L'anno vecchio è ormai passato e il nuovo sta iniziando a fare i conti con quanto lasciatogli in eredità dal 2023. A seguire, una breve sintesi di alcuni fatti salienti dell'anno appena conclusosi.
2023: decisionismo a targhe alterne
Talvolta la politica europea tende a latitare, come accaduto con le non-decisioni su genome editing e glifosate, temi sui quali l'astensionismo non ha permesso di raggiungere la maggioranza qualificata. Si ricorda che per maggioranza qualificata si intende quella composta dai voti espressi in rappresentanza del 65% della popolazione continentale.
Per tale ragione, per esempio, sul biotech ogni decisione è stata rimandata, lasciando in sospeso la proposta di togliere le tecniche Crispr-Cas9 dalle grinfie di una normativa continentale e nazionale proibizionista in tema ogm. La partita non è quindi chiusa, ma le premesse non sono incoraggianti.
Su glifosate, invece, a seguito dello stallo politico su un tema così divisivo e scomodo (le elezioni di giugno prossimo venturo incombono), ha dovuto decidere la Commissione ed è stato già emanato lo specifico Regolamento che per i prossimi dieci anni accompagnerà l'erbicida in Europa. Meglio sarebbe stato un maggior coraggio politico, anziché assistere all'odioso nascondino messo in scena da molti, troppi esponenti europei. Ma l'intervento della Commissione resta pur sempre meglio che il temuto niente.
Non solo astensionismo
Altre volte la politica invece si esprime, come nel caso della bocciatura della proposta di equiparare gli allevamenti alle industrie. Una mossa voluta dai movimenti ecoanimalisti al fine di danneggiare il comparto zootecnico e metterlo in serie difficoltà, soprattutto nella sua porzione di medio-piccolo cabotaggio.
Dura infatti per il Signor Giovanbattista Laqualunque, con le sue simpatiche lattifere, accollarsi le incombenze di una fabbrica che produce, per esempio, materie plastiche. Per fortuna, tale proposta è stata rimandata al mittente, causando soddisfazione fra gli allevatori e pianti greci fra le lobby che l'avevano propugnata. Lobby che forse non sanno che la fertilità dei campi si rimpingua con il letame e non con gli scarti di lavorazione di un cementificio.
Nel mezzo, le filiere agroalimentari di maggior pregio, quelle di carni e formaggi le quali, senza se e senza ma, avrebbero dovuto schierarsi in maniera più netta e chiara a favore dei produttori di latte e carni. Un maggior impegno che sarebbe stato doveroso, il loro, visto che è proprio dai produttori messi sotto attacco che derivano le materie prime con cui esse realizzano quei prodotti finiti di cui, appunto, si vantano.
Al contrario, le filiere hanno mantenuto per lo più un profilo basso, esponendosi quel minimo sindacale per poter dire di aver partecipato alla battaglia, sebbene in retrovia. Potevano onestamente fare di più e di meglio: non lo hanno fatto. Se ne prende atto.
Dal -62% al (forse?) -35% entro il 2035
La notizia che però ha risollevato il morale del comparto fitosanitario, dai produttori agli agricoltori, è quella relativa alla retromarcia di Bruxelles sulla famigerata riduzione del 62% di agrofarmaci comminata all'Italia. Per giunta da rispettare entro il 2030. Mission Impossible, ma senza un Tom Cruise che trasformasse l'impossibile in possibile.
Tale riduzione ignorava il fatto che dal 1990 a oggi i chili di agrofarmaci impiegati in Italia sono già dimezzati. Una ulteriore riduzione, per giunta così drastica, avrebbe dato una spallata definitiva alla capacità di difendere adeguatamente le colture da parassiti e patogeni. Un vero disastro fitosanitario che, in fase di prima stesura, stupisce non sia stato contrastato dall'Italia a Bruxelles con la dovuta forza e fermezza. Anche in questo caso, si poteva (e si doveva) fare di più e di meglio, anziché ritrovare compattezza solo a proposta fatta e finita, salvando il comparto a posteriori per il rotto della cuffia.
Va da sé, infatti, che Bruxelles non aveva tenuto in debita considerazione l'assetto produttivo del Belpaese, ove il 18,4% della Sau è investito a colture permanenti (soprattutto vite e fruttiferi), contro il 7,4% della media europea. Normale quindi che un melicoltore trentino o un viticoltore trevigiano usino decine di chili per ettaro di agrofarmaci, mentre il cerealicoltore danese ne usi una quantità irrisoria. Il solo polisolfuro di calcio va impiegato su melo a oltre 20 chili per ettaro, in pre fioritura. Abbastanza da fare sballare tutti i calcoli degli stravaganti algoritmi europei sui rischi ambientali da agrofarmaci.
Se infatti consideriamo la tipologia di prodotti impiegati per la maggiore in Italia, da tutti, si deve ammettere che gran parte di quei chili è rappresentata da soluzioni portanti per quel biologico che la stessa Ue vuole far salire dal 7,5% al 25% delle superfici continentali, sempre entro il 2030. Zolfo e rame, per dire, di chili/ettaro ne annoverano tanti, dal momento che per le loro caratteristiche tecniche vanno impiegati a dosi ben più elevate rispetto a quelle dei fungicidi di sintesi. Spingere il bio strangolando i chili di agrofarmaci fa quindi sospettare che fra i decisori continentali, italiani inclusi, la mano destra non sappia bene cosa stia facendo la sinistra.
Infine i geoinsetticidi, utilizzati oggi in sostituzione di quei concianti neonicotinoidi revocati proprio da quella stessa Ue che oggi vuole ridurre i chili applicati in campo. Peccato che le differenze di dosi fra i due tipi di insetticidi vadano dalle poche centinaia di grammi per ettaro dei concianti ad alcune decine di chili dei geoinsetticidi granulari. Un aggravio di tonnellate annue che quindi è figlio proprio delle decisioni europee prese in altre sedi, in altri anni e per altri motivi. Maggiori competenze cercansi.
Per fortuna, la decisione del Parlamento europeo è stata per la bocciatura di tale proposta, avanzata dalla Commissione per un Regolamento sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari. Sono stati 299 i voti contrari contro i 207 favorevoli. Non pochi gli astenuti: 121. A conferma di due trend ormai evidenti: il primo vede gran parte dei votanti orientati in favore delle narrazioni di un'agricoltura illusoriamente bucolica. Il secondo che conferma il sopra citato opportunismo astensionista che spesso zavorra - e talvolta paralizza - i processi decisionali europei su temi di primaria importanza. E dare cibo sicuro e garantito a tutti gli Europei si pensa sia tema di importanza primaria.
Come conseguenza della bocciatura, si è ora passati dal -62% entro il 2030 a una nuova proposta del -35% (riduzione minima da rispettare), ma entro il 2035. Nulla di davvero concreto, è bene dirlo. Solo poco più che una voce. Però è un punto di partenza ragionevole su cui intavolare una discussione costruttiva sul tema "usi sostenibili". Continuando infatti con il trend al ribasso dei chili per ettaro già in corso da trent'anni, come pure ampliandosi le soluzioni afferenti ai Biologicals, tale ulteriore riduzione potrebbe essere alla portata della fitoiatria italiana senza comprometterne l'efficacia.
Se poi si aprisse anche al biotech, "vecchio" e "nuovo", si metterebbe l'agricoltura europea e italiana ad armi pari con quella di altri 27 Paesi al mondo che al biotech ricorrono con successo da decenni, spedendone poi una buona parte proprio qui, in nell'Italia anti ogm nei campi nostrani, ma che fa la gnorri sugli ogm altrui nelle stalle e sulle tavole. Al contrario, aprire anche noi all'innovazione genetica permetterebbe di raggiungere gli obiettivi eco-riduzionisti molto più facilmente: auspicabile una maggiore apertura mentale.
Passate le feste non si gabbi lo Santo
Il 2023 si è chiuso quindi con una serie di buone nuove alternate a deludenti mancanze di coraggio. L'unico augurio per l'anno nuovo è perciò quello che si continui sulla strada appena intrapresa, magari con ancor più decisione. Ciò darebbe conferma di un'agricoltura percepita come attività che deve soprattutto produrre cibo, anziché perdere la propria identità al fine di soddisfare vaghi languori pseudo ecologisti.
Languori spesso utopici che possono solo rendere il Vecchio Continente sempre più dipendente dalle produzioni altrui. E in tal senso va ricordato come delegare altri Paesi a inquinare al posto nostro tutto è tranne che a favore dell'ambiente e del mondo intero.