L'agricoltura è una delle cause (minoritarie) dei cambiamenti climatici, ma è sicuramente il settore economico che ne subisce ogni giorno gli impatti maggiori. L'agricoltura può tuttavia giocare un ruolo nel rallentare, se non fermare, il surriscaldamento globale.

L'Unione Europea ha chiesto agli agricoltori di ridurre le proprie emissioni di gas climalteranti, prodotti ad esempio dalla combustione di gasolio, dalla decomposizione della sostanza organica in campo e dalla digestione dei ruminanti. Al contempo sta promuovendo l'adozione di pratiche di agricoltura conservativa, in grado di sequestrare nel terreno l'anidride carbonica atmosferica (oggi la principale causa del surriscaldamento globale).

Sia la riduzione delle emissioni dirette che il sequestro della CO2 atmosferica hanno un costo, ma ancora non è chiaro chi lo dovrà sostenere. Di questo si è discusso durante il World Agri-Tech Innovation Summit, l'evento dedicato all'innovazione in agricoltura (di cui AgroNotizie è partner) che raccoglie ogni anno a Londra e a San Francisco aziende, agricoltori, investitori e ricercatori.

Durante una tavola rotonda che si è tenuta in maniera virtuale hanno partecipato Alex Bell, ceo di Agoro Carbon Alliance, progetto lanciato da Yara per promuovere la decarbonizzazione dell'agricoltura e la rigenerazione dei terreni agricoli; Kate Schaffner, director global sustainable lead di Kellogg Company; Arianna Giuliodori, segretario generale dell'Organizzazione mondiale degli agricoltori (Wfo); Georg Goeres, a capo della divisione europea di Indigo, piattaforma per la certificazione e lo scambio dei carbon credits ed Emma Fuller, director of sustainability science di Corteva Agriscience.

Secondo Arianna Giuliodori (Wfo) il peso della transizione non può essere scaricato sulle spalle degli agricoltori che già se la devono vedere con una riduzione dei mezzi tecnici a disposizione, con i cambiamenti climatici e l'arrivo di specie aliene. Tanto più che il reddito dei farmer è in costante contrazione.
 
In Europa è l'Unione Europea che si è assunta in parte l'onere del cambiamento anche se per le associazioni di categoria i soldi stanziati non sono sufficienti. Negli Stati Uniti invece ci si è affidati al mercato: ogni agricoltore che adotta pratiche in favore del clima può chiedere l'emissione di crediti di carbonio, certificati che quantificano l'ammontare di anidride carbonica sottratta dall'atmosfera. Il certificato può essere poi venduto dalle aziende agricole su piattaforme dedicate (come Indigo) a quelle società o industrie che intendono mitigare la propria impronta ambientale.
 
In questo modo sarebbero le aziende e i consumatori a ripagare gli agricoltori per lo sforzo. In effetti negli Stati Uniti questo tipo di mercato è in forte crescita. Il Governo sostiene questo nuovo business e la tendenza è quella di evitare di regolamentarlo troppo per evitare di soffocarlo, mentre in Europa è Bruxelles ad aver costruito il framework normativo e ad incentivare la crescita del mercato dei carbon credits.

Durante l'evento erano presenti Agoro Carbon Alliance e Indigo, due soggetti a cui gli agricoltori si possono rivolgere per capire come sequestrare carbonio nel suolo ed entrare nel mercato dei crediti di carbonio. Il nodo fondamentale secondo Georg Goeres e Alex Bell è la fiducia: è necessario infatti avere strumenti e modelli in grado di quantificare in maniera attendibile l'anidride carbonica presente nel terreno per poi poterla vendere sul mercato. Il rischio è quello che chiunque si possa improvvisare operatore di questo mercato e usando strumenti non idonei possa rovinare per sempre la reputazione del settore.
 
D'altronde la richiesta di maggiore sostenibilità oggi arriva prima di tutto dai consumatori che spesso sono disposti a spendere qualcosa in più pur di avere cibo prodotto in maniera sostenibile. Secondo Kate Schaffner, di Kellogg, sono le aziende alimentari ad aver costruito negli anni un rapporto di fiducia con il consumatore e possono quindi fare da tramite con il mondo agricolo.

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