Rifiuti speciali e rifiuti urbani
Anche nell’era dell’economia circolare ogni ciclo produttivo ha degli input – le materie prime – degli output – la produzione e degli scarti – i rifiuti appunto – che nel migliore dei mondi possibili possono costituire da materia prima per un processo produttivo a valle di quello descritto.Nel caso dei contenitori vuoti di prodotti fitosanitari e coadiuvanti, in attesa che siano una futura materia prima dobbiamo più prosaicamente definirli come rifiuti speciali, che si differenziano da quelli urbani. Ma cos’hanno di speciale questi rifiuti speciali (lo sappiamo, non abbiamo resistito)? Nulla! La norma di riferimento (Dlgs 152 del 2006) elenca 6 tipologie di rifiuti urbani e 8 tipologie di rifiuti speciali dove la prima (rifiuti da attività agricole e agro-industriali) contiene appunto i contenitori degli agrofarmaci e dei coadiuvanti. In aggiunta alla caratterizzazione in base all’attività di provenienza, i rifiuti si possono catalogare anche secondo le loro caratteristiche di pericolosità come non pericolosi e pericolosi.
Secondo la normativa vigente a cui vi rimandiamo per i dettagli, un rifiuto pericoloso può esserlo per le sue caratteristiche intrinseche (ad esempio infiammabilità) o più frequentemente perché contiene sostanze pericolose in quantità superiori a soglie determinate in funzione della loro classificazione (ad esempio la soglia per le sostanze molto tossiche è lo 0,1%, per quelle nocive è 25%, per quelle cancerogene è 0,1%). I contenitori di antiparassitari contaminati (ma anche i prodotti fitosanitari revocati, la rimanenza di prodotti non più utilizzabili, e altri materiali contaminati come mascherine, etc.) sono rifiuti speciali pericolosi (“rifiuti agrochimici contenenti sostanze pericolose” codice CER – Catalogo Europeo Rifiuti – 020108) ma mediante bonifica (che si può fare anche in azienda, vedi oltre) possono magicamente diventare rifiuti agrochimici diversi da quelli della voce 020108, che contengono sostanze pericolose al di sotto della soglia, dal codice 020109 e dalla gestione molto meno onerosa.
Adesso che sappiamo cosa sono, cosa dobbiamo fare?
Gli adempimenti per la gestione dei rifiuti speciali pericolosi e non sono diversi, ma fortunatamente sono numerose le iniziative che sono state intraprese per alleggerire il carico di lavoro delle aziende più piccole.Prevenire è meglio che curare
Innanzitutto il primo passo di una attenta gestione dei rifiuti è quello di produrne il meno possibile, quindi tutte le regole di buon senso come quella di trattare solo quando è necessario, farsi consigliare da personale preparato e abilitato e rispettare le dosi consigliate (dosi troppo alte possono danneggiare l’uomo e l’ambiente, oltre che anche la coltura, dosi troppo basse spesso non sono efficaci e possono causare resistenze, e in entrambi i casi si può incorrere in sanzioni) sono un ottimo inizio per non creare più rifiuti del necessario.Dopo aver effettuato il nostro trattamento alle dosi giuste e solo quando ce n’era effettivamente bisogno ci rimarrà comunque il contenitore vuoto contaminato dai residui del prodotto fitosanitario che conteneva. Se lo lasciamo così com’è abbiamo con tutta probabilità un rifiuto speciale pericoloso, che dovrà essere gestito con impiantistica particolare in grado di abbatterne la pericolosità prima di finire riciclato (ipotesi ottimale), incenerito (ipotesi meno ottimale ma con i suoi vantaggi in termini energetici) smaltito in discarica (ipotesi peggiore) o esportato all’estero.
