ll termine farnesene fa riferimento ad una serie di sei composti chimici strettamente correlati fra loro, tutti e sei sesquiterpeni, ovvero composti da tre coppie di isoprene, quest'ultimo di grande importanza per la produzione di caucciù sintetico. I farneseni hanno come formula bruta: C15H24. Si tratta di idrocarburi aciclici aventi caratteristiche intermedie fra il gasolio ed il kerosene e si differenziano da quest'ultimi perché contengono quattro doppi legami e tre ramificazioni.

Parliamo in particolare dell'E-β-farnesene, poiché è l'unico che si può ottenere mediante processi biologici.
Cerchiamo di capire che cosa c'è dietro tanto interesse per questa molecola da parte dell'industria petrolifera, perché in realtà non può sostituire direttamente gli idrocarburi.
 

Perché investire nella creazione di un mercato del farnesene

  • Si presta ad essere etichettabile come un composto "rinnovabile", "eco", "green", "biocarburante avanzato", poiché producibile a partire da biomasse mediante processi biotecnologici. Pertanto, la sua produzione potrebbe beneficiare di sovvenzioni statali, sempre gradite dalle industrie e la sua accettazione da parte dei consumatori sarebbe maggiore rispetto ai prodotti di origine fossile.
  • La sua caratteristica di essere "biotecnologico" implica una serie di vantaggi competitivi: possibilità di brevettare le tecnologie ad esso connesse e una complessità impiantistica che presuppone un livello di investimenti talmente elevati da assicurare il monopolio all'azienda o gruppo che intraprenderà la sua produzione a livello industriale.
  • La sua facilità ad essere sottoposto a diversi processi chimici per la sua trasformazione in una miriade di prodotti specifici vendibili in diversi settori: dal carotene e gli aromatizzanti per l'industria alimentare e dietetica, ai prodotti di base per l'industria cosmetica, al combustibile aeronautico civile e militare, per arrivare fino alla gomma sintetica per i pneumatici.
 

I leader globali

Secondo il rapporto della Technavio, sul mercato del farnesene di origine biologica, i principali produttori sarebbero tutti statunitensi e canadesi, ed il principale consumatore europeo la Germania, sia per la sua forte industria cosmetica e farmaceutica che per la produzione di pneumatici "ecologici", finanziata dalla Commissione europea.

Il maggiore impulso allo sviluppo della produzione biologica di E-β-farnesene si deve agli Stati Uniti che, nel 2016, hanno finanziato con 7.000.000 Usd il progetto MegaBio, con lo scopo di mettere a punto un processo integrato per la produzione di farnesene a partire da biomasse lignocellulosiche nazionali.
L'obiettivo è arrivare a produrre combustibile aeronautico a meno di 2 Usd/litro. I tre beneficiari sono la Amyris (ditta specializzata in organismi geneticamente modificati) la Renmatix (specializzata nella saccarificazione di biomasse lignocellulosiche mediante acqua in stato supercritico) e la compagnia petrolifera Total, leader del progetto.

La Amyris produce già l'E-β-farnesene in Brasile, utilizzando zucchero di canna come substrato e del lievito, geneticamente modificato in modo che produca il farnesene al posto dell'etanolo. Attualmente , il costo dell'E-β-farnesene purissimo, per uso farmaceutico e alimentare, è di 100 Usd/kg.
Il concorrente diretto della Amyris è la Intrexon, un'altra ditta biotecnologica statunitense che produce il farnesene con un approccio radicalmente diverso. La Intrexon ha modificato geneticamente dei batteri metanotrofi, chiamati anche metanofili. Detti batteri si trovano naturalmente nei fanghi delle torbiere, risaie e paludi e si nutrono delle esalazioni di metano provenienti dalla materia organica in decomposizione nel suolo.
In ambiente aerobico, i metanofili combinano il metano e l'ossigeno per produrre formaldeide, dalla quale traggono poi nutrimento per le loro funzioni cellulari. Gli Ogm (Organismi geneticamente modificati) della Intrexon producono invece il farnesene a partire dal metano, nell'immediato utilizzando come materia prima gas naturale - in futuro potrebbero utilizzare anche biometano.
 

L'ipotetica filiera produttiva

La visione del Doe (Department of energy degli Stati Uniti) palesemente intrisa della dottrina trumpiana "America first", punta al raggiungimento dell'autarchia in materia di combustibili per aerei (sottinteso: aerei militari) senza dipendere da importazioni (leggasi Venezuela e Medio Oriente per gli idrocarburi, mentre Brasile per canna da zucchero, mais e soia). La filiera ipotizzata nel progetto MegaBio è schematizzata nella Figura 1.


Produzione chimica flessibile a partire da E-ß-farnesene
Figura 1: Produzione chimica flessibile a partire da E-β-farnesene
(Fonte foto: Amyris, adattamento grafico dell'autore)

Il processo supercritico della Renmatix si conosce con il nome commerciale di Processo Plantrose.

