Lo sanno i cittadini, spremuti ormai come limoni dal giro di vite fiscale; lo sanno le imprese, che vedono i loro margini ridotti al lumicino (quando non costrette a chiudere i battenti); lo sanno i lavoratori, che faticano ad arrivare a fine mese, quando non perdono il posto di lavoro.
E lo sanno bene anche i ministri più accorti che, invece di trincerarsi dietro il muro del poco politicamente corretto “vorrei ma non posso”, preferiscono aguzzare l'ingegno e cercare di dare un aiuto indiretto, ma non per questo meno sostanzioso, con le riforme a costo zero.
E tra questi ministri accorti, c'è sicuramente Mario Catania, il titolare del ministero delle Politiche agricole: conosce la materia per essere stato per più di trent'anni al ministero come dirigente e sa bene come agganciare i suoi vagoncini ai tanti decreti omnibus che transitano sui tavoli di Palazzo Chigi.
Così, ad esempio, nel decreto sulle liberalizzazioni ha inserito il famoso articolo 62, proprio per dare una mano ai suoi agricoltori, l'anello debole della filiera costretto a subire lo strapotere della grande distribuzione nei contratti di fornitura.
Il cuore della norma, che diventerà operativa a fine ottobre prossimo, riguarda i tempi di pagamento: il nuovo dispositivo prevede l'obbligo di pagare entro 30 giorni i prodotti freschi e 60 giorni quelli trasformati; una clausola che consentirà tempi certi ai flussi di liquidità, ossigeno finanziario per le aziende fornitrici.
Sempre Catania, dopo l'annuncio in pompa magna dello scorso luglio, si appresta a mettere nero su bianco il progetto di decreto con il quale vuole arginare il saccheggio dei terreni agricoli da parte della speculazione edilizia.
Anche in questo caso, una riforma a costo zero, che potrà portare vantaggi diretti e indiretti al sistema agricolo italiano, sia dal punto di vista economico (l'agricoltura italiana ha fame di terreni e ha bisogno di produrre di più anche per alleggerire la bolletta delle importazioni di prodotti agricoli di cui il nostro paese è ampiamente deficitario), sia dal punto di vista ambientale, visto il ruolo di tutela del paesaggio affidato dalla stessa Politica agricola comune agli agricoltori europei.
La terza mossa del ministro, nell'ambito della miniriforma della Sanità varata recentemente dal Governo, riguarda l'obbligo di elevare dall'attuale 12% al 20% il contenuto minimo di succo di frutta naturale nella preparazione delle bibite.
Un ritocco sostanziale che comporta, oltre al miglioramento qualitativo del prodotto industriale, anche importanti ricadute sulla domanda di frutta e agrumi a vantaggio degli stessi produttori agricoli.
Nel caso delle sole aranciate si calcola (le stime sono della Coldiretti) che la soglia del 20% comporterebbe un fabbisogno aggiuntivo da parte dell'industria di trasformazione di circa 200mila tonnellate di arance.
Una vertenza, quella delle aranciate, che era esplosa la scorsa primavera in Calabria con il braccio di ferro tra la Coca Cola (proprietaria del marchio Fanta) e i rappresentanti dei produttori agricoli; motivo del contendere, il prezzo troppo basso pagato dalla multinazionale statunitense per le arance calabresi.
Anche in quell'occasione fu determinante l'intervento del ministro Catania e la sua mediazione riuscì a scongiurare la decisione della Coca Cola di non rinnovare i contratti con gli agrumicoltori e abbandonare la Calabria.
In un contesto di libero mercato, il ministro non poteva spingersi certo oltre la moral suasion nei confronti della multinazionale Usa, impensabile ovviamente pensare a un prezzo "imposto".
Ma alla prima occasione, approfittando del gran polverone per la tassa sulle bibite gasate, è riuscito a piazzare la sua mini-riforma orange, imponendo di fatto il raddoppio degli acquisti di arance (ma vale per tanti altri frutti) agendo sul lato della crescita della domanda; una manovra che potrebbe quindi avere per la legge della domanda e dell'offerta ripercussioni positive sui prezzi pagati agli agricoltori.
Ora si tratterà di avere un po' di pazienza per l'entrata in vigore della nuova norma.
Nel testo definitivo del decreto - come ha fatto rilevare una nota della Coldiretti - è stata cancellata la data dell'1 gennaio 2013 inizialmente prevista, in quanto si dovrà tener conto dei tempi imposti dalla normativa comunitaria trattandosi di "norma tecnica", che va notificata a Bruxelles prima della sua entrata in vigore.