Ma è l'Olanda nel suo complesso ad essere un gigante quando si parla di agricoltura. A livello globale i Paesi Bassi hanno esportato nel 2015 ben 82,4 miliardi di dollari in prodotti alimentari (il doppio dell'Italia). Sono superati in classifica solo dagli Stati Uniti, che però hanno una superficie 270 volte superiore a quella del piccolo Stato Nord europeo. Gli olandesi eccellono non solo nelle colture protette, ma anche nella produzione di sementi orticole (controllano un terzo di un mercato globale da 1,7 miliardi di dollari), nella produzione di uova e latte.
"Il segreto del successo olandese è racchiuso nel triangolo d'oro, cioè la collaborazione tra imprese, amministrazione pubblica e settore della ricerca", spiega ad AgroNotizie Cecilia Stanghellini, ricercatrice italiana che ormai da trent'anni lavora e insegna all'Università di Wageningen, considerata a livello globale il polo d'eccellenza della ricerca in agricoltura. Intorno a Wageningen si concentrano aziende e startup che collaborano per il progresso del settore primario. E Cecilia Stanghellini ha una lunga esperienza nel campo delle colture protette.
L'eccellenza olandese è frutto di un lungo lavoro. "Negli anni passati il Governo ha sostituito i finanziamenti diretti alla ricerca applicata con bandi in cui il cofinanziamento da imprese e altre fonti, come associazioni settoriali e Unione europea, è obbligatorio. Inizialmente alle imprese era richiesto solo di contribuire con il proprio lavoro, ma ora non più. Anche le aziende hanno dovuto adeguarsi contribuendo finanziariamente e lo hanno accettato perché sanno che è l'innovazione la chiave del loro successo", spiega Stanghellini.
La premessa perché questo modello funzioni è che ci siano cooperative, associazioni di produttori e consorzi che siano validi interlocutori e che investano in ricerca. In Olanda ci sono poche grandi associazioni che riuniscono i produttori e che investono in quei progetti di ricerca che hanno ricadute tangibili sulla gestione delle aziende agricole.
Ma come sono fatte le serre olandesi? La quasi totalità è in alluminio e vetro, progettate in modo da catturare e trattenere la maggior parte del calore irradiato dal sole. L'idroponica, l'utilizzo cioè di substrati inerti e soluzioni nutritive per far crescere le piante, è la normalità. Per riscaldare gli ambienti durante i lunghi mesi invernali vengono usate caldaie a gas, dotate di un sistema di recupero dell'anidride carbonica che viene poi usata per concimare le piante in serra. Spesso si tratta di cogeneratori che oltre al calore producono elettricità, venduta in rete o utilizzata in sistemi di illuminazione che permettono di 'allungare' le giornate invernali rendendo possibile la produzione di orticole anche quando il debole sole invernale non sarebbe sufficiente. Il tutto, ovviamente, controllato da sensori e software.
L'interno di una serra che produce pomodori
(Fonte foto: Sfera Waterfood)
Il risultato? Le serre olandesi hanno un costo intorno ai 130 euro al metro quadrato, ben al di sopra delle serre in film plastico delle latitudini nostrane. Eppure i produttori riescono a stare sul mercato e a guadagnare più dei concorrenti. Nel 2016 il guadagno netto medio dei produttori olandesi di pomodoro è stato circa 5 euro/m2 contro circa 1 euro/m2 della Spagna.
"Un metro quadro di serra con illuminazione supplementare produce oltre cento chili di pomodoro, settanta senza i led", rivela Stanghellini. "Gli agricoltori olandesi hanno da sempre avuto a che fare con un clima inclemente e negli anni hanno imparato a gestire tutti i fattori produttivi per ottenere anno su anno produzioni e qualità costanti".
Il costo degli impianti è sicuramente un ostacolo, che però diventa superabile nel caso in cui i prezzi di mercato siano adeguati e non troppo ballerini, come avviene in Italia. E questo può essere ottenuto solo grazie a ben rodate forme associazionistiche.
Gli agricoltori olandesi sono tutti aggregati in cooperative con lo scopo non solo di interloquire all'interno del triangolo d'oro per richiedere innovazioni utili, ma anche di affrontare uniti la grande distribuzione. "In Italia il singolo produttore è in balia del mercato. In Olanda i growers sono associati in pochissime organizzazioni che trattano con la Gdo. Offrono forniture costanti e omogenee in cambio di prezzi maggiori".
L'altro elemento da non sottovalutare è l'ascolto del mercato. Negli anni passati gli agricoltori olandesi puntavano soprattutto su grandi volumi, prediligendo varietà produttive, con frutti dalla lunga shelf life. Dalla Germania (che importa circa due terzi dei pomodori olandesi) si è levata la protesta dei consumatori per le wasserbomb, bombe d'acqua. Frutti belli ma insapori. C'è stato quindi un riposizionamento della produzione verso varietà meno produttive ma più gustose.
Le serre olandesi arrivano a produrre 100 chili di pomodoro per metro quadro
(Fonte foto: Sfera Waterfood)
Uno degli elementi da non sottovalutare è infine la grandezza aziendale. Le serre hi-tech generano economie di scala solo quando superano i circa 4 ettari. Questo ha causato una grossa aggregazione, tanto che la grandezza media delle imprese produttrici di pomodoro è passata da circa 1.5 a più di 6 ettari dal 2000 al 2016.
Anche in Italia ci sono produzioni di eccellenza, come nel caso di Sfera Waterfood, una serra da 13 ettari in costruzione nel cuore della Maremma, in provincia di Grosseto. Niente vetro, che a queste latitudini è superfluo, ma all'interno delle campate la tecnologia è quella olandese. Per costruire Sfera, che fornirà insalate, pomodori ed erbe aromatiche alla Gdo, ci sono voluti quasi 20 milioni di euro. "Trovare investitori non è stato semplice. Ma alla fine il progetto è piaciuto", spiega ad AgroNotizie Luigi Galimberti, ceo e founder di Sfera. "L'altro grande ostacolo è stato riuscire a gestire la complessità dell'opera, sia dal punto di vista infrastrutturale, che manageriale e agronomico".
Prima ancora di iniziare la produzione Sfera ha stretto accordi di fornitura con la grande distribuzione, seguendo il modello olandese. Prodotti omogenei, tutto l'anno (o quasi) a prezzi maggiori rispetto a quelli del mercato. "La produttività della serra varia molto a seconda della varietà di pomodoro. Noi abbiamo optato per produzioni contenute ma di qualità, come nel caso del datterino che produce 15 chili al metro quadro, ma spunta prezzi elevati".
Superficie colture ortive in serra
(Fonte foto: Centro Studi Confagricoltura)
Le coltivazioni in serra sono anche più sostenibili dal punto di vista ambientale perché riducono drasticamente l'uso di agrofarmaci e acqua. All'interno di Sfera ad esempio il pomodoro da mensa cresce con il 90% in meno di acqua rispetto al pieno campo. In Cina servono 260 litri di acqua per produrre un chilo di pomodori, in Olanda circa 10.
Dal primo gennaio di quest'anno inoltre tutte le serre dei Paesi Bassi sono obbligate ad utilizzare un sistema di fertirrigazione a ciclo chiuso. Significa che la soluzione nutritiva, dopo essere stata drenata, non viene scaricata, ma recuperata, sterilizzata e riutilizzata, aggiustando ovviamente pH e conducibilità elettrica. Questo perché l'Olanda, che in passato ha sofferto di inquinamento delle falde a causa proprio dell'agricoltura intensiva, oggi guarda molto alla sostenibilità ambientale. E anche in questo la ricerca ha avuto un ruolo da gigante.