Roberto Rinaldin, 43 anni, titolare della Rinaldin Group, concessionaria di Ponte Piave a Treviso, è da sei mesi presidente Unacma, l'Unione nazionale commercianti macchine agricole.
Della sua nomina, coincisa con un momento di particolare "stravolgimento" per l'Unione, abbiamo parlato nell'ottobre 2014 quando fu eletto all'unanimità in concomitanza alla nomina dei vicepresidenti, entrambe avvenute a breve distanza dall'elezione del consiglio direttivo, svecchiato e quasi interamente rinnovato, del 26 ottobre scorso.

Passati sei mesi, AgroNotizie ha intervistato Rinaldin e, approfittando della sua presenza al Tao 2015, ci siamo fatti fare un bilancio dell'attività in veste di nuovo presidente e un'analisi del contesto nazionale dal punto di vista dei dealer. Abbiamo chiesto al presidente di considerare i forti cambiamenti del mercato, le azioni anticrisi intraprese dalle case costruttrici, la presenza sempre più forte delle attrezzature - leggi approfondimento - e le esigenze dei concessionari di aprire nuovi business tra cui rendicontare servizi oggi mai remunerati così da contro bilanciare il trend negativo delle vendite. 

Cosa significa assumere la presidenza di Unacma in un momento caratterizzato da importanti cambiamenti interni cui si aggiungono le contingenze del mercato? A sei mesi dalla nomina, qual è il panorama nazionale e quale parte degli obiettivi fissati durante l’assemblea nazionale di ottobre sono stati raggiunti?  
"La mia percezione di Unacma a livello nazionale è stata, fino a sei mesi fa, filtrata da quella di consigliere impegnato in molte questioni locali focalizzate in particolare attorno alla provincia di Treviso, pur con uno sguardo allargato all'orizzonte regionale veneto.
L'avere assunto il ruolo di presidente ha aperto il confronto con tante realtà diverse: l’Italia è lunga e reagisce a questioni comuni con modalità molto differenti.
Non ho ancora finito il giro conoscitivo, ma abbiamo da poco incontrato i colleghi umbri e laziali, emiliani, del Nord ovest e del Nord est, dove abito. Le prossime tappe saranno al sud, incontreremo i pugliesi in occasione di Agrilevante a ottobre e, a brevissimo in giugno, i colleghi siciliani durante Enovitis in campo.
Tra gli obiettivi centrati, l'accordo con l’Inail grazie al quale siamo riusciti a far partire i primi corsi di installazione in sicurezza dei dispositivi sulle trattrici usate e sulle altre macchine quale passaggio obbligatorio della ormai imminente revisione delle macchine agricole".


Forse imminente…
"La definiamo imminente perché da più parti si è stabilito che una legge è una legge e quindi, se non la vogliono più fare, devono fare una legge abrogativa e non possono tenerla in vita nel limbo natural durante.
Ho più volte espresso la mia opinione: se vogliono abrogarla che lo facciano così ci mettiamo una pietra sopra. Certo è, che devono prendersi la responsabilità di lasciare i nostri operatori e i terzi nella totale insicurezza: oggi le macchine circolano per strada senza nessun controllo. N
on servono più proroghe e va fatta".

E l'assenza delle strutture per i controlli?
"Non sono d’accordo sull’assenza di strutture, basta capire di cosa si tratta e sono certo che i miei colleghi saranno in grado di strutturarsi.
Dobbiamo uscire dal concetto che la revisione sia un business per i concessionari, è questione di interesse collettivo. Macchine non sicure e libere di circolare per strada mettono a repentaglio la sicurezza generale.
Poi, molto probabilmente, le contromisure prese non saranno poi così severe come qualcuno dice e pensa. Sono l'oggetto di trattativa delle parti sociali di questi mesi e siamo sicuri che ci sarà la possibilità di recuperare gran parte dei mezzi in circolazione oggi, ad essere scartati saranno solo quelli davvero non sicuri.
Non si tratterà, quindi, di buttare alle ortiche un parco macchine, seppur vecchio come quello nazionale, ma di metterlo in sicurezza almeno nei termini minimi.
Vi possiamo assicurare che gli operatori Unacma che interagiscono sui tavoli decisionali sono forse gli unici che portano a conoscenza dei legislatori la realtà del territorio fatto di macchine e operatori con cui si confrontano quotidianamente. Conosciamo le criticità oggettive e sappiamo quali sono le insicurezze maggiori da sistemare"
.

