ritornare all'Abate perché ha qualcosa di più dal punto di vista di gusto e aspetto rispetto alla Conference di Belgio e Olanda".

Le Abate sono ancora la varietà preponderante in Italia. Pur nella diminuzione di ettari generalizzata per tutte le varietà, le Abate rappresentano, a livello nazionale, il 43%. "L'Abate è praticamente una varietà solo italiana, in Europa, e va valorizzata" ha detto ancora ad AgroNotizie Alessandro Zampagna di Origine group. "Occorre fare grande attenzione alla qualità e fare attività di promozione mirata. Noi poi stiamo cercando nuove varietà. Abbiamo appena presentato Fred, una pera di calibro non eccessivo, che ben si conserva, tardiva. E' una pera croccante che si mangia quasi come una mela. Fra l'altro ha una buona produttività, prima di vederla sugli scaffali passerà qualche anno, stiamo impiantando adesso. I primi impianti andranno in produzione fra tre anni e a quel punto bisognerà pensare alla promozione verso il consumatore. Oltre alla Fred, stiamo comunque ancora puntando a nuove varietà", ha concluso Zampagna.