Proprio le capacità e le possibilità dell’agricoltura italiana di adattarsi ai cambiamenti climatici sono stati al centro della presentazione, a Roma, di “Agroscenari”, un progetto di ricerca durato sei anni finanziato dal ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali e coordinato dal Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in agricoltura (Cra) con la sua Unità di ricerca per la Climatologia e meteorologia applicate all’agricoltura (Cra-Cma) e a cui hanno partecipato – oltre alle diverse strutture del Cra - enti di ricerca nazionali (Cnr, Inea), Università (Milano, Roma, Sassari, Viterbo, Potenza) e Arpa Emilia Romagna.
Le numerose attività svolte hanno affrontato le numerose criticità legate al cambiamento climatico – dalla meteorologia alla qualità e lavorabilità dei suoli e loro desertificazione, dallo sviluppo di patogeni e parassiti delle colture e loro contrasto allo studio delle conseguenze del cambiamento climatico su piante e pratiche colturali – e sono state principalmente focalizzate su sei aree studio, rappresentative dei principali sistemi produttivi italiani quali: viticoltura, olivicoltura e cerealicoltura nelle zone collinari dell’Italia centro-meridionale; orticoltura intensiva in zone irrigue dell’Italia centro-meridionale; cerealicoltura per fini zootecnici nella Pianura Padana e frutticoltura intensiva nella Pianura Padana sud-orientale.
Domenico Vento, coordinatore generale del progetto Agroscenari
Tra gli strumenti messi a punto l’Atlante italiano del clima e dei cambiamenti climatici; il sito web Prevagromec (previsioni agrometeorologiche per la meccanizzazione agricola) per fornire indicazioni di lavorabilità e trafficabilità dei suoli; monitoraggio territoriale con drone per stimare l’evoluzione temporale dei fenomeni di desertificazione in funzione del cambiamento climatico; l’implementazione di una banca dati nazionale fenologica all’interno del Sistema informativo agricolo nazionale del Mipaaf; tecniche operative a supporto dell’uso di mezzi meccanici agricoli in funzione delle variazioni dei regimi climatici; mappe di trafficabilità del suolo; la banca dati georiferita dei caratteri e qualità dei suoli per le aree di indagine; la verifica dell’influenza operata sui suoli da variazioni climatiche spaziali, da variazione agrotecniche e di tecnica irrigua e un database di dati meteorologici per lo studio nella Ue dell’impatto di cambiamenti climatici attraverso modelli per sistemi colturali.
A fronte delle temperature medie in crescita negli ultimi 140 anni di un grado per secolo e a una contestuale riduzione delle piogge del 5% circa (per tacere della distribuzione a dir poco anomala delle precipitazioni), gli studi sul campo si sono concentrati prevalentemente sulle possibilità di adattamento a queste condizioni, dando risultati tutto sommato omogenei e che prevedono nel breve-medio periodo prevalentemente strategie di ottimizzazione delle risorse idriche, e nel periodo medio-lungo il ricorso a specie e varietà diverse di piante.
Ai problemi di temperatura e disponibilità idrica, inoltre, vanno aggiunti quelli “collaterali” legati ai potenziali sviluppi di particolari patologie o parassiti favoriti dal nuovo andamento climatico. Una variazione del cultivar orientata a una maggiore resistenza alle mutate condizioni climatiche tuttavia apre nel nostro paese una parentesi dolente giacché, dovendo rimanere competitivi sui mercati, la scelta di rinunciare a priori alle possibilità offerte dagli Ogm rischia fortemente di trasformarsi in una insostenibile zavorra per le aziende.
Giuseppe Blasi del ministero delle Politiche agricole
L’obiettivo dichiarato del progetto era quello di definire le più opportune misure di contrasto ai danni provocati all’agricoltura dai mutamenti climatici, fornendo al Mipaaf dati certi e linee guida per l’attività tecnico politica e, contemporaneamente, agli agricoltori informazioni pratiche su come affrontare i cambiamenti. Ma la vera domanda a cui si doveva dare una risposta era: può la nostra agricoltura adattarsi alla mutata situazione?
La risposta sembra essere positiva, ma a determinate condizioni.
L’adattamento dell’agricoltura ai cambiamenti climatici non sarà comunque una variazione di poco conto e richiederà una sostanziale evoluzione di tutto il sistema agricolo; evoluzione che dovrà necessariamente riguardare tutti gli attori del comparto primario, dai produttori alle istituzioni europee. L’Europa, d’altra parte, ha già iniziato ad affrontare il problema ponendo nella Pac 2014-2020 una serie di regole volte ad ammortizzare e accompagnare il cambiamento all’insegna della sostenibilità e della competitività. Lo stesso Mipaaf, finanziando il progetto Agroscenari in un momento in cui altri rami delle istituzioni non davano segno di avvertire il problema, ha dimostrato una notevole lungimiranza.
Il problema, ora, è però che tutti gli sforzi dovrebbero confluire in un sistema omogeneo, una rete di rapporti, collaborazioni, interrelazioni e scambio di informazioni ben lontano dal realizzarsi a pieno e per mancanza di fondi, e per un’apparente mancanza di effettiva volontà. Va poi considerato che l’adattamento nel corso del tempo richiede un forte investimento in ricerca e, come ha sottolineato il capo dipartimento delle politiche europee e internazionali e dello sviluppo rurale del Mipaaf, Giuseppe Blasi, “le risorse per la ricerca non ci sono”. Al massimo si potrà sperare in una serie di politiche che permettano di arrivare a quelle attualmente “disperse in migliaia di rivoli diversi”.
Una notizia tutt’altro che allegra sebbene non del tutto nuova per i ricercatori presenti, impegnati da un lato a discutere di condivisione dei dati delle ricerche, e dall’altro a pensare al ventilato accorpamento di Cra e Inea, con conseguente taglio dei loro posti di lavoro.
Per chi volesse approfondire l’argomento, il materiale del convegno sarà prossimamente reso disponibile sul sito del progetto.