Tornando agli obiettivi raggiunti e a quelli futuri...
"Abbiamo lanciato il progetto Mech@griJobs attraverso cui non solo spieghiamo ai maturandi delle sessioni tecniche o degli istituti agrari come possono trovare impiego nel settore della meccanica agraria ma facciamo di più. Stiamo approntando, in accordo con gli assessorati all’istruzione pubblica regionale, un corso di studi di due anni post diploma che approfondisce lo studio della meccanica agraria specializzata con particolare focus sulle nuove tecnologie.
Parliamo di telemetria, diagnosi elettronica, gestione dei cambi innovativi come la variazione continua. Di fatto nuove tecnologie attualmente non in programma nei corsi di studi classici, affiancate dalle materie classiche e dalla lingua inglese. 
Di grande interesse lo stage presso concessionari e costruttori la cui durata è pari a circa metà delle ore totali dei due anni.
È una proposta che stiamo portando su tutto il territorio nazionale laddove troviamo la sensibilità degli assessori all’istruzione e degli istituti tecnici. Nelle zone in cui siamo partiti, per ora in alcune aree dell’Emilia e dal prossimo anno in Veneto, i due anni di corso sono riconosciuti".


Con Mecc@grijobs andate a rispondere alla necessità dei concessionari di manodopera specializzata…
"È un interesse trasversale a tutti, i ragazzi in questi due anni se lavorano bene trovano facilmente impiego presso concessionari e costruttori. Da parte sua, il concessionario ha modo di fare scouting in un bacino abbastanza ampio e preselezionato essendo una formazione post-diploma, una volta tanto, a spese di altri".

Considerando il mercato, le azioni anticrisi intraprese dalle case costruttrici, considerando che il comparto implements sembra l’unico a reggere e che oggi ai dealer viene richiesta con forza una offerta full line. Considerando i servizi cui le concessionarie devono strizzare l’occhio, insomma, considerando il nuovo panorama che si staglia all’orizzonte, quali sono le principali problematiche a livello nazionale?
"Diciamo che andiamo a toccare un tema caldo. Il punto chiave è la marginalità che rimane in tasca a chi fa questo mestiere e, oggi, deve andare a cercarsela.
Fare la guerra ai costruttori di trattori in termini di margini è inutile, i margini sono definiti dal mercato in funzione dell’equilibrio tra la domanda e l’offerta del prodotto.
Il mondo degli implements è di sicuro interesse per i margini che pur segnati da un trend in flessione, sono interessanti. Si tratta di un mercato del quale vanno però definite le regole. Ad esempio, il post vendita dei trattori, in qualche modo, è disciplinato dal regime di garanzia delle case costruttrici, ma questa questione non è mai stata affrontata nel mondo delle attrezzature.
Una delle vertenze su cui vogliamo puntare l'attenzione è proprio quella di richiedere un sistema gestionale che vada a considerare l'impegno profuso dal dealer nei confronti del fornitore di implements per andare a coprire costi inglobati all'interno di una marginalità fino a ieri abbastanza abbondante. Ora, a fronte di una marginalità riconsiderata, è diventato necessario riconsiderare anche il carico di questi servizi".


Avete già messo in campo qualcosa con i costruttori?
"Stiamo aprendo la discussione e crediamo vogliano professionalizzare il settore ma, a fronte dell’impegno che grava sui dealer per la manutenzione e l’installazione di implements e per l'assistenza tecnologica in continua crescita, il messaggio è che l’assistenza in regime di garanzia al cliente finale dovrà essere remunerata".

