Non ci sono bastati 22 anni per metterci in regola con la direttiva Nitrati, emanata dall'Unione europea nell'ormai lontano 1991. Qualcosa, a dire il vero, è stato fatto. Con calma, molta calma. Nel 1999, a distanza di 8 anni dalla direttiva comunitaria, si è occupato della materia il decreto legislativo 152/99 e poi dopo altri sette anni (pressati dalle denunce di infrazione mosse da Bruxelles) ecco un altro decreto legislativo, anche questo con il numero 152, al quale è seguito il decreto del Mipaaf del 7 aprile dello stesso anno. Poi ogni Regione ha coniato il proprio programma di azione nitrati. Risultato. A nessuno, in tanti anni, è venuto in mente che l'applicazione di questa direttiva avrebbe comportato la chiusura di metà degli allevamenti. Perché ridurre il carico di azoto per ettaro da 340 kg/ha a 170 kg/ha nelle zone vulnerabili, si traduce nel dimezzare il numero di animali. Quando, con colpevole ritardo, ci si è resi conto della gravità della situazione, tutti a strapparsi i capelli e cercare un rimedio. Eccolo trovato. Ad inquinare non sono solo gli allevamenti, ma anche gli scarichi urbani (tanti ancora senza depuratore!) e quelli industriali. Talmente vero che Bruxelles ci ha accordato in extremis una deroga, portando a 250 il limite di kg di azoto per ettaro. Ma bisognava al contempo ridisegnare la mappa delle zone vulnerabili, che ancora comprendono gran parte della Val Padana e delle pianure piemontesi e venete, come riportato in dettaglio anche da Agronotizie. E ridurre di un terzo il carico di bestiame proprio in queste regioni non è uno scherzo. Ma eccoci ancora una volta in ritardo. Arriva il primo gennaio del 2013 e tutto è come prima. Che fare questa volta? Colpo di genio. Con un emendamento alla legge di Stabilità, emanata lo scorso dicembre, si è sancito che tutto slitta di un altro anno. Ne riparleremo nel 2014. Magari con un altro rinvio.

 

Ma Bruxelles ha detto no

La straordinaria fantasia dei nostri legislatori nel risolvere i problemi rinviandoli all'infinito, non è piaciuta a Bruxelles. Presa carta e penna, il commissario all'Ambiente Janez Potocnik ha scritto ai nostri ministri Corrado Clini (ambiente) e Mario Catania (agricoltura) una lettera la cui durezza non è mitigata dai toni della dovuta cortesia istituzionale. Lettera che si conclude con il perentorio invito a “prendere misure immediate per correggere questo provvedimento e riportare la legislazione in linea con i requisiti della direttiva sui nitrati.” Senza nemmeno aspettare il rimbrotto comunitario, l'assessore all'Ambiente della regione Emilia Romagna, Sabrina Freda, ha fatto sapere che avrebbe disatteso il rinvio deciso a Roma, e fatto valere le norme da subito. Suscitando così la pronta reazione di Confagricoltura prima (vedi Agronotizie) e di Coldiretti poi, seguite via via da altre organizzazioni. Tutte a interrogarsi perché condannare alla chiusura migliaia di allevamenti. Hanno ragione a chiederselo. Ma l'appello è quantomeno tardivo.

 

L'imbarazzo di una risposta

La lettera di Potocnik porta la data del 16 gennaio e prevede una risposta immediata. Ai nostri ministri non saranno mancate le argomentazioni a difesa e giustificazione della decisione italiana. Perché è indubbio che non si possa ascrivere ai soli allevamenti l'inquinamento delle acque, ed è altrettanto vero che la “mappa” delle zone vulnerabili sia da rivedere sia in quest'ottica, sia alla luce delle nuove tecnologie che in questi venti e passa anni sono andate affinandosi nel trattamento sia dei reflui zootecnici sia degli altri inquinanti. Ma come avranno potuto giustificare venti anni di ignavia politica non lo sappiamo. A loro discolpa solo l'essersi trovati a gestire il ritardo di chi li ha preceduti. Per l'Italia l'ennesima pessima figura, per gli allevatori la certezza di pagarne le conseguenze, come sempre. Se la direttiva non sarà applicata scatteranno le sanzioni di Bruxelles (con trattenute sulla Pac) e se il rinvio sarà cancellato, come vuole la Ue, non sapranno come gestire i reflui dei loro allevamenti, salvo ritrovarsi sanzionati per colpe che non sono le loro, o non solo. Talmente rassegnati da non aver nemmeno la forza di protestare.