Con una semplice operazione di lavaggio da effettuarsi secondo procedure standardizzate e oggetto di accordi di programma stipulati a livello provinciale è possibile rimuovere i contaminanti dagli imballaggi che così si trasformano da rifiuti speciali pericolosi in rifiuti speciali non pericolosi, dalla gestione molto più agevole ed economica. L’acqua residuata dalla pulizia non va ovviamente gettata nelle fognature ma riutilizzata nel trattamento fitosanitario. Ciò non è sempre possibile e per le realtà aziendali più grandi sono state messe a punto soluzioni che permettono di degradare naturalmente questi reflui mediante sistemi biologici o fisici. Ovviamente non è possibile e non si deve, come ancora negli anni ’60 veniva consigliato, interrare i contenitori vuoti in azienda o adottare altre simili scappatoie, che si configurano come veri e propri reati ambientali.
Ma dove lo metto?
Per quanto abbiate agito oculatamente, ci saranno sempre degli imballaggi si spera bonificati che dovrete stoccare in qualche modo prima che vengano avviati alla gestione vera e propria.Una prima soluzione è il deposito temporaneo, “ambiente o locale che impedisca la dispersione, la contaminazione ambientale, inconvenienti igienici o sanitari e danni a persone o cose”, che deve essere costituito nel luogo di produzione dei rifiuti (quindi in azienda). Nel deposito temporaneo i rifiuti devono essere separati per tipologia e pericolosità. Quelli pericolosi devono essere adeguatamente isolati e identificati con etichetta “R” di pericolosità ed il codice CER, che nel caso specifico degli imballaggi non bonificati è 020108. Il deposito temporaneo va “svuotato” almeno ogni 3 mesi e/o quando il loro volume raggiunge i 30 metri cubi. In ogni caso la durata del deposito non può superare l’anno.
I rifiuti possono essere conferiti a ditte specializzate iscritte all’albo nazionale dei gestori ambientali oppure trasportati in proprio (gli imprenditori agricoli non hanno bisogno di essere iscritti in una sezione del citato albo nazionale dei gestori ambientali se trasportano i propri rifiuti nell’ambito di un circuito organizzato di raccolta – vedi oltre) a patto che i rifiuti pericolosi non eccedano la quantità di 30 litri o chili giornalieri.
Burocrazia burocrazia burocrazia
E ora veniamo alla parte burocratica della questione. In attesa della mirabolante soluzione informatica che andrà a sostituire il Sistri defunto alla fine del 2018, sono rimasti diversi adempimenti tradizionali, anche se alcune norme di semplificazione li hanno significativamente ridotti.Formulario identificazione rifiuti (Fir). In pratica la compilazione del Fir costituisce l’ultimo adempimento delle aziende agricole in materia di rifiuti, in quanto esentate dalla tenuta del registro di carico e scarico e dalla presentazione del Mud. Questo documento deve accompagnare durante il trasporto i rifiuti (pericolosi e non) e deve essere redatto dal produttore dei rifiuti e controfirmato dal trasportatore.
E’ costituito da 4 copie, 1 per il produttore, 2 per il trasportatore, di cui 1 ritorna al produttore controfirmata dall’impianto per accettazione e 1 per l’impianto destinatario. Le 2 copie del formulario vanno conservate per 5 anni.
Il Fir non è necessario qualora si trasportino rifiuti non pericolosi in modica quantità (massimo 30 Kg/L al giorno, massimo 4 volte l’anno e per un massimo di 100 kg/L annui). Una circolare del ministero dell’Ambiente ha sancito la possibilità per i gestori di impianti dove sono destinati i rifiuti di restituire al produttore la 4 copia del Fir in formato elettronico (formato Pdf) tramite Pec, purché sia firmata digitalmente.
Scialuppa di salvataggio. Gli accordi di programma e i circuiti organizzati di raccolta. Per agevolare le aziende agricole nel tempo sono stati stipulati numerosi accordi di programma per semplificare gli adempimenti delle aziende agricole, specialmente quelle più piccole. Questi accordi consentono di non compilare il Fir per il trasporto di quantità limitate di rifiuti alla stazione di raccolta più vicina.
E il Pan?
Ci occuperemo della gestione dei rifiuti secondo il Pan in un prossimo articolo.Approfondimenti per studiosi, addetti ai lavori o semplicemente curiosi
- Smaltire i contenitori di prodotti fitosanitari: cosa prevede il Pan
- Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 Norme in materia ambientale.
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Fonte: Agronotizie