I recenti dati diffusi da Federunacoma, riguardanti l'andamento del mercato delle macchine agricole nel primo trimestre 2015, evidenziano un settore, quello degli specializzati che, con una crescita di 10,8 punti percentuali dal 2012 al 2014, fa da traino positivo a un settore in crisi. La loro sopravvivenza però è minata dall'incombente normativa europea sulle emissioni. Quale è la vostra posizione?
"Conosciamo l’aspetto della problematica tecnica, d’altro canto non posso esimermi dal commentare che siamo fieri di essere all’avanguardia nell'emissionamento Fase IV perché, dal punto di vista etico, lavorando con materiale destinato al consumo umano non possiamo non affermare che sia corretto avere normative sempre più severe che portino alla maggiore tutela possibile del nostro ambiente di lavoro.
Detto questo, come sembra plausibile, le macchine subiranno rincari minimi nell'ordine di 5-6 mila euro e, alla luce di tale dato, vanno attentamente valutati i costi e i benefici per decidere, ragionevolmente, se sia opportuno rivedere la normativa o lasciare più tempo alle case costruttrici per indagare una strategia economicamente meno onerosa".


In poche parole siete a favore della richiesta di proroga dell’attuazione della fase IV o addirittura di superamento e passaggio diretto alla Fase V
"Sì, sicuramente sembra che alle case costruttrici serva più tempo per trovare un equilibrio tra costo e prestazione.
Siamo a favore della richiesta di una nuova valutazione circa i costi e i benefici. Ci schieriamo per un rinvio ma non eterno, perché come ho più volte dichiarato, le partite 0 a 0 non mi piacciono, un vinto e un vincitore a fine campionato ci devono essere".


Abbiamo parlato di sicurezza ma tra i punti chiave di Unacma figurano anche la consapevolezza e l'associazione. Come si incastra in questo il ruolo dei dealer?
"Abbiamo un ruolo chiave di collegamento tra il costruttore e l'utilizzatore finale delle macchine. Siamo investiti di un compito molteplice, spesso con qualche incombenza in più del costruttore stesso.
Dobbiamo occuparci di marketing, di finanza perchè gli investimenti devono essere sostenibili, a volte dobbiamo reperire fondi per eseguire la commessa, occuparci di post vendita in regime di garanzia e non, di consulenza tecnica perché, in alcuni casi, dobbiamo individuare modifiche o espedienti utili al miglior funzionamento delle macchine, dobbiamo, infine, occuparci di informare il cliente sulle nuove tecnologie.
In pratica un concessionario medio per funzionare, non potendo tralasciare nessuno di questi aspetti, dovrebbe avere una serie di figure specializzate. Un impegno reso ancora più gravoso dal fatto che spesso è il titolare a far fronte a buona parte di questi ruoli".


Quali strategie metterete sul tavolo per riportare l'asticella della marginalità a un livello di sicurezza?
"Per quanto riguarda l’aspetto della rendicontazione, per mantenere le aziende sane e sostenibili, dobbiamo trovare nuove e alternative fonti di redditività e remunerazione: possiamo in parte metterci nelle braghe del costruttore ma non possiamo chiedere una soluzione totale.
Abbiamo individuato dei buchi neri a oggi riempiti dal solo dealer. Ad esempio, le ore di manodopera eseguite in garanzia e non remunerate, anche giustamente, dal costruttore che non intende pagare il disallestimento e riallestimento di dispositivi aftermarket necessario alle manutenzioni eseguite in garanzia.
Rientrano in questo buco nero anche le visite al cliente finale per risolvere i problemi in campo o gli eventuali costi di trasporto del mezzo dal cliente finale all’officina. Tutte voci che sul bilancio pesano non poco, fino a 2-3 punti percentuali, e che non sono mai state rivendicate perchè rientranti in un regime di redditività sostenibile. Oggi però, il solo dealer non è più in grado di far fronte da solo. 
Per questo, abbiamo aperto un dialogo e organizzato un incontro con tutti i direttori marketing delle case costruttrici attive sul mercato nazionale finalizzato a trovare un punto comune che definisca una soluzione. 
È vero che oggi le aree di pertinenza dei concessionari vengono ampliate per aumentare la sostenibilità ma il calo del mercato è importante e non va dimenticato che le variabili in bilancio per il concessionario sono poche mentre sono tantissimi i costi fissi. In poche parole, se cala il fatturato l'effetto è immediato e altrettanto immediata deve essere la reazione.
La soluzione che abbiamo individuato per aumentare la marginalità è quella di trovarla dove non l’abbiamo mai richiesta. Per questo, non ci rimane altra scelta che puntare sulle attrezzature e sui servizi di qualità che dobbiamo farci riconoscere dal cliente il quale deve essere disposto a condividere lo sforzo economico".


