Osserviamo che il 51% della legna prodotta nel mondo tra il 2013 e il 2014 è stata destinata a scopi energetici. In particolare, la produzione di pellet mostra un andamento esponenziale, raggiungendo il record di 26,5 milioni di tonnellate nel 2014.
Nel contesto internazionale, l’Italia si conferma al terzo posto mondiale fra gli importatori e consumatori di pellet (14% delle importazioni, 9% del consumo), dopo il Regno Unito e la Danimarca ma prima della Repubblica di Corea e del Belgio. I principali produttori mondiali di pellet sono invece: gli Usa, la Germania, il Canada, la Svezia e la Lettonia.
Sebbene i dati consolidati del 2014 non siano ancora stati pubblicati nel bollettino delle produzioni forestali, possiamo ugualmente fare il punto della situazione delle biomasse legnose in Italia, ricorrendo al database dinamico della Fao.
Nei seguenti grafici riportiamo i valori provvisori, i quali dimostrano che:
- la domanda energetica di prodotti forestali nel nostro Paese è quasi esclusivamente concentrata sui pellet;
- la tendenza del consumo di pellet è crescente;
- l’80% dei pellet consumati in Italia sono importati;
- l’Italia è al terzo posto in Europa fra gli importatori netti di pellet, dopo l’Inghilterra e la Danimarca. Nell’altro estremo il principale esportatore netto è la Lettonia, seguita dalla Russia e dal Portogallo.
Figura 1: Mix della domanda italiana di prodotti legnosi per uso energetico, 2014
Figura 2: Andamento dei consumi di pellet in Italia, 2012-2014
Figura 3: Il bilancio del mercato del pellet in Italia, 2014
Figura 4: Principali importazioni ed esportazioni nette di pellet in Europa, 2014
Analisi dei dati nel contesto europeo
I bilanci fra produzione, esportazione e consumo interno di pellet, non sono affatto omogenei all’interno dell'Unione europea. Allo scopo, compariamo alcuni casi particolari con la situazione italiana.
Svezia
È uno dei cinque maggiori produttori mondiali con 1.577.000 tonnellate nel 2014. Nonostante, nello stesso anno, abbia importato 521.630 tonnellate ed esportato 252.793 tonnellate.
Il suo forte consumo interno la colloca fra i Paesi importatori netti, nonostante la sua importante produzione nazionale. La Svezia, pur con una popolazione così relativamente ridotta, ha un elevato consumo di pellet, principalmente per uso industriale: sono solo 140mila gli impianti domestici (caldaie o stufe).
La maggior parte del pellet viene consumato nei grandi impianti di cogenerazione e teleriscaldamento, sostituendo il carbone, usato massicciamente fino al 1991, ma progressivamente ridotto da allora per l’entrata in vigore di una tassa sulle emissioni da combustibili fossili, la quale comportò la conversione degli impianti a carbone esistenti per funzionare con pellet e biomasse (fonte).
Germania
È il secondo produttore mondiale con 2,1 milioni di tonnellate nel 2014 e, malgrado il suo elevato consumo interno, si colloca al sesto posto nella classifica degli esportatori netti in Europa con 666.000 tonnellate. Curiosamente, nel contempo importò quasi 420.000 tonnellate, ma le statistiche segnano questo ultimo dato come non ufficiale.
Ciò è spiegato dal rapporto pubblicato dal Pellets atlas, un sito web istituito grazie al programma europeo Intelligent energy: il mercato interno tedesco è costituito principalmente da piccoli impianti domestici, i quali richiedono pellet di qualità certificata DINplus (dal 1/05/2015 ENplus, cioè rispondente alla norma internazionale ISO 17225-2:2014).
La Germania esporta per la maggior parte pellet non rispondente agli standard DINplus, adeguati però per i grandi impianti di cogenerazione e teleriscaldamento scandinavi. Paradossalmente, nel contempo preferisce importare pellet di qualità certificata, proveniente dall’Austria, dalla Repubblica Ceca, dai Paesi dell’Est e dalla Svezia, la quale, come dicevamo, è anche cliente per lo stesso prodotto.
Lettonia, Portogallo, Russia, Romania, Estonia
Sono Paesi con grandi estensioni boschive, scarso consumo interno di biomasse, bassi costi di mano d’opera e posizioni geografiche limitrofe ai principali consumatori. Il Portogallo ha un’infrastruttura portuaria e collegamenti marittimi fluidi sia con l’Inghilterra che con la Francia, che favoriscono l’esportazione.
Italia
La crisi del settore del mobile e dell’arredamento, sommata alla crescente domanda di pellet per sostituire il riscaldamento a gasolio, da anni ha costretto i produttori nazionali di pellet ad approvvigionarsi di legname nei Paesi dell’Est. La maggior quantità di pellet viene importata già confezionata dall’Austria, dalla Slovenia e dalla Romania.