In modo estremamente riduttivo, si può paragonare ad una grande pentola a pressione che lavora a 373 °C e 220 bar. In tali condizioni l'acqua non è né vapore e né liquido, bensì entrambi allo stesso tempo, stato che si conosce come "fluido supercritico". Se si "cucina" biomassa lignocellulosica in tale "pentola a pressione", il prodotto risultate dopo il raffreddamento e depressurizzazione è una specie di sciroppo formato da diversi tipi di zuccheri. Tradizionalmente gli zuccheri si possono fermentare per produrre infinità di prodotti chimici di base: etanolo, acetone, butanolo, acido acetico, acido succinico, idrogeno, metano. Tali processi sono noti da oltre un secolo, ma hanno una controindicazione che li rende insostenibili: necessitano glucosio, solitamente ricavato dalla canna da zucchero, mais o sorgo. La saccarificazione delle biomasse di scarto è un modo per raggirare tale problema, ma apre un altro problema maggiore: i prodotti collaterali che si formano, ad esempio i furani, sono tossici per i batteri e i lieviti, che inoltre non sono in grado di fermentare tutti gli zuccheri allo stesso modo.
Questo è uno dei problemi ancora da risolvere, motivo per il quale la Amyris utilizza ancora zucchero di canna nel suo impianto nel Brasile.

Il processo della Intrexon non ha tali limitazioni, ma se si utilizza gas naturale come materia prima, il prodotto non si può dire "bio". Se invece si utilizza biometano, si ottiene un farnesene 100% sostenibile, ma il costo di produzione aumenta, perché il processo è comunque complesso e richiede un impianto centralizzato, quindi si rende necessario purificare il biogas e trasportare il biometano in qualche modo dal digestore fino all'industria biochimica.

Una volta prodotto il farnesene con qualsiasi dei processi, entra in gioco l'industria chimica. La trasformazione più semplice è l'idrogenazione -processo utilizzato da quasi un secolo per produrre margarine vegetali e biodiesel. Tale processo produce il farnesano (l'alcano omologo del farnesene, tecnicamente 2,6,10-trimetildodecano) il quale è già ammesso, dalle norme statunitensi, per produrre miscele con kerosene per aviazione o con gasolio per autoveicoli.
Processi un po' più complessi, come la dimerizzazione e la polimerizzazione, consentono di produrre aromi alimentari e cosmetici, creme antinvecchiamento, plastici, solventi e gomma sintetica.
 

Le possibili ricadute per le aziende agricole

?L'Europa sembra tagliata fuori dalla corsa al farnesene, limitata per ora ad essere un mero importatore.
Nel campo dei pneumatici, per esempio, la Ce ha finanziato ricerche per produrre gomma a partire dal lattice delle radici del tarassaco russo (Taraxacum koksaghyz), con i soliti risultati industriali dubbiosi (l'ennesimo magna-magna a favore della solita università olandese?).

Nel frattempo, la giapponese Kuraray ha sviluppato dei pneumatici da neve ad alta aderenza, prodotti dal colosso chimico Sumitomo, utilizzando il farnesene della Amirys. In materia di biocarburanti made in Europe, gli eurolegislatori hanno preferito per ora l'approccio più tradizionale alla conversione delle biomasse lignocellulosiche in etanolo, mediante saccarificazione acida o enzimatica, oppure la sintesi di carburanti liquidi mediante il vecchio processo Fischer-Tropfsch o la metanizzazione mediante l'ugualmente vecchio processo Sabatier.

Comunque sia, tutti i processi menzionati sono troppo complessi per consentire la trasformazione - e generazione di valore aggiunto - delle biomasse nelle aziende agricole, che rimarrebbero come semplici produttori di materia prima. Un'eventuale impennata nella produzione di farnesene, come quella prevista dallo studio Technavio, potrebbe provocare un aumento dei prezzi delle biomasse lignocellulosiche (paglia, pula, stocchi, segatura, sfalci, potature) e squilibrare il mercato dei pellet, oppure provocare una maggiore domanda di zucchero e quindi riattivare la coltivazione di barbabietola o, infine, costituire un mercato di nicchia per il biometano agricolo.

Si tratta dunque di un mercato appena nato, ma con un interessante potenziale da sviluppare. Il se condizionale rimane d'obbligo, perché gli interessi del Doe e dell'aeronautica militare americana non necessariamente coincidono con quelli dell'industria.
La domanda spontanea è: che convenienza avrebbe l'industria biotecnologica a produrre farnesene a 2 Us/kg per convertirlo in biocarburante, quando già lo sta vendendo a 100 Us/kg come prodotto pregiato per l'industria cosmetica e farmaceutica?

Un'altra ricaduta positiva del farnesene è nell'agrochimica: la produzione di feromoni artificiali da utilizzare come repellenti ecologici per gli afidi. La molecola potrebbe dare origine ad una serie di prodotti per la difesa delle piante dai pidocchi (Figura 2), in generale con un impatto ambientale molto più basso degli agrofarmaci tradizionali.

Afide verde del pesco
Figura 2: L'E-β-farnesene sembra funzionare come repellente dell'afide verde del pesco, Myzus persicae
(Fonte foto: Wikipedia)
 
Una cosa è certa: il farnesene è una molecola dalle mille utilità, e sicuramente ne sentiremo parlare ancora nell'immediato futuro.