Quali sono i prossimi passi?
"Come prima cosa, banalmente, dobbiamo rendere consapevoli i nostri dealer dell'incidenza di questi costi. Per farlo, è in fase di svolgimento una ricerca fatta in collaborazione con Deloitte dalla quale avremo un’istantanea molto particolare sulla situazione. Quando sarà chiaro a tutti di quali importi parliamo, sarà più facile fare fronte comune per organizzare le contromisure.
Sarà necessario far capire l’importanza del servizio post vendita, di quanto sia oneroso formare il personale specializzato e, quindi, definire tariffe sostenibili di manodopera. Un dato sopra tutti, ai nostri colleghi francesi viene riconosciuta una remunerazione di 80 euro all’ora, in Italia, siamo abbondantemente sotto la metà. Pensiamo di non avere un servizio diverso dal loro, certo non siamo meno tassati e pensiamo di avere le necessarie competenza e tradizione: le nostre officine hanno una media di 30 anni di lavoro alle spalle. Quindi, qual è la differenza e come mai il cliente francese può permettersi questi costi? Il punto è che con il cliente italiano non abbiamo mai affrontato la questione perchè abbiamo sempre coperto i costi per tradizione. Ma prima di qualunque considerazione, aspettiamo i risultati di Deloitte".


Parlando di tavoli di trattativa, come procede il percorso di partnership con le case costruttrici iniziato con Same Deutz-Fahr all’Agridealer day 2014?
"Abbiamo dichiarato la nostra disponibilità e l’incontro cui accennavo prima è un importante passo in questo senso essendo l’adesione delle case costruttrici stata praticamente totale.
Stiamo trattando temi di interesse comune evitando le criticità da trattare individualmente in quanto irrisolvibili in un gruppo. 
Tornando alla gestione dei costi non remunerati, tematica comune a tutti, per avere modo di rendicontarli, si è pensato a una soluzione stile automotive con pacchetti assicurativi volti a dare copertura al cliente finale su questi costi".


Come ultimo argomento, parliamo dei concessionari monobrand imposti, in taluni casi, dalle case costruttrici. Qual'è l'approccio del dealer? La richiesta nasce da un dialogo o si tratta di un prendere o lasciare calato dall'alto?
"Anche in questo caso, stiamo aprendo la discussione. Ritengo, che dal punto di vista del concessionario sia molto pericoloso aderire a una politica monobrand per una serie di ragioni.
Intanto, si corre il rischio di oscurare la professionalità del concessionario che deve avere una propria personalità resa forte dalla capacità di mettere in campo per il cliente la propria conoscenza. Se ciò non avviene, il concessionario perde anche la possibilità di richiedere un riconoscimento economico.
C’è poi da dire che le aziende, per lo più multinazionali, con molta facilità riescono a far crescere una concessionaria ma con altrettanta facilità la smontano e, rimanere in balia della volontà altrui, è rischioso.
Ho più volte dichiarato che un dialogo sereno con il proprio costruttore di riferimento rappresenta la sola base di partenza per raggiungere obiettivi comuni, lavorare in modo rilassato dando spazio all'espressione della personalità della concessionaria".

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