“So di non sapere, perché provengo da un’altra esperienza professionale, ma mi sto informando il più velocemente possibile, compatibilmente col fatto che mi arrivano 2-300 pagine di documenti ogni giorno”.

È una dichiarazione socratica, quella di Luigi Gaetti, 54 anni, vice presidente della Commissione Agricoltura al Senato, quella guidata da Roberto Formigoni, ex governatore lombardo.
Mantovano, nella precedente vita, se così si può dire, Gaetti era un anatomopatologo molto stimato. Oggi si occupa di agricoltura e non è rimasto fermo. È uno dei rappresentanti del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo.

Gaetti non è rimasto fermo: in queste settimane ha depositato diversi disegni di legge. Fra quelli relativi al comparto agroalimentare ricordiamo il ddl sulla tutela della salute e per la prevenzione dei danni derivanti dal consumo dei prodotti del tabacco; sulla salvaguardia dell’ambiente e la biodiversità nel mare Adriatico; poi una mozione contro gli Ogm, un’interrogazione sull’articolo 62.

Senatore Gaetti, partiamo dall’attualità: l’Imu. Il Consiglio dei ministri ha trovato un’intesa per il rinvio della prima rata, il mondo agricolo chiede l’abolizione per i terreni e i fabbricati rurali in quanto strumenti produttivi. Qual è la sua posizione?
“Sono d’accordo per abolire l’Imu sulla prima casa e, in linea di principio, si può dire che piacerebbe a tutti pagare meno tasse. Eppure, le tasse bisogna pagarle per avere in cambio determinati servizi, welfare compreso. Lo stesso discorso vale per l’Imu, che andrebbe tolta, ma questo al momento non è possibile”.

Però far pagare l’Imu su terreni e capannoni significa vessare ulteriormente le imprese.
“Sì, bisognerebbe mantenere l’Imu per le seconde case e modularla. Se dovessi fare una scelta risparmierei sulla Tav, il terzo valico in Liguria, gli F-35. Ma credo che l’Imu potrà essere eliminata da stalle, fienili e terreni solo nel momento in cui riusciremo a togliere le spese improduttive. Se si dichiara il contrario si fanno discorsi populisti e demagoghi. Piuttosto, tagliamo altre spese. L’altro giorno, ad esempio, è passata in via Nazionale, a Roma, la scorta del Presidente della Republica: sei automobili, mi sembra eccessivo. Il compito della politica è tagliare”.

Lei ha presentato una mozione contro gli Ogm, eppure è un uomo di scienza, dato il suo passato di anatomopatologo. Non ritiene che la sperimentazione sia giusta?
“Come M5S siamo totalmente contrari agli Ogm in maniera chiara e netta. La qualità italiana è unica al mondo, non si capisce perché ci si debba omologare ad altre Nazioni, che badano ai loro interessi. Persino Scilipoti ha chiesto che l’Italia si dichiari ogm free”.

L’Italia è già contraria agli Ogm, il caso Futuragra l’ha messo in evidenza. O no?
“Nel Lazio stanno facendo invece sperimentazione sugli Ogm. Inoltre, bisogna parallelamente intervenire sul fronte dell’etichettatura, per evitare il fatto che la presenza o meno di ogm venga occultata e per avere una distinzione chiara dei nostri prodotti”.

In tema di etichettatura, che cosa servirebbe?
“E’ necessaria maggiore chiarezza, anche sul piano di aspetti nutrizionali, come la pubblicazione dell’indice glicemico, in modo da dichiarare quali sono gli zuccheri più o meno assimilabili. I pastai del Sud Italia, invece, chiedono di indicare le quantità di micotossine presenti”.

La burocrazia è forse lo scoglio maggiore indicato dal settore agricolo. Cosa può fare la politica?
“Questo è stato un tema già sollevato in Commissione e devo dire che qualcosa era stato fatto nella precedente legislatura. Sono troppi gli organi che gestiscono l’agricoltura in Italia. Ad esempio, lei sa quanti istituti di ricerca ci sono nel settore agricolo? Che cosa fa l’Ice? E ancora, leggendo lo statuto di Agea ho scoperto che non esiste a livello regionale, ci sono altri organi; anziché semplificare si complica. Dovremo invece snellire il più possibile”.

