Si è tenuto il 27 giugno scorso il Grape derivates day, organizzato a Roma da Bertagni Consulting srl, la società che gestisce in outsourcing le due associazioni europee dei derivati dell’uva: Widen (Wine distilleries european network) e Must (European lobbying of concentrated grape musts and juices producers). Nella sua relazione (“Evoluzione del ruolo delle distillerie vitivinicole e dei produttori di succhi e mosti d’uva concentrati nell’ambito della filiera europea del vino tra vecchia e nuova Ocm. Assetti concorrenziali e trasparenza al consumatore i temi (più) caldi per i derivati dell’uva. Case histories”), Marco Bertagni, Ad di Bertagni Consulting e presidente di Must e Widen ha rivolto cinque quesiti alla Commissione europea con riguardo al settore del vino e dei derivati dell’uva:
1) Sta rispettando le proprie promesse?
2) Sta portando avanti politiche coerenti rispetto agli obiettivi prefissati?
3) Sta evitando di generare distorsioni di concorrenza?
4) Sta applicando correttamente le regole della riforma del 2008? 
5) Sta rispettando il ruolo dei settori dei derivati dell’uva nell’ambito della filiera-vino?

Le risposte sono state cinque “no”, ognuno pluri-motivato.

I due casi paradigmatici esaminati dai partecipanti all’Assemblea - operatori europei dei settori dei derivati dell’uva, giuristi, associazioni vinicole, rappresentanti Mipaaf – sono stati quelli della ormai famigerata chaptalisation e dell’esclusione delle distillerie vinicole dai settori beneficiari di sostegni agli investimenti innovativi.

Su quest’ultimo tema il Mipaaf, così come Widen, è rimasto sorpreso dalla cassazione all’ultimo passaggio istituzionale dell’emendamento che inseriva anche le distillerie tra i settori beneficiari. Questo segmento – unico della filiera-uva – è stato estromesso senza alcun motivo, né la Commissione si premura di fornirne. E’ un atteggiamento, questo, che genera indubbie perplessità. Widen tuttavia, intende riallacciare presto i contatti con i nuovi parlamentari europei e rinforzare il lotto dei Paesi europei favorevoli ad un equo trattamento delle distillerie rispetto agli altri anelli della catena del vino. E tornare poi a Bruxelles, fin quando le Autorità comunitarie capiranno che investire in innovazione per le distillerie, così come per gli altri settori dei derivati dell’uva, è l’unica via d’uscita per sopravvivere ai grandi shock strutturali, gestionali e amministrativi patiti nel 2008.

Sulla pratica dello zuccheraggio, in un appassionato intervento, il presidente dei Vini dei Pays d’Oc, Jacques Gravegeal e il direttore generale, Florence Barthés hanno stigmatizzato come con l’abolizione dal 2012 degli aiuti all’Mcr la Commissione abbia riaperto una ferita inferta nel 2008 a chi arricchisce i vini utilizzando solo derivati dell’uva e ai produttori stessi di Mcr. La distorsione di concorrenza ha aggiunto Gravegeal “è evidente, vista la differenza di costo tra saccarosio e Mcr e sembra che, fin qui, la Commissione abbia voluto sostenere una materia esogena alla filiera del vino piuttosto che un derivato dell’uva. La buona notizia è che il ministro francese dell’agricoltura, Stephan Le Foll ha appena dichiarato che la richiesta di re-introduzione degli aiuti all’Mcr è tra le priorità dell’Amministrazione agricola francese”.

Il Mipaaf si sentirà quindi meno isolato – ha sottolineato Bertagni – in una battaglia sacrosanta, non solo per ripristinare le eque condizioni concorrenziali, ma anche per garantire una maggior trasparenza al consumatore. Stimiamo che tra i 15 e i 20 milioni di ettolitri di vino siano annualmente arricchiti in Europa con saccarosio e nessuno – a parte gli addetti ai lavori – ne è al corrente. Come FederMosti e Must seguiamo questo dossier a tutela degli interessi dei nostri associati, ma porterei avanti questa battaglia anche come privato cittadino, perché è davvero inaudito e contraddittorio che la Commissione dichiari che il vino va fatto con l’uva e consenta poi l’aggiunta di sostanze esogene quali il saccarosio, senza che – paradosso dei paradossi – il consumatore ne sia consapevole. La Commissione si nasconde dietro ai mantra della “de-regulation” e della “trasparenza al consumatore” ma dimentica, da un lato, che l’armonizzazione è una pietra miliare dei Trattati dell’Unione europea e, dall’altro, che il consumatore quando acquista un vino si aspetta di bere un derivato dell’uva”.

Must e Pays d’Oc hanno annunciato un agreement per continuare, congiuntamente e sempre con maggior forza, un’azione sui decision makers internazionali, sui media e sui consumatori, senza trascurare come ultima ratio, qualora non vengano ripristinate le condizioni concorrenziali in tempi brevi, un ricorso alla Corte di Giustizia. Del resto, il parere pro-veritate redatto dallo Studio Tonon & Ferrari per Must e Pays d’Oc, fornisce più di un elemento a sostegno di questa eventualità.