Un novembre fatto di nevicate a bassa quota, piogge intense (+121% rispetto al 2018), ma anche grandinate e trombe d'aria. Gli scienziati sono concordi nel dire che questi sono gli effetti del surriscaldamento del clima terreste causato dall'immissione in atmosfera di gas ad effetto serra.
Semplificando si può dire che i gas prodotti dall'uomo, come l'anidride carbonica o il metano, funzionano come i vetri di una serra intrappolando i raggi solari. Di conseguenza l'atmosfera terreste si sta scaldando e infatti la temperatura media è salita di circa un grado dall'epoca pre-industriale ad oggi. Si tratta di una tendenza globale che ha come effetto non tanto quello di avere inverni più miti, quanto un aumento dei fenomeni intensi.
"Ci sono evidenze scientifiche che il clima sta cambiando a causa dell'aumento della concentrazione in atmosfera di gas serra, anidride carbonica e metano in primis", spiega ad AgroNotizie Beniamino Gioli, primo ricercatore dell'Istituto per la bioeconomia del Cnr (Cnr-Ibe). "L'agricoltura è sì vittima dei cambiamenti climatici ma è anche una delle cause visto che l'intero comparto, dalla produzione degli input produttivi al trasporto del cibo, è causa di circa un terzo delle emissioni di gas serra".
A livello locale, soprattutto in area Mediterranea, stiamo assistendo ad un aumento della temperatura generale e ad un incremento degli eventi estremi come ondate di calore e precipitazioni, le cosiddette bombe d'acqua.
Nel Sud Italia il rischio concreto è che si accentuino quei fenomeni di desertificazione a cui sono già soggette alcune regioni. L'innalzamento del livello del mare (causato dallo scioglimento dei ghiacci) potrebbe portare all'allagamento di alcuni tratti di costa (come si vede in cartina), mentre l'assenza di piogge peggiorerà l'effetto 'cuneo salino', rappresentato dall'acqua dell'Adriatico che risale la foce del Po creando non pochi danni all'agricoltura.
Aree costiere a maggior rischio di inondazione
(Fonte foto: Enea)
Quali previsioni per il futuro?
"Anche se oggi smettessimo di bruciare combustibili fossili e di immettere in atmosfera gas ad effetto serra il clima non tornerà come quello dell'epoca pre-industriale", puntualizza Gioli. "La sfida è contenere i danni e quindi impedire che la temperatura cresca ulteriormente. L'accordo di Parigi, siglato nel 2015 da 184 capi di Stato e di governo, ha come obiettivo proprio quello di contenere sotto i due gradi l'aumento di temperatura dell'atmosfera rispetto al periodo pre-industriale. Un tetto considerato accettabile e realistico da raggiungere".Se gli obiettivi dell'accordo di Parigi saranno raggiunti per l'Italia dobbiamo aspettarci il protrarsi dell'attuale condizione di instabilità. Ma se le emissioni e le temperature aumenteranno (a causa ad esempio del progredire dei paesi in via di sviluppo) gli effetti sul clima saranno ancora più pesanti.
Lo scenario peggiore prevede un aumento di 5-6 gradi della temperatura globale. Pensiamo a cosa vorrebbe dire per l'Italia. Nel Meridione le condizioni ambientali si avvicinerebbero a quelle del Nord Africa oggi, con precipitazioni scarsissime e temperature ancora più elevate di quelle registrate attualmente. Desertificazione di ampie aree e l'abbandono di molte colture.
Per il Nord del paese temperature più alte e diminuzione delle piogge significheranno dire addio a coltivazioni, come quella del mais, su cui oggi si basa tutta la filiera lattiero-casearia. Sarà però possibile piantare l'olivo e potranno aumentare le colture orticole.
Ma a cambiare saranno anche i patogeni e gli insetti. Già oggi vediamo che l'Italia è bersagliata da specie aliene non presenti fino a dieci anni fa sul nostro territorio. E la tendenza, complice anche il commercio globale, sarà quella di avere nuove fitopatologie e insetti con cui fare i conti.
Convivere con un clima che cambia
Per gestire gli effetti dei cambiamenti climatici occorre dunque attrezzarsi. Già lo si sta facendo nei centri di ricerca, pubblici e privati, dove si selezionano (anche con le moderne biotecnologie e con tecniche di fenotipizzazione) piante che si adattino meglio alle future condizioni ambientali. Cultivar che siano maggiormente resistenti agli stress idrici, ai patogeni, che assimilino meglio i nutrienti o che mantengano un profilo nutritivo simile a quello attuale pur in presenza di concentrazioni di CO2 maggiori in atmosfera."Gli agricoltori devono implementare tutti quei sistemi di smart agriculture che permettano di razionalizzare l'uso delle risorse", spiega Gioli. Significa ad esempio fare ricorso alle tecnologie proprie dell'agricoltura di precisione, quindi guida parallela, monitoraggio dei campi attraverso satelliti e droni, creazione di mappe e gestione degli input a rateo variabile.
Ma anche sistemi di irrigazione smart. Il che significa implementare Dss (Decision support system) in grado di affiancare l'agricoltore nella definizione della ricetta irrigua. Ma anche mettere in campo quelle tecnologie utili a risparmiare acqua. In questo senso è probabile che vedremo un aumento del ricorso alla microirrigazione, oggi usata solamente su colture da reddito, anche sui seminativi. Si stanno ad esempio facendo sperimentazioni sul mais e il riso potrebbe non essere più coltivato con la tecnica della sommersione.
In generale gli agricoltori avranno a che fare con meno acqua e dunque dovranno attrezzarsi per valorizzare ogni millimetro di pioggia. Spetta poi allo Stato la costruzione di quei bacini artificiali per immagazzinare l'acqua piovana, da riutilizzare poi nel momento del bisogno.
Per gli agricoltori lavorare sarà certamente più complesso, ma la tecnologie darà una mano. Ad esempio oggi esistono dei modelli previsionali in grado di supportare l'operatore nella scelta della strategia e dei prodotti per la difesa. Ma è indubbio che anche su questo fronte sarà necessario mettere a punto nuovi agrofarmaci per gestire nuove minacce, come ad esempio stanno constatando a loro spese gli agricoltori attaccati dalla cimice asiatica.