Il Prosecco in pericolo. Potrebbe diventare Prošek. Per la seconda volta da quando è entrata a far parte dell'Unione Europea nel 2013, la Croazia ha infatti avviato la procedura di riconoscimento europeo della denominazione di origine per alcuni vini da dessert prodotti in Dalmazia (regione costiera a Sud del Paese). Nello specifico stiamo parlando del Dalmatinska zagora, il Sjeverna Dalmacija, il Srednja i Južna Dalmacija e il Dingac che, in caso di parere favorevole, vedrebbero apposta sull'etichetta la dicitura Prošek.

Nel 2013 l'esito del primo tentativo fu negativo e la richiesta venne respinta, con grande soddisfazione dell'Italia. La Commissione Europea ritenne, a quel tempo, che la registrazione potesse entrare in conflitto con la Dop del Prosecco ottenuta dal prestigioso vino italiano già nel 2009. Si ritenne che il nome simile avrebbe potuto trarre in inganno il consumatore inducendolo ad accostare erroneamente i due vini, nella realtà completamente diversi.
L'uno, infatti, è un vino da dessert ottenuto da acini passiti, l'altro è secco e generoso di bollicine, e la caratteristica che li rende distanti oltre che diversi è il volume d'affari che essi muovono. Quasi 700 milioni di bottiglie di Prosecco prodotte in un anno con vendite per 2 miliardi di euro, a fronte di una produzione di 2mila litri all'anno di Prošek.

All'epoca la Croazia incassò la sconfitta, ma continuò a covare le ambizioni europee e a coltivare le sue ragioni contenute nelle pieghe di una tradizione circoscritta nello spazio ma secolare e radicata, una tradizione che chiama Prošek quel vino dolce e pregiato consumato nelle occasioni speciali; quel vino di cui si conservano le bottiglie coeve alle nascite dei figli per poterle spendere in tempi di festa e matrimoni, quel vino che si decise di tutelare in ambito nazionale proprio a partire dal 2013. Trascorso qualche anno, il Paese balcanico ha deciso di tentare nuovamente la strada della consacrazione europea e lo scorso settembre ha presentato alla Commissione Ue la nuova richiesta di riconoscimento della menzione tradizionale per i suoi vini da dessert.


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Ma sul rischio di confusione Jakša Petric - direttore del Dipartimento Croato per la Politica Agricola, l'Ue e la Cooperazione Internazionale - che coordina e guida questa iniziativa, minimizza sul "suono simile" che potrebbe attrarre i consumatori; sostiene le motivazioni storiche e culturali che sottendono la richiesta e, soprattutto, il diritto legittimo dei produttori di continuare la loro produzione tradizionale e avere libero accesso al mercato.

La Commissione Europea sta oggi dando seguito alla richiesta della Croazia di ottenere per il Prošek uno status speciale giustificando la ricevibilità della domanda con la motivazione che - come sostiene Petric - due nomi dal suono simile possono essere entrambi protetti a livello europeo purché si eviti la confusione.

L'Italia non condivide il punto di vista e torna a battagliare per difendere l'esclusiva titolarità della Denominazione d'Origine del Prosecco, a scanso di ogni possibile equivoco o indebita e grossolana sovrapposizione tra i due vini. Per ufficializzare l'opposizione all'avvio della procedura croata, il 9 novembre scorso il ministero delle Politiche Agricole ha trasmesso all'attenzione della Commissione Ue un nutrito dossier stilato insieme alle Regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia, ai produttori del Prosecco, a numerosi esponenti del panorama politico.

A questo si è aggiunta la ferma e netta posizione italiana con il ministro delle Politiche Agricole Stefano Patuanelli e il sottosegretario Marco Centinaio, che in qualità di difensori del Prosecco hanno ribadito e sostenuto la tesi che anche una semplice assonanza potrebbe confondere i consumatori internazionali, inducendoli ad acquistare per errore vini croati al posto di quelli italiani. Secondo Patuanelli "l'eventuale autorizzazione all'uso del Prošek croato creerebbe un pericoloso precedente di istituzionalizzazione dell'italian sounding"; ovvero di quel fenomeno sempre più diffuso che vede la realizzazione e la commercializzazione all'estero di prodotti con nomi simili a quelli di produzioni italiane per approfittare del prestigio e della fama di cui godono a livello globale. Trovano posto nel corposo documento presentato alla Commissione Europea per opporsi alla concessione della quasi omonimia anche il riferimento a mappe risalenti al 1300 in cui la zona della città di Trieste attualmente chiamata Prosecco, e da cui deriverebbe il nome del vino italiano, era indicata come Prošek, di fatto il nome sloveno della località.

Secondo il presidente della Regione Veneto Luca Zaia questa sarebbe una delle prove che dimostra che il nome dei vini croati deriva dal toponimo triestino, circostanza che potrebbe e dovrebbe giocare a discapito della concessione del nome ai produttori croati.

In favore delle ragioni italiane, va poi menzionato un precedente dai contorni simili conclusosi con una sconfitta per il nostro Paese. La disputa risale al 2005, anno da cui i produttori di vino friulani non possono più usare la parola "Tocai", giudicata troppo simile al nome del prestigioso vino ungherese Tokaji, nonostante quest'ultimo sia un vino liquoroso dolce e i vini friulani siano bianchi fermi. Va da sé che le somiglianze rispetto alle circostanze farebbero propendere per una conclusione somigliante anche nei contenuti.

Ad ogni modo, se da una parte questo sentire di conservazione e tutela dell'esclusiva del nome è ampiamente diffuso e condiviso, dall'altra non sono mancate voci italiane che si sono staccate dal coro e hanno mostrato una buona disposizione nei confronti dell'istanza croata. Tra queste quella di Oscar Farinetti, fondatore di Eataly e grande esperto di commercializzazione di prodotti italiani di eccellenza nel mondo, il quale si è dichiarato favorevole alla menzione tradizionale europea per il Prošek in nome del rispetto di una tradizione territoriale che ha radici lontane, e propenso all'utilizzo del nome purché - specifica - accompagnato dalla dicitura "dalmata".

La Croazia ha sessanta giorni di tempo per le controdeduzioni alle quali l'Italia, rappresentata dal ministero guidato da Patuanelli, avrà diritto di controreplicare insieme a tutti coloro che hanno presentato già l'opposizione, tra cui i tre consorzi e le regioni interessate. In attesa dell'esito europeo che sarà dirimente rispetto alle legittime istanze dei contendenti, si dovrà anche pensare agli agricoltori, alle imprese del vino, alle economie della filiera che quei vini producono.


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