Il 25 febbraio, a Bruxelles, ancora un nulla di fatto dalla votazione sull'autorizzazione alla coltivazione del mais geneticamente modificato 1507 di Pioneer Hi-Bred. Nessun accordo è stato trovato da parte dei rappresentanti dei Ministeri dell’Ambiente dei Paesi Membri dell’EU, nonostante la votazione sia giunta al termine di un lungo iter burocratico-legislativo che ha visto una serie di imprevisti, di ritardi e di rinvii. Il mais 1507 è perlatro coltivato nel mondo su scala dal 2003 e gode di ben tre pareri positivi da parte dell’Autorità Europea sulla Sicurezza Alimentare (EFSA). Con Paolo Marchesini, Public Affairs Manager di Pioneer, affrontiamo i punti salienti di questa vicenda.
Dr. Marchesini, partiamo dal semplice: l’ibrido di mais 1507, cosa è tecnicamente?
L’ibrido 1507 è un mais modificato geneticamente per essere resistente alla piralide. Grazie però al suo particolare corredo genetico (derivante da ceppi del Bacillus thuringiensis) il 1507 appare anche efficace su Sesamia, fitofago emergente nella maiscoltura di molte regioni. Ma non è solo lo spettro d’azione ad essere più ampio: il 1507 si dimostra alquanto performante in termini di efficacia assoluta, aspetto che lo rende interessante anche nei confronti dei fenomeni legati alla resistenza da parte dei fitofagi.
Il 1507 è già commercializzato in diversi Paesi al mondo, ma quali sono le potenzialità d’impiego a livello europeo?
Una forte ragione d’essere il 1507 ce l’ha soprattutto nella fascia europea mediterranea temperata, dove più forte è la presenza dei fitofagi. Quindi, tutta la penisola iberica, Italia, Francia e germania meridionale, Polonia, Romania, più ovviamente Balcani e Grecia.
E i benefici derivanti dal suo uso, in sostanza, a chi vanno?
Vi sono due grandi categorie di benefici: la prima è di tipo ambientale, visto che la sostenibilità è divenuta nel tempo argomento estremamente attuale. Il 1507 permette infatti di ridurre l’uso di insetticidi. Questo appare un vantaggio soprattutto considerando che tipo di prodotti è generalmente utilizzato: essendo per lo più ad ampio spettro, questi insetticidi colpiscono anche organismi non bersaglio. Inoltre, per diversi motivi, la loro efficacia arriva spesso a non più del 50%: se pensiamo che il danno medio si aggira sul 15-20%, ma che può arrivare anche al 40%, dei 130-140 q/ha se ne possono perdere anche 20-30 q/ha, equivalenti a 200-400 €/ha. Se consideriamo che in Italia importiamo circa il 15-20% del mais complessivo, salvando queste produzioni potremmo ridurre molto le importazioni, con grande beneficio della bilancia commerciale nazionale. La seconda ragione è di tipo sanitario: le micotossine che invadono le cariossidi si avvantaggiano degli attacchi della Piralide: abbattendo l’infestazione non solo si salvano quintali di prodotto, ma se ne innalza anche il livello qualitativo delle produzioni.
Quanti anni di ricerca e quali investimenti ci sono voluti per mettere a punto un ibrido come il 1507?
In realtà lo sviluppo di un ibrido non finisce mai, perché anche dopo la sua immissione in commercio si continua a provare, sperimentare, migliorare. Fermandoci al momento dell’autorizzazione alla coltivazione, possiamo dire che un progetto di ricerca del genere richiede almeno un decennio di lavoro. A luglio 2001 è stata presentata la debita documentazione alle autorità europee. Pensi che per contenere tutti i dati prodotti ci vuole un mucchio di dossier alto quasi 1,5 metri di altezza. Una mole di informazioni impressionante. Il processo coinvolge peraltro il team di ricerca di tutta la società a livello mondiale, dato che va testato in molte condizioni differenti, sia climatiche che agronomiche.
Andando al cuore dell’intervista, cosa si intende per “aver fallito nel dare un voto decisivo”?
I tempi per ottenere l’autorizzazione avrebbero dovuto essere di un anno e mezzo. Siamo ormai arrivati a più di sette. Ma non solo: in questi 7 anni e mezzo il dossier si è arenato spesso nel corso del processo. Dopo aver effettuate le valutazioni di carattere ambientale, l’opinione - a un certo punto - avrebbe dovuto pur ben essere formulata. Invece, dopo ben tre opinioni favorevoli dell’EFSA, giunte al termine di un processo d’indagine estremamente rigoroso e capillare, la decisione non è ancora arrivata. Il secondo aspetto è un po’ più sottile e ci lascia perplessi: l’iter di indagine scientifica è stato fortemente voluto proprio dai Paesi che sono andati a votare, i quali poi pare non abbiano tenuto in debita considerazione i risultati di indagini effettuate proprio secondo i loro stessi requirements.
Su quali punti la Commissione Europea ha votato in modo negativo?
Non sono chiare le posizioni e le motivazioni puntuali. Però, dai comunicati stampa emerge una lista di posizioni dei differenti Paesi senza che spicchino in modo chiaro le motivazioni che hanno portato al no finale. Possiamo solo registrare generiche asserzioni circa l’incompletezza dei dati. Nonostante alle obiezioni dei Paesi EU l’EFSA abbia risposto in modo chiaro, alla fine è arrivato il no, che quindi non sembra basato su temi squisitamente scientifici.
E qual è la risposta di Pioneer a queste obiezioni?
Come società, Pioneer non ha ovviamente il potere di influenzare le decisione. Può solo rendersi disponibile a fornire nuove informazioni se richieste. Possiamo però fare notare come nel 2007 il 1507 sia stato autorizzato tra i prodotti d’importazione. E’ quindi già da due anni che il 1507 arriva, più o meno direttamente, nelle nostre tavole. Poterlo coltivare anche in Unione Europea porterebbe quindi importanti benefici al settore agroalimentare. Dobbiamo sottolineare come ci siano ben 11 Paesi nel mondo che già lo producono e/o consumano: USA, Canada, Argentina, Sudafrica, Messico, Australia, Cina, Colombia, Giappone, Filippine, Thaiwan. Il rischio inoltre è quello di avere disparità di autorizzazioni tra Paesi dove ci sono moratorie e dove no, creando delle sperequazioni tra aree geografiche intra-europee.
Quali saranno quindi i prossimi appuntamenti normativi e in quale sede?
Se il Comitato Permanente (dei rappresentanti dei ministeri) non raggiunge l’accordo, la votazione verrà riproposta entro 180 gg al Consiglio dei Ministri dell’Ambiente. Da questo Consiglio emergerà ovviamente una votazione di tipo “politico”, nella quale si auspica l’ottenimento di una maggioranza qualificata. Se anche in questa sede non si arrivasse però a una decisione, il dossier ritornerebbe in mano al Comitato, il quale a questo punto si dovrebbe in teoria rifare esclusivamente alle evidenze scientifiche prodotte dall’EFSA. Entro il 2009, quindi, si spera che il destino del 1507 sia comunque deciso.