Sebbene nell'ultimo anno, a livello globale, gli investimenti in startup AgriFoodTech siano crollati, l'Italia è un Paese piuttosto dinamico, con molte iniziative e la consapevolezza di avere un tessuto imprenditoriale forte, fatto di piccole e medie aziende, che potrebbe avvantaggiarsi di una collaborazione con il mondo delle startup.

 

A dare impulso a questo paradigma di open innovation e a sostenere la crescita delle startup ci pensa Eatable Adventures, un acceleratore con sede in Spagna che è molto attivo anche in Italia attraverso diverse iniziative. Abbiamo incontrato Alberto Barbari, responsabile delle attività di Eatable Adventures in Italia, per capire quali sono i progetti portati avanti dall'acceleratore qui in Italia e quali sono le prospettive per il futuro del settore.

 

Barbari, ci puoi innanzitutto spiegare chi è Eatable Adventures?

"Si tratta di un acceleratore di startup verticale sul settore dell'innovazione in agricoltura e lungo tutta la filiera agroalimentare. Abbiamo sede a Madrid e gestiamo un fondo da 30 milioni di euro in Lussemburgo, attraverso il quale investiamo direttamente nelle startup che acceleriamo".

 

Quali sono le attività che avete in Italia?

"Abbiamo aperto la sede a Verona lo scorso anno e seguiamo principalmente tre filoni di sviluppo. Il primo riguarda la promozione di strategie di open innovation nel settore corporate. Il secondo è il programma di accelerazione FoodSeed. La terza iniziativa invece ha come obiettivo la promozione di un ecosistema AgriFoodTech italiano attraverso il Verona Agrifood Innovation Hub".

 

Lo scorso anno abbiamo pubblicato un articolo relativo al vostro report sull'open innovation nelle aziende agrifood italiane. Come lavorate su questo tema?

"L'Italia è una vera potenza dal punto di vista dell'industria agroalimentare. Ci sono molte aziende, anche di medie e grandi dimensioni, che hanno un knowhow produttivo che rappresenta un'eccellenza a livello globale. Tuttavia sono ancora poco sensibili sul fronte dell'open innovation, inteso come un approccio di apertura verso realtà esterne, come ad esempio le startup, per lo sviluppo di nuovi prodotti, tecnologie o servizi".

 

Attraverso quali strumenti promuovete questo approccio?

"Organizziamo eventi, workshop e contest attraverso i quali cerchiamo di fare matching tra le aziende e le startup. Abbiamo lanciato dei progetti importanti con singole aziende, come ad esempio Amadori, o con associazioni, come Italia del Gusto. Abbiamo anche promosso un contest sul settore del packaging".

 

Veniamo ora al cuore delle vostre attività in Italia. Che cos'è FoodSeed?

"FoodSeed è un acceleratore dedicato alle startup che sviluppano soluzioni o servizi per il mercato FoodTech e AgriTech, ed è parte della Rete Nazionale Acceleratori CDP. È un'iniziativa a cui partecipano anche Fondazione Cariverona e UniCredit. Noi siamo coinvolti in qualità di coinvestitore e gestore operativo del programma. L'acceleratore ha inoltre il sostegno di Amadori, Cattolica Assicurazioni (Gruppo Generali), VeronaFiere, Università degli Studi di Verona e CGIAR in qualità di partner scientifici".

 

In che cosa consiste il vostro programma di accelerazione?

"Ogni anno apriamo le candidature per le startup che vogliono aderire al nostro percorso di accelerazione di sei mesi, all'interno del quale forniamo servizi di coaching e mentorship, nonché mettiamo a disposizione degli startupper il nostro network e quello delle aziende che aderiscono a FoodSeed. Inoltre investiamo direttamente 170mila euro a startup in cambio di una parte dell'equity".

 

In quali tipologie di startup investite?

"FoodSeed è un acceleratore verticale specializzato nella filiera agroalimentare e dunque investiamo in startup che operano dall'agricoltura alla trasformazione dei cibi fino al packaging. Investiamo in startup early stage, ma che abbiano già un prodotto o una tecnologia validata. Siamo particolarmente interessati alle startup deep tech e a quelle che fanno innovazioni scalabili e lanciabili prontamente sul mercato".

 

Qual è il modello di business che avete adottato?

"Investiamo direttamente nelle startup in cambio di una parte dell'equity, ma il nostro obiettivo non è quello di arrivare ad una exit il prima possibile. Noi, su impulso anche di CDP, ci vediamo come degli investitori strategici di lungo periodo, che hanno interesse a far crescere le startup prima di disinvestire".

 

Quali sono oggi le problematiche più impellenti del settore?

"Certamente il tema della sostenibilità ambientale è in primo piano, come anche l'adattamento ai cambiamenti climatici. Ci sono poi le proteine alternative a quelle di origine animale, come anche il settore della fermentazione. Siamo anche molto interessati a soluzioni che migliorino gli attuali processi produttivi. Ad esempio Hypesound è una startup che attraverso le vibrazioni sonore riesce a velocizzare i processi di fermentazione, una innovazione molto desiderabile da diverse industrie".

 

Qual è il livello qualitativo delle startup italiane?

"Spesso ci sottovalutiamo come Paese, ma le nostre startup non hanno nulla a che invidiare a quelle degli altri Paesi europei o degli Stati Uniti. Forse quello che ci manca è un po' di grinta e di ambizione, oltre ad un approccio talvolta poco manageriale, a cui tuttavia sopperiamo attraverso il nostro percorso di accelerazione".

 

La tecnologia di punta in molti settori è oggi l'intelligenza artificiale. Lo è anche nel comparto agrifood?

"Assolutamente , l'intelligenza artificiale è quella che noi definiamo una tecnologia abilitante, poiché avrà un impatto trasversale su tutta la filiera. Siamo appena agli inizi, ma le potenzialità per rivoluzionare questa industria ci sono tutte".

 

Quali altre tecnologie sono interessanti?

"La robotica e l'automazione sono sicuramente importanti, specie nella parte agricola. Anche la sensoristica avanzata ha grandi prospettive, come anche il biotech e la fermentazione. Ma siamo interessati pure a nuove forme di distribuzione e allo sviluppo di nuovi cibi".

 

Nel resto d'Europa e negli Usa sembra essere esplosa la bolla delle vertical farm. L'Italia invece è in controtendenza. Qual è la sua chiave di lettura?

"Le coltivazioni indoor possono essere interessanti, ma vedo una serie di limiti. Prima di tutto il fatto che sono capex intensive, in secondo luogo si focalizzano su un numero ristretto di colture con un valore aggiunto basso. Credo che la loro sostenibilità economica passi da un efficientamento dei sistemi produttivi e da una diversificazione delle colture che offrano un alto valore aggiunto. Ad esempio noi abbiamo investito in Ekonoke, una startup che coltiva luppolo indoor per far fronte al problema del cambiamento climatico".

 

Veniamo ora alla vostra terza linea di intervento, il Verona Agrifood Innovation Hub. Di che cosa si tratta?

"È un progetto che ha come obiettivo quello di far crescere e avanzare l'ecosistema dell'innovazione della filiera agroalimentare in Italia. Vogliamo contribuire a gettare le basi di quel tessuto dal quale nasceranno le prossime startup attraverso incontri, networking, ricerche ed eventi, coinvolgendo tutti gli stakeholder di settore".

 

Chi sono i partner del Verona Agrifood Innovation Hub, oltre ad Eatable Adventure?

"Il progetto è sostenuto da Fondazione Cariverona, UniCredit, Comune di Verona, VeronaFiere, Confindustria Verona e Università degli Studi di Verona".