Ma il 2016 ha visto invece una inversione di tendenza, con gli investitori che hanno sborsato solo 118 milioni, il 64% in meno. Come mai?
Il motivo è che gli agricoltori statunitensi, dopo una prima entusiastica adozione dei droni, hanno deciso di optare per un approccio più cauto riscontrando una serie di problemi nell'effettivo impiego dei velivoli senza pilota nelle loro aziende agricole.
Ma facciamo un passo indietro. Per che cosa sono utilizzati i droni oggi? Il velivolo senza pilota porta in volo una telecamera multispettrale in grado di registrare le radiazioni luminose provenienti dalla vegetazione. Queste immagini vengono poi elaborate per ottenere le cosiddette mappe di vigore, che riportano lo stato di salute della vegetazione.
Le mappe possono essere utilizzate per l'agricoltura di precisione, per gestire cioè la variabilità in campo al fine di ottenere rese maggiori con minori input produttivi. Oppure per sorvegliare le colture, individuando le zone sotto stress, magari per una carenza idrica o a causa di un attacco fungino o di parassiti.
Proprio questo ultimo obiettivo è quello che sta più a cuore agli agricoltori statunitensi che gestiscono, mediamente, estensioni coltivate molto maggiori rispetto a quelle nostrane e che quindi necessitano di un occhio dall'alto per controllare che i campi siano in salute. Un drone è in grado di sorvolare un campo di mais di alcune centinaia di ettari per tenerlo sotto controllo.
La maggior parte degli agricoltori tuttavia lamenta tempi troppo lunghi nell'elaborazione delle mappe che quando arrivano nelle loro mani sono spesso inutili. E i costi non sono indifferenti. A meno che il farmer non sia anche pilota occorre affidarsi ad una società di consulenza che deve portare in campo i propri mezzi, far volare il drone e dopo alcuni giorni di analisi delle immagini restituisce le mappe di vigore, in cui sono visivamente segnate in rosso le aree di campo in sofferenza.
Un esempio di mappa di vigore
Gli alti costi, le difficoltà operative e la mancanza di tempestività hanno portato molti agricoltori a raffreddare gli entusiasmi. Ma le startup del settore non demordono e stanno sviluppando soluzioni per superare questi problemi.
SlantRange è una azienda che ha messo a punto un sensore in grado non solo di raccogliere informazioni durante il volo del drone, ma di analizzarle in tempo reale, fornendo all'agricoltore le mappe di vigore al momento dell'atterraggio. In questo modo gli interventi possono essere immediati.
La francese Parrot ha invece da poco lanciato Disco (di cui abbiamo parlato qui), un drone ad ala fissa che si guida da solo. Le immagini del campo devono essere scaricate sul pc e inviate tramite internet ad un centro di analisi che restituisce le mappe di vigore entro 24 ore.
Gamaya ha invece deciso di puntare tutto sulla qualità dell'immagine. Invece di montare sul drone un sensore multispettrale, che registra solo quattro bande di luce (rosso, verde, blu e infrarosso) ha optato per una telecamera iperspettrale che identifica 40 bande. In questo modo si possono mettere a punto mappe molto più precise.
Sembra infatti che mentre la tecnologia legata ai droni sia sostanzialmente ferma, a fare la differenza siano i sensori e i software di analisi dei dati. L'utilizzo dell'intelligenza artificiale e del machine learning sono gli elementi chiave per il futuro del settore.
Hummingbird ad esempio si definisce una azienda dedita allo sviluppo dell'intelligenza artificiale, piuttosto che di droni. Le immagini che vengono raccolte dai velivoli senza pilota sono analizzate per fornire all'agricoltore informazioni non solo sullo stato di salute generale della coltura, ma anche insight sulla tipologia di problema che affligge le piante. In questo modo si possono mettere in campo interventi tempestivi e tagliati sul reale problema.