Attualmente l'oggetto del desiderio è la nuova Pac che dovrebbe partire nel 2020, di cui si sta parlando già da anni e che, stando alle richieste dei molteplici stakeholder, dovrebbe contenere tutto e il contrario di tutto.
Per cercare di capire alcuni aspetti di quello che potrebbe essere il quadro della nuova Pac e fare qualche riflessione in proposito, abbiamo approfittato di un giro di incontri, che si inquadrano in una serie di iniziative denominate Stakeholder Dialogues, organizzati dall'europarlamentare italiano Herbert Dorfmann (Ppe), relatore del Rapporto sul "futuro dell'alimentazione e dell'agricoltura" che delineerà la posizione del Parlamento europeo rispetto alla nuova politica, per illustrare i contenuti del suo Rapporto.
Bilancio e budget Pac: l'ombra della Brexit
I negoziati per la nuova politica sono già da tempo entrati nel vivo, ma l'unica cosa su cui tutti sembrano essere d'accordo è che il budget destinato dall'Ue alla Pac non deve risentire degli effetti della Brexit. Anche su questo, però, in realtà non ci è ancora dato di sapere nulla, visto che la proposta sul futuro Quadro finanziario pluriennale è prevista per il 2 maggio 2018 e le proposte legislative sulla Pac post 2020 per i primi di giugno 2018.Il budget destinato alla Pac dipenderà dal nuovo quadro finanziario pluriennale che, a seguito della Brexit registrerà un ammanco annuale di 13 miliardi di euro nel bilancio europeo post 2020. Nel suo rapporto Dorfmann chiede alla Commissione Ue che il nuovo quadro finanziario pluriennale dedichi al settore agricolo una parte del bilancio perlomeno uguale a quella attuale, ricordando che con il contributo dell'1,3% del Pil chiesto dal Parlamento europeo sarebbe possibile "coprire tutti i costi scoperti dalla Brexit e si avrebbero altri 12 miliardi di euro che servirebbero a coprire i nuovi impegni che tutti vogliono portare a livello europeo ma nessuno vuole pagare".
"L'agricoltura non può rimanere fregata due volte dalla Brexit", ha concluso Dorfmann, chiarendo che il deficit causato dall'uscita della Gran Bretagna dall'Unione è solo una parte del prezzo che l'agricoltura rischia di pagare, dato che sarebbe proprio l'export agricolo e agroalimentare quello più colpito dai prevedibili dazi che il nuovo assetto dei mercati porterebbe con sé.
I e II Pilastro Pac. Rivoluzione in arrivo?
Chi si aspetta una Pac rivoluzionaria è destinato probabilmente a rimanere deluso. Dorfmann infatti specifica che, a suo avviso, sul Primo e Secondo pilastro, dove si trovano la maggior parte dei fondi, non è necessaria una rivoluzione, ma una serie di aggiustamenti per migliorare dove serva un impianto normativo che - in particolare per il Secondo pilastro - tutto sommato funziona, purché si semplifichi l'iter amministrativo che porta all'erogazione finale dei fondi.Maggiori ritocchi sono previsti sul Primo pilastro, dove vanno risolti alcuni problemi, a partire dalla convergenza esterna, ossia il riallineamento dei pagamenti tra vecchi e nuovi Stati membri, con i paesi della Mitteleuropa che chiedono un aumento dei contributi percepiti. La richiesta, in linea di principio non sarebbe assurda, ma l'orientamento generale sembra essere opposto; in attesa infatti del tanto auspicato allineamento economico tra gli Stati membri, prevale la tesi che equiparare gli aiuti tra paesi dalla situazione socioeconomica, reddituale media e di fattori di costo molto diversi, rappresenti di fatto la creazione di una di quelle distorsioni di mercato che Parlamento e Commissione si prefiggono di eliminare. Ulteriore elemento che andrebbe considerato, secondo Dorfmann, è la consistenza Stato per Stato del Secondo pilastro, che in alcuni casi andrebbe sommato al Primo per giungere a un regime di aiuti totali "abbastanza equo".
Altro problema da affrontare è quello della convergenza interna, con alcuni Stati membri che per il calcolo dei pagamenti del Primo pilastro sono andati verso la regionalizzazione completa e l'unicità o uniformità del flat rate, mentre altri - tra i quali Italia e Spagna - in alcuni frangenti fanno ancora ricorso al parametro del riferimento storico, alquanto inviso al legislatore comunitario poiché foriero di situazioni al limite dell'assurdo, come la possibilità di pagare nel 2027 un premio calcolato sulla base della produzione del 2000, erogando i fondi a soggetti che non si occupano più di agricoltura, ma che hanno ancora in mano i titoli per riscuotere i pagamenti.
Nel merito di questo problema non ci è dato di sapere se esista una linea di pensiero condivisa, ma Dorfmann sottolinea questa problematica nel suo rapporto, proponendo al sistema attuale alcune alternative che vanno dall'adozione del flat rate alla valutazione dell'impegno lavorativo dell'azienda, elemento forse più adeguato a bilanciare le differenze tra le coltivazioni intensive del Sud europa e quelle estensive del Nord.
L'indirizzo proposto da Dorfmann vanta diversi aspetti positivi, a partire da una semplificazione di tutto l'impianto derivata dal fisiologico decadimento di tutto il sistema dei titoli e dall'allineamento del Primo pilastro a quanto oggi avviene per il Secondo, ma presenta anche diverse incognite e trabocchetti. L'adozione di un flat rate unico o a zone, ad esempio, rischia di penalizzare fortemente quei paesi, come l'Italia, in cui nella stessa regione si trovino tipologie di coltura diametralmente opposte, quali quella estensiva ed intensiva, di montagna e di pianura… La valutazione dell'impegno lavorativo dell'azienda, d'altra parte, benché fortemente apprezzato dalle componenti sociali, presenta difficoltà ancora maggiori, che vanno dalla differente normativa statale sul lavoro tra i paesi membri (estranea alle competenze Ue) alla oggettiva difficoltà di giungere a una ratio comune sui parametri da considerare, dato che il panorama europeo presenta aziende che fanno ricorso in maniera pressoché totale alla manodopera e altre altamente meccanizzate o che esternalizzano in maniera più o meno massiccia le lavorazioni. L'adozione di un sistema misto, infine, garantirebbe forse una più equa distribuzione dei fondi, ma andrebbe contro il ricercato obiettivo della semplificazione.
Altro elemento su cui l'Ue vorrebbe mettere mano è la questione dei premi accoppiati, che secondo Dorfmann andrebbero mantenuti solo per sostenere coltivazione ad alto costo e in zone difficili, ma eliminati ove non necessari in quanto spesso alla base di evidenti distorsioni di mercato.
Greening e sostenibilità
Dibattito accanito ci si aspetta per quanto riguarda il tema dell'architettura verde, ossia su greening e sostenibilità. Dopo la certificazione da parte della Corte dei Conti europea del fallimento dell'attuale impianto, si impone la strutturazione di un nuovo sistema che mantenga la sostenibilità come elemento fondamentale.Dorfmann, nel suo Rapporto, propone l'introduzione di condizionalità serie nel Primo pilastro, combinate ad altrettanto seri programmi e premi agroambientali nel Secondo. La proposta andrebbe realizzata introducendo nel Secondo pilastro una porzione minima di fondi che comunque ogni paese dovrebbe destinare alla questione agroambientale.
"In sostanza, - ha spiegato l'europarlamentare - ci sarebbero due pilastri importanti, con regole chiare valide per tutti che sostengano elementi essenziali nella tutela dell'ambiente, come clima, acque e benessere animale nel Primo pilastro, congiunte a un programma agroalimentare forte sul Secondo. In questo modo si aumenterebbe anche la percezione del cittadino comune dell'impegno Pac per la sostenibilità".
Semplificazioni, Pac e Psr
La parola d'ordine del "Rapporto Dorfmann" è la semplificazione di una Pac che viene avvertita dai normatori come eccessivamente complicata, in cui le competenze degli Stati membri e dell'Unione non sono più chiare e le distorsioni del mercato sono divenute all'ordine del giorno sotto l'egida della sussidiarietà e della competenza nazionale sulla gestione degli aiuti accoppiati."È fondamentale che la Politica agricola comune rimanga comune, perché il mercato dei prodotti agricoli è unico", ha sentenziato Dorfmann, che ha anche sottolineato la necessità di "mettere mano anche ai rapporti istituzionali tra Stato e Regioni, perché il Piano strategico nazionale - che copre sia il Primo che il Secondo pilastro - sul Primo è chiaramente percepibile, mentre sul Secondo in alcuni Stati membri dell'Ue, tra cui Italia, Spagna, Francia e Germania, diviene impraticabile se si vogliono rispettare a pieno le diverse competenze regionali".
