Le misure europee tese a riequilibrare domanda e offerta nel settore del vino non hanno raggiunto il loro obiettivo, nonostante una spesa di oltre un miliardo di euro.

A dirlo, la Corte dei conti europea, in un rapporto presentato a Bruxelles martedì 12 giugno. Non solo: l’organo che controlla le spese comunitarie ritiene che liberalizzare il comparto possa avere effetti distorsivi e chiede pertanto un’analisi d’impatto, che valuti con precisione i potenziali effetti dell’abbandono dei diritti d’impianto.

 

Il contesto

Il dato di base per quanto riguarda il mercato del vino in Europa, è un costante e significativo calo del consumo nel corso degli ultimi vent’anni; la riduzione riguarda in particolar modo i principali Paesi produttori: Italia, Francia e Spagna. Un fenomeno che, già da solo, ha determinato uno squilibrio tra l’offerta e la domanda, dando vita al problema della sovrapproduzione. A questo si aggiunga che le importazioni di vino prodotto in Paesi terzi sono cresciute di più rispetto al nostro export, circostanza che ha contribuito ad aumentare le eccedenze.

 

Le misure

La riforma del settore vitivinicolo del 2008 ha introdotto diverse misure, volte in particolar modo ad aumentare la competitività e a riequilibrare lo scarto tra offerta e domanda. Tra queste, le due principali sono state oggetto dell’analisi dell’ente controllore delle finanze di Bruxelles. Si tratta della ristrutturazione e riconversione dei vigneti (l’aiuto per modernizzare le aziende vitivinicole) e del regime di estirpazione (il sostegno concesso per l’abbandono permanente dei vigneti).

 

Estirpazione

Secondo l’audit della Corte dei Conti, questa misura ha efficacemente perseguito lo scopo per cui era stata creata: eliminare, o per lo meno ridurre, l’eccesso di produzione. Viene contestato, però, l’alto livello degli aiuti concessi: si è andati incontro a circa la metà dei produttori che avevano richiesto i fondi europei per rimuovere i propri vigneti, concedendo tassi piuttosto alti. Sarebbe stato invece più efficace, sostiene la Corte, fissare un sostegno più ridotto, spartendo così i finanziamenti ad una più ampia platea di richiedenti.

 

Ristrutturazione e riconversione

Scopo di questa misura era invece aumentare la competitività delle produzioni europee, ad esempio ammodernando le tecniche di gestione dei vigneti, modificando le varietà di uve coltivate e così via.
Due le critiche della Corte su quest’aspetto. Innanzitutto, lo spettro di opzioni che sono state offerte ai produttori è stato troppo ampio: la mancanza di categorie ben definite ha permesso in alcuni casi di finanziare delle azioni che, secondo la Corte, non avevano nulla a che fare con lo scopo dell’iniziativa.
In secondo luogo, la misura è stata sì efficiente nel migliorare la competitività, ma non ha avuto un impatto percepibile sul consumo complessivo mentre, nell’aumentare la produttività e quindi le rese ha in parte annullato gli effetti delle altre misure, che andavano in direzione opposta (quella, appunto, di diminuire la produzione). 

 

Liberalizzazione dei diritti d’impianto

La riforma del 2008 ha stabilito il prolungamento del divieto d’impianto, che dal 1976 limita la coltivazione di nuove viti, fino al 2015 (e, su decisione del singolo Stato membro, fino al 2018). Dopo questa data, ci sarebbe una liberalizzazione del settore, prevista peraltro fin dal 1999. Secondo la Corte, se su altri aspetti della riforma la Commissione europea ha condotto esami approfonditi, su questo particolare punto non ha effettuato una dettagliata valutazione d’impatto, raccomandata dunque nel rapporto odierno.

“Investimenti mal indirizzati – ha spiegato Harald Wögerbauer, membro della Corte – potrebbero portare a un’ulteriore distorsione del mercato”. Tra gli effetti della liberalizzazione, insomma, vi potrebbe essere un nuovo aumento della produzione e, quindi, di quell’eccedenza che altre misure tentano con difficoltà di eliminare. La risposta della Commissione su questo punto appare abbastanza debole: “La decisione era già stata adottata nel 1999 dal Consiglio (e quindi solo “ripresa” nel 2008 ndr), quindi non era necessario uno studio d’impatto”.

L’abbandono dei diritti d’impianto, comunque, è già stato rimesso in discussione da una quindicina di Stati membri che ora avversano quest’opzione (tra questi, i principali Paesi produttori); per questo motivo è stato creato un gruppo di alto livello incaricato di discutere la questione e valutare la riapertura, o meno, della riforma.