Il mercato, i media, perfino l'associazionismo ambientalista guardano all'acquisizione con un interesse che va dalla semplice curiosità alla preoccupazione. La nuova Bayer sarà il più grande colosso di sempre dell'agrochimica e della genetica. E le dimensioni spaventano.
Ciò non di meno, e non per portare iella alla nuova realtà, se vale ancora la regola che dopo le fusioni raramente 1 + 1 fa 2, a trarre vantaggio dall'acquisizione potrebbero essere però le dirette antagoniste, più piccole, ma diversificate per offerta e strategie di marketing. Inoltre, l'acquisizione deva passare ancora il vaglio dell'antitrust. Basti pensare che nel segmento degli ogm la linea Liberty Link di Bayer è spesso in sovrapposizione con la Roundup Ready di Monsanto. La convivenza potrebbe non essere facile, né per l'antitrust né per il nuovo colosso mondiale.
Gli scenari sono perciò ancora così fluidi che qualsiasi analisi potrebbe rivelarsi errata o per lo meno intempestiva. Del resto, sono ancora fresche fresche la fusione di Dow e di DuPont, come pure l'acquisizione di Syngenta da parte di ChemChina. Tre mosse, considerando anche l'ultima di Bayer, che nel giro di pochi mesi hanno sconvolto gli scenari multinazionali globali. Se si elencano le aziende che giacciono all'interno di questi tre mega giganti, troviamo Ciba-Geigy, Sandoz, Solplant e Syngenta, tutte ora in ChemChina, proprietaria peraltro anche del 60% di Adama. Poi Hoechst, Schering, Rhône Poulenc e Monsanto, confluite in Bayer, e infine DuPont, Pioneer Hi-Bred, Rhom & Haas, Ely Lilly, Elanco, Union Carbide, Dow e DuPont nella nuova Dow-DuPont.
E il tutto senza contare le aziende di piccole e medie dimensioni finite anch'esse nel mucchio. Chi con una, chi con l'altra società. La crescente competitività del mercato e le richieste sempre più elevate del comparto normativo hanno infatti generato un incremento dei costi che non è stato compensato molte volte da un proporzionale incremento delle vendite e dei margini. Se a ciò si aggiunge che ormai i titoli in borsa possono andare su e giù solo in base a qualche grande broker dal grilletto nervoso, alla ricerca del dividendo più alto, non si può altro che concludere che il processo non sia ancora finito.
A restare fuori da tali giochi, per ora, l'altro gigante tedesco della chimica, ovvero BASF, la cui acquisizione di American Cyanamid risale a tempi ormai considerabili antichi. Come pure Sumitomo, altra realtà di spicco giapponese che per sbarcare in Italia ha assorbito Isagro Srl, incluso lo storico marchio Siapa.
A ciò si accoda un sottobosco di "piccoli mammiferi" che, mentre i grandi sauri dominano l'attuale mondo, occupano tutte quelle nicchie di mercato in cui ci si muove con meno agilità se dotati di dimensioni ciclopiche. Come la statunitense Fmc, fresca dell'acquisizione della danese Cheminova, la belga Belchim, la nippo-europea Certis, l'italianissima Sipcam, l'indo-francese Upl che ha assorbito Cerexagri, l'Italo-americana Gowan, l'americanissima Arysta LifeScience, proprietà appunto di un fondo d'investimenti della Florida, nonché la portoghese Sapec. Più una miriade di altre società che mi perdoneranno se non ho citato.
Saranno forse loro, se opereranno in modo accorto, a raccogliere le briciole che giocoforza cadranno dalle mani dei colossi di cui sopra durante tale spasmodica corsa alla crescita. Perché il mercato, purtroppo, non pare crescere ai ritmi desiderati da chi spinge le altalene delle borse mondiali. A dimostrazione che all'economia reale la finanza speculativa ha fatto più che altro del male.
L'appuntamento è quindi fissato a data da destinarsi, magari con qualche grosso colpo ancora inaspettato che cova sotto la cenere già mentre questo articolo viene chiuso.
Perché la gara, si può star certi di ciò, non è ancora finita.