La questione è tutt'altro che lineare e di difficile soluzione a livello europeo, dove un Piano strategico nazionale serio sarebbe a dir poco apprezzato e consentirebbe di eliminare le lungaggini derivate dal rapporto diretto tra le singole regioni e l'Ue per quanto riguarda i Psr. La creazione di una tale tipologia di Piano per il Secondo pilastro comporta tuttavia due possibilità: o si rispettano le competenze delle regioni, e allora il Piano diventerebbe una inutile collezione dei Psr regionali, oppure le regioni devono in qualche misura rinunciare a parte delle proprie competenze, evento quanto mai improbabile per ovvi motivi politici e di equilibri di potere.
Questo problema, anche in Commissione, rimane dunque irrisolto e non risolvibile a Bruxelles, soprattutto quando le competenze regionali siano attribuite dalla Costituzione.
Se l'abbandono del sistema dei titoli rappresenterebbe già di per sé una semplificazione di tutto il sistema Pac, dati i problemi di competenza e in merito ai Psr, le prime a dover fare la loro parte dovrebbero essere le regioni.
"Bisogna capire bene cosa sta succedendo con i Piani di sviluppo rurale, perché è chiaro che la performance italiana è disastrosa" ha detto Dorfmann. "Il problema non è solo italiano. C'è stato un ritardo generale nell'approntamento dei Piani. In tema Psr anche le regioni dovrebbero fare la loro parte e concentrarsi sugli elementi importanti. Troppi i soldi non spesi; un sistema di compensazione sarebbe bello, ma alcune regioni preferiscono ridare i soldi a Bruxelles piuttosto che dare al proprio vicino quello che non hanno speso".
Piccole aziende e ricambio generazionale
Un occhio di riguardo Dorfmann lo ha per le piccole aziende, per le quali chiede che il sistema di pagamenti preveda quote maggiori prelevate dal plafond destinato alle aziende agricole più grandi. "Le piccole aziende non sono solo nel meridione - ha detto l'autore del Rapporto - e sono fondamentali. Il Primo pilastro può essere certamente migliorato, ma per loro rimarrà inevitabilmente debole per mancanza di superfici. Per questo tipo di aziende i Psr sono fondamentali e tali rimarranno".Per quanto riguarda il ricambio generazionale, nel suo Rapporto Dorfmann chiede agli Stati membri una vera strategia che metta insieme in modo funzionale tre elementi: la Pac, il Primo e il Secondo pilastro e delle politiche nazionali in grado di incentivare l'accesso dei giovani all'agricoltura. Anche su questo tema l'eurodeputato punta il dito sul sistema dei titoli, sostenendo che per la sua stessa natura tende a metterli fuori mercato ed auspica per loro politiche di aiuto al credito. "Se vogliamo che i giovani entrino nel sistema, dobbiamo cambiare il sistema" ha detto Dorfmann. "Noi possiamo anche varare la Pac più bella di sempre, ma se poi non c'è nessuno che la utilizza è inutile".
L'importanza del tempo
Un elemento fondamentale da tenere in considerazione è il tempo.Dopo la consultazione pubblica del 2 febbraio, la conferenza europea del 7 luglio e la comunicazione della Commissione europea sulla Pac dal titolo "Il futuro dell'alimentazione e dell'agricoltura" del 29 novembre 2017, si attende per marzo 2019 l'ultima seduta plenaria del Parlamento europeo, dead line per l'attuale idea della Pac futura, che dovrà essere votata entro tale data.
È possibile riuscire a vincere la corsa contro il tempo? Verosimilmente non si riuscirà ad arrivare a chiudere l'argomento entro questi tempi, in particolare sarà impossibile chiudere il cosiddetto 'trilogo', ossia l'accordo con gli Stati membri e con il Consiglio, tuttavia con molta buona volontà e con l'impegno del Parlamento sarebbe possibile arrivare a un voto in plenaria del Parlamento europeo.
Perché è così importante arrivare a un voto entro questi tempi? Lo ha spiegato chiaramente Dorfmann: "Il nuovo Parlamento, in virtù di un accordo, dà seguito alle deleghe espresse in seduta plenaria dal Parlamento precedente. Se non si dovesse riuscire a rientrare in queste tempistiche, le cose si complicherebbero molto, perché il nuovo Parlamento non prenderà in carico un lavoro fatto a metà e suscettibile di nuovi emendamenti, ma inizierebbe da zero la discussione, con il rischio che il nuovo commissario voglia fare nuove proposte".
In pratica si correrebbe il forte rischio che tutte le trattative concluse sinora e il quadro generale che ne è derivato si tramutino da un giorno all'altro in futili chiacchiere disperse dal vento della politica.