Un tema forte del M5S sono le rinnovabili. Cosa si può fare a riguardo?
“La parola chiave è efficienza energetica, da raggiungere utilizzando i prodotti che non sono primari, come le deiezioni, i prodotti di scarto alimentari, che possono essere utilizzati per fare corrente. A patto però che si migliori l’efficienza. In Germania hanno parametri di efficienza energetica minima, di almeno il 60%, al di sotto dei quali gli impianti non vengono sostenuti. Nel Mantovano, ad esempio, si arriva ad una efficienza energetica che nella migliore delle ipotesi arriva al 40 per cento”.

La tendenza è di fare impianti di piccole dimensioni, oggi.
“Sì, ma la regola dovrà essere quella della sostenibilità, in ogni caso. Anche i piccoli impianti dovranno essere costruiti dove ha senso, non a caso. Paghiamo la corrente più alta d’Europa per aiutare chi ha gli impianti, perché dovremmo socializzare le perdite? Anche quando parliamo di biogas o di fotovoltaico, bisogna modulare gli incentivi, perché un impianto a Bolzano e uno in Sicilia non produce la stessa quantità di energia se parliamo di fotovoltaico, a parità di esposizione al sole. Bisogna ragionare in termini di bene comune”.

Nella sua visione di agricoltura, che spazio ha il chilometro zero?
“Meglio parlare di agricoltura di prossimità, coi prodotti a chilometro utile, più che a chilometri zero. Ovvero usando i prodotti locali dove si può, ma facendo in modo che i prodotti siano davvero locali e che utilizzino una rete efficiente. Dobbiamo valorizzare un’agricoltura di qualità, che riduca i pesticidi. Il produttore deve essere molto più tutelato: per intenderci, il latte a 40 centesimi al litro non premia gli sforzi degli allevatori”.

La filiera agroalimentare è spesso schiacciata dalla Grande distribuzione. Non trova?
“Sì, c’è una asimmetria di potenza. Bisogna tenere conto dei costi di produzione, al di sotto dei quali non si può andare. Ma va detto che oggi, sempre di più, i piccoli produttori si stanno aggregando e cercano una trasformazione diretta. Inoltre, anche in virtù che i prodotti italiani sono più controllati, dobbiamo fare in modo che l’acquirente sia informato della qualità superiore rispetto ad altre produzioni. Anche perché, se compro un prodotto estero la società si impoverisce, come ho ricordato anche nel corso del mio primo intervento in Parlamento, incentrato sulla sovranità alimentare”.

Come si immagina l’agricoltura fra 20 anni?
“Mi immagino un’agricoltura di qualità, con pochi pesticidi, con meno animali allevati, perché la gente si sta portando verso alimentazione più equilibrata, con più vegetali e un minore consumo di carne. Le normative sul benessere dovranno andare avanti. E poi, sono convinto che fra 20-30 anni l’agricoltura consumerà meno petrolio, oggi ne usiamo troppo in agricoltura. Il sistema attuale ha favorito la grande concentrazione, in futuro si dovrà raggiungere un nuovo equilibrio”.

Significa che potrebbero cambiare le dimensioni della maglia poderale?
“No, i fondi rimarranno delle stesse dimensioni, ma già oggi sta venendo avanti un incremento del lavoro, perché la maggiore qualità dei prodotti comporta più lavoro. Infatti nel 2012 c’è stato per la prima volta dopo molti anni un aumento dei lavoratori agricoli. Stanno crescendo, inoltre, i gruppi di acquisti solidali, i gruppi di rete, la filiera corta, tutti elementi che favoriranno i prodotti locali”.
Nel 2012 l’Italia ha esportato 31 miliardi di prodotti agroalimentari. Una buona notizia.
“Certo. Anche se non possiamo dimenticare i 60 miliardi stimati di contraffazioni. L’Italia ha potenzialità enormi, anche nel settore biologico. Bisognerà tenere presente questi elementi e cominciare innanzitutto a favorire la produzione e il consumo locale e poi, come secondo livello, l’export, ma senza perdere la propria autonomia”.