I principali consumatori di questo tipo di biomassa nel nostro Paese sono i privati, per soddisfare il proprio fabbisogno di energia termica per il riscaldamento domestico (caldaie e stufe) e in minore misura le pizzerie e i panifici per alimentare i propri forni. Il pellet, rispetto alla legna, offre il vantaggio di consentire una regolazione della temperatura molto comoda e semplice grazie alla tecnologia tipica dei bruciatori e nel contempo offre lo stesso sapore dei prodotti cotti nel forno a legna tradizionale.
In altri casi, i bruciatori di pellet sostituiscono i tradizionali bruciatori a gas e gasolio, per cui il beneficio risiede nella maggiore qualità gastronomica del prodotto finale e nel minore prezzo rispetto al combustibile fossile. In Italia è in vigore il sistema di certificazione dei pellet ENplus per gli impianti di riscaldamento, mentre i pellet e la legna per cottura dei cibi, devono rispondere ai Regolamenti Ce nn.178/2002 e 852, 853, 854 e 882/2004.
Considerazioni finali
Nonostante il processo produttivo dei pellet sia meno sostenibile di altre biomasse legnose, come ad esempio i tronchi e il cippato, il loro mercato è in crescita esponenziale dovuto, come spiegavamo, in parte alla comodità di gestione, in termini di maggiore facilità di stoccaggio, movimentazione e alimentazione automatica degli impianti, ma sostanzialmente alla maggiore convenienza economica rispetto ai combustibili fossili. Inoltre, la granulometria uniforme dei pellet favorisce un migliore controllo dell’aria di combustione e quindi una riduzione delle emissioni di materiale particolato, rispetto a quelle dovute alla combustione della legna spaccata e del cippato.
Tuttavia rimangono ancora tre grossi interrogativi dovuti al fatto che l’82% della domanda di pellet in Italia è soddisfatto con materia prima o prodotto finito, d’importazione, trasportato su gomma su lunghe distanze:
- E’ sostenibile importare pellet? Per rispondere correttamente bisognerebbe valutare nel ciclo di vita del prodotto il bilancio fra le emissioni di gas climalteranti, risparmiate mediante la sostituzione dei combustibili fossili negli impianti di riscaldamento e le emissioni di Co2 causate dal suo trasporto dai Paesi d’origine. In altri termini, dovremmo calcolare non solo energia elettrica e termica utilizzata per produzione del pellet, ma anche le emissioni di Co2 e di particelle sottili indotte dal trasporto su gomma, e i Voc (volatile organic compounds, composti organici volatili) inevitabilmente derivati dalla combustione di qualsiasi biomassa, in piccoli impianti domestici. Non è a priori scontato che il bilancio di Co2 sia positivo o negativo, sarebbero necessarie analisi più approfondite.
- Può l’economia italiana reggere a lungo la dipendenza dal pellet importato? Si profila una situazione nella quale semplicemente si sta sostituendo la dipendenza dal gas russo e libico, con quella da pellet e legna provenienti dai Paesi dell’Est e dall’Austria.
- L’Italia sta adempiendo ai propri impegni sottoscritti con il trattato di Kyoto, nonostante nel contempo stia contribuendo indirettamente ad aumentare l’impatto ambientale in altri Stati. Nella certificazione ENplus è richiesta a solo un’autocertificazione da parte del produttore, dove sia dichiarato il rispetto di certi criteri generali di sostenibilità del prodotto (riportati in questo documento).
La certificazione può essere revocata solo nel caso (improbabile) di denunce da parte di terzi. L’immaginario collettivo italiano percepisce l’etichetta di un sacco di pellet austriaco come la garanzia, quasi certezza, sulla provenienza del prodotto da boschi gestiti in modo sostenibile (protocollo Fsc). Purtroppo la realtà è ben lungi da quell’interpretazione: i nostri vicini d’oltralpe sono responsabili del disboscamento selvaggio di larghe estensioni di foresta in Romania, come risulta dalle denunce pubblicate sul giornale tedesco Der Spiegel.
Abbiamo anche elementi per sospettare che i legnami e i pellet, provenienti da altri Paesi dell’Est, siano il prodotto di disboscamenti incontrollati di foreste naturali. A titolo d’esempio, si veda la denuncia della comunità scientifica polacca, pubblicata dalla prestigiosa rivista Nature, contro i piani del loro ministro dell’ambiente che, col pretesto di una non dimostrata peste degli alberi, vorrebbe disboscare una grande area della foresta di Bialowieza, ultimo rifugio degli ultimi esemplari di bisonte europeo.