Non bastava la Varroa, né gli acari tracheali, per non parlare di Aethina tumida e Vespa velutina. Il pieno di avversità sarebbe peraltro già stato fatto con l’aggiunta della mezza dozzina di virus letali, più Nosema, più peste americana. E invece no, le api hanno ora un altro nemico contro cui combattere, ovvero Apocephalus borealis, detta anche “mosca decapitatrice”.

Tale insetto appartiene alla famiglia dei Foridi, famiglia cosmopolita di ditteri che rappresenta una fetta importante fra i Brachiceri inferiori, per numero di specie e diffusione, senza dimenticare le frequenti relazioni con l'uomo, sebbene indirette.

Il ciclo vitale di questa mosca ricorda un po’ quello dei mostri protagonisti di Alien di Ridley Scott, di fatto degli “insettoni” che inoculavano le proprie larve nei malcapitati organismi ospiti, salvo poi squarciarne il petto al momento della fuoriuscita. La femmina di Apocephalus depone infatti le uova nelle vittime, entro le quali le larve iniziano a divorare i tessuti interni. Poi, a maturità, fuoriescono dalle giunzioni fra testa e torace.

Le aggressioni di tali mosche a danno degli artropodi sono documentate da tempo, riguardando non solo imenotteri come formiche, vespe e bombi, bensì anche coleotteri e persino ragni. Da qualche anno, però, avrebbe fatto anche lei il famigerato “salto di specie”, colonizzando le api mellifere allevate, partendo in sordina per poi svilupparsi nel tempo.

Le prime analisi di ampio respiro su questa specie di parassitoide sono state svolte negli States e pubblicate su PLoS ONE nel 2012. Lo studio, dal titolo "A new threat to honey bees, the parasitic phorid fly Apocephalus borealis", porta la firma di Core A., Runckel C., Ivers J., Quock C., Siapno T., et al.

Secondo tale ricerca, il 77% delle colonie campionate intorno a San Francisco mostrerebbe presenza di questo dittero, rinvenuto anche in diverse zone del Sud Dakota e della California.
 

Insidie manipolatrici

Dal punto di vista biologico, come accennato, le femmine depongono le uova penetrando l’addome dell’ospite, poi le larve inizieranno a banchettare con i muscoli, partendo da quelli che controllano le ali. Ciò altera il comportamento delle api, causandone disorientamento e movimenti circolari, alternati a perdite di equilibrio. Sintomi che possono quindi essere cambiati per intossicazione da insetticidi. Tale tortura dura circa una settimana, dopodiché le larve emergeranno dall'ospite, ormai morto, finendo di cibarsene. E poi, via, con un nuovo ciclo. Purtroppo, quest'ultima fase avviene per lo più lontana dagli alveari, rendendo impossibile all'apicoltore il censimento del parassitoide: vede solo che le api calano senza capire perché.

Il tasso di infestazione negli alveari, secondo i ricercatori americani, sarebbe stato invece misurato fra il 12 e il 38% (media 25%). Significa che un quarto delle api, mediamente, viene parassitizzato e portato a morte, sovente lontano dalla colonia, appunto, contribuendo in tal modo al fenomeno noto come CDD, ovvero il Colony collapse disease. L’azione delle larve di mosca indurrebbe infatti un’alterazione dei ritmi circadiani delle api, portandole per esempio ad allontanarsi di notte, al buio. Questo sarebbe appunto il motivo per cui il parassitoide non sarebbe stato adeguatamente censito in passato: le api, non a caso, sono state soprannominate “zombees”, cioè api zombie, perché perdono il controllo di se stesse e vagano fino a perdersi lontane dagli alveari. Dura quindi accorgersi di tale infestazione se non tramite specifiche ricerche di tipo scientifico.

Ora si spera che a tale diffusione non contribuisca l’abitudine degli apicoltori americani di spostare le proprie colonie su e giù per il Paese, facendo loro compiere transumanze di migliaia di chilometri per inseguire le fioriture nei diversi Stati. Perché uno dei modi migliori per fare crescere tale flagello e proprio quello di portarselo in giro. Anche perché contro tale parassitoide non v'è cura che tenga: ciò che ammazza lui, ammazza pure le api.

E in tal caso, non c’è alcun tenente Ellen Ripley che tenga…