Ogni opinione appare legittima, ma solo fino a prova contraria. Nel senso che quando un'opinione incontra la prova di essere sbagliata, è l'opinione che dovrebbe cambiare, non la prova. 

 

Al contrario, da molti anni è cresciuta l'idea che opinioni e fatti giacciano sullo stesso piano, spostando le discussioni sