La notizia buona è che in agricoltura i costi di produzione nel mese di febbraio sono calati dello 0,1%  rispetto al mese precedente. La notizia cattiva è che rispetto ad un anno fa (cioè a febbraio 2007) gli stessi costi sono aumentati dell'8,7%. Sono questi i dati essenziali emersi da uno studio condotto da Ismea nel mese di marzo nel quale si analizzano i vari elementi dei bilanci aziendali, sempre più difficili da mantenere in equilibrio fra entrate e uscite.

Ma vediamo alcuni dettagli degni di nota specie per quanti si occupano di zootecnia, settore dove si sono sentiti i maggiori aumenti di costo. Prendiamo ad esempio il mangime per lo svezzamento dei vitelli, che fa segnare un aumento dell’ 1,5% in febbraio rispetto al mese precedente, ma che segna un + 19,7% rispetto ad un anno fa. Situazione analoga anche per gli altri mangimi, da quelli per i conigli (+11,1%) a quelli per gli avicoli (+12,2%). Questi aumenti del costo del mangime sono strettamente connessi agli incrementi di prezzo che hanno subito le materie prime che entrano nella composizione degli alimenti per gli animali. Un dato per tutti: il prezzo dell’orzo e dei cruscami, rispetto ad un anno fa, è cresciuto di oltre il 41%.

All’elenco dei rincari si aggiungono anche i concimi (+30,1%) e i prodotti energetici (+6,8%). Di questa corsa al rialzo sono preoccupate anche le organizzazioni professionali. La Cia in suo comunicato ricorda che “i settori che hanno maggiormente risentito di questa frenetica corsa al rialzo delle materie prime sono state le imprese di allevamento (soprattutto bovini e bufalini con un più 16,4 per cento e suini con un più 14,2 per cento) e quelle che coltivano frumento (più 10,3 per cento), mais (10,7 per cento), riso (più 9,4 per cento), e ortofrutta (più 4,7 per cento).”

Fra i tanti rincari spicca l’eccezione degli animali di allevamento, che sono calati di prezzo. Con questa voce (che fa segnare un -4,1% rispetto al mese precedente e un -12,6% nei confronti del 2007) si indicano i soggetti da istallo, quelli acquistati dalle aziende zootecniche per rimpiazzare gli animali a fine carriera o per introdurre nuove linee di sangue in allevamento. Nello studio condotto da Ismea la flessione degli animali da allevamento avrebbe in parte bilanciato gli aumenti delle altre voci di costo. Certo, per chi compra si tratta di una voce di spesa, ma per gli allevamenti che si occupano di riproduzione, questi animali sono una fonte di reddito, che dunque si è contratta. Quindi non meno spese, ma meno ricavi. Tutta un’altra musica.

Ma questo dato dà il via anche ad un’altra considerazione. Se gli animali da allevamento costano meno significa che c’è meno richiesta, lo dice la legge del mercato. In altri termini gli allevamenti stanno investendo meno nell’acquisto di nuovi animali da ristallo. Si riducono insomma gli investimenti rivolti alla crescita aziendale. Non c’è da stupirsi. Per le imprese zootecniche i margini di reddito sono azzerati da un pezzo. Figuriamoci poi le risorse da destinare agli investimenti.

 

Foto Starpig