Lo si apprende leggendo in controluce la lunga lettera scritta il 2 aprile scorso al ministro dagli assessori regionali all'Agricoltura delle 12 regioni del Centro-Nord in competitività - dalla Valle d'Aosta al Lazio, incluse le tre regioni in transizione (Sardegna, Molise e Abruzzo), nella quale si dà atto della non raggiunta intesa unanime in sede di Commissione Politiche agricole il 30 marzo scorso sulla proposta di mediazione del Mipaaf e si ripercorre la vicenda della trattativa tra le regioni.
Va detto che il ministro, nello specifico caso del riparto delle risorse, potrebbe anche procedere con un'intesa a maggioranza in Conferenza Stato-Regioni ma, viste le dure contestazioni delle cinque regioni del Sud e dell'Umbria, ciò esporrebbe il decreto ministeriale ad un possibile ricorso in sede amministrativa da parte delle sei regioni contrarie, con effetti paralizzanti di lunga durata.
Tutto questo appare tanto più plausibile perché, nonostante i correttivi di gradualità, rispetto al criterio di spesa storica le perdite sul Feasr sarebbero ingenti: circa 400 milioni per il Psr Sicilia, oltre 150 milioni per il Psr Campania, solo per citare i due principali programmi italiani.
Intanto, con la lettera del 2 aprile, le 15 regioni del Centro-Nord esprimono "condivisione e pieno sostegno rispetto alla proposta del ministero". Chiedendo una decisione a breve: "poiché i nostri Psr hanno completamente impegnato tutte le risorse programmate, le rappresentiamo l'estrema urgenza di procedere quanto prima all'assegnazione delle risorse 2021-2022 per poter sostenere con nuovi bandi lo sforzo straordinario che il settore rurale ha messo in campo nell'attuale crisi pandemica".
La lettera delle regioni del Nord e le ragioni del Sud
Le regioni del Centro-Nord nella lettera del 2 aprile, nel chiedere al ministro una decisione urgente e accogliendo la proposta di mediazione, puntualizzano la loro posizione ricordando innanzitutto che "l'accordo per il riparto tra regioni delle risorse per lo Sviluppo rurale 2014-2020, approvato dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome il 16 gennaio 2014, prevede che il criterio di riparto -risalente alla programmazione dello sviluppo rurale 2000-2006 - venga utilizzato per l'ultima volta per il periodo 2014-2020".Non solo, le 15 regioni ricordano al ministro che la richiesta di criteri oggettivi per il riparto del Feasr si è evoluta e non è più quella originaria "introducendo: - un quinto parametro relativo alla popolazione rurale dei comuni classificati C e D, volto a valorizzare maggiormente la ruralità; - la differenziazione dei fattori di ponderazione tra i cinque parametri, per attenuare il peso della Produzione lorda vendibile (portata al 15%); - un possibile meccanismo di compensazione riferito al riparto 2014-2020 (cosiddetto "storico") per graduare l'impatto dell'applicazione dei nuovi criteri". Il tutto a partire dai quattro parametri inizialmente posti: numero di aziende agricole, valore della Produzione lorda vendibile, Superficie agraria utile, superficie forestale, tutti inizialmente pesati in modo paritario (25%).
1. Invarianza normativa, le differenze di interpretazione
Le 15 regioni del Centro-Nord contestano alcune affermazioni di principio fatte dalle sei regioni che hanno votato contro l'intesa. Sull'invarianza normativa reclamata dalle cinque regioni del Sud e dall'Umbria sostengono che in realtà i regolamenti europei non si riferiscano "ai criteri di riparto finanziario tra regioni, pieno appannaggio dello Stato membro. Criteri che la Conferenza delle Regioni ha deciso formalmente di modificare il 16 gennaio 2014, non volendo usare oltre (il 2020) il metodo storico applicato dal 1999". Da tale affermazione se ne deduce anche che "Parlando invece di risorse, è conclamato che per gli anni 2021-2022 si utilizzano le risorse del Qfp 2021-2027 approvato a dicembre 2020: è a tutti gli effetti l'avvio della programmazione 2021-2027, pur in forma straordinaria rispetto al passato".Come noto, per le regioni del Sud è pacifico che la programmazione nuova sia a decorrere dal 2023, mentre restano costanti tutte le norme sia comunitarie che nazionali sul 2021-2022. Pertanto l'affermazione dell'accordo del 16 gennaio 2014 che ferma il criterio storico al 2020 è da interpretarsi come slittata al 2022. Il che deriva anche dal fatto che i regolamenti per il 2023-2027 sono ancora in via di definizione e pertanto non ancora vigenti.
2. Competitività, due punti di vista diversi
Le regioni del Centro-Nord contestano l'affermazione di quelle del Sud secondo la quale "Gli obiettivi dello sviluppo rurale non riguardano la competitività del settore agricolo ma esclusivamente il miglioramento delle condizioni delle aree rurali nelle regioni più depresse socio-economicamente". In effetti, citando l'articolo 4 del regolamento Ue 1305/2013 ricordano che i tre obiettivi per i Psr 2014-2020 sono: "a) stimolare la competitività del settore agricolo; b) garantire la gestione sostenibile delle risorse naturali e l'azione per il clima; c) realizzare uno sviluppo territoriale equilibrato delle economie e comunità rurali, compresi la creazione e il mantenimento di posti di lavoro".Sul punto le regioni del Sud non negano l'esistenza del principio di competitività, semplicemente vedono ai loro territori maggiormente applicabile quello del riequilibrio territoriale, il punto c) del regolamento Ue 1305/2013, che peraltro è stato prorogato sul 2021-2022 dal regolamento Ue 2220/2020.
3. Manca accordo sul concetto di riequilibrio territoriale
4. Pac primo pilastro, non trattabile per il Nord
La proposta del Sud e dell'Umbria è in definitiva quella di rinviare al periodo di programmazione 2023- 2027 l'applicazione del nuovo criterio oggettivo che dovrà per altro essere quantomeno indicato da regolamenti ancora in fase di adozione. Questo perché in quel quadro la quota Feasr sui Psr potrà essere oggetto di negoziato con quella del primo pilastro della Pac, che avrebbe avvantaggiato fino ad oggi il Nord.Anche su tanto le regioni del Centro-Nord rispondono picche, sostenendo che con il nuovo "meccanismo di convergenza del valore dei titoli dei pagamenti diretti (primo pilastro della Pac) previsto dai Regolamenti" - applicato in Italia nel periodo 2014-2020 - "Agea può ben documentare che si è giunti dal 2015 al 2019 alla riduzione del 30% del valore dei titoli più elevati a favore di un proporzionale incremento del valore dei titoli più bassi. Ciò ha progressivamente spostato centinaia di milioni di euro all'anno di aiuti dalle regioni con valori medi dei titoli più alti alle regioni caratterizzate originariamente da valori medi più contenuti". In soldoni, nel 2023 non ci sarebbe sostanza da dare in cambio, e mancherebbero le basi materiali per una trattativa.