A tutti gli effetti l'economia condivisa si propone oggi come alternativa al modello capitalistico/consumistico classico, quindi come un modello valoriale alternativo che prevede il riuso, il riutilizzo, la condivisione, e può avere riflessi positivi sia economici sia ambientali.
Il classico esempio è il car sharing, ovvero la condivisione di mezzi di locomozione in ambito soprattutto urbano. Già in molte città del mondo, anche i più ricchi hanno capito che non è necessario possedere una vettura ma è meglio prenderla "a prestito" solo quando se ne ha bisogno.
L'informatica e l'uso degli smartphone rende poi tutto più facile con le apposite app: dal trovare un passaggio per una meta remota fino al cercare una camera non in albergo ma presso chi affitta la propria abitazione.
Chiaro è che tutto si regge su di un maggior ricorso a valori come la fiducia e la reputazione. Tutte queste belle cose ci venivano in mente mentre assistevamo a un convegno di contoterzisti.
Sbalorditivo apprendere che oggi, in Italia, 540mila aziende agricole ricorrono ai servizi degli agromeccanici (il 33% delle aziende agricole) e l'11% del totale affida loro tutte le operazioni colturali; il 60% della Sau nazionale (7,5 milioni di ettari circa) è interessato da lavorazioni contoterzi (dati Uncai).
Tutto questo fatto da 31mila aziende agromeccaniche (dati Atec 01.61). Di fatto anche questa è sharing economy.
Da praticoni sappiamo che per non lavorare in modo antieconomico con una macchina dobbiamo far fieno in almeno 90 ettari o utilizzare una mietitrebbia per un minimo di 340 ettari.
Gli economisti agrari ci spiegano poi che un trattore da 200 HP viene ammortato in diciotto anni mentre un contoterzista ce ne mette nove o che per un agricoltore una rotopressa si ammorta in venti anni, in sei per un terzista. Ben venga la sharing economy quindi, specie se sono esaltati valori come la fiducia e la reputazione.
Che valori proprio nuovi non sono, ma valgono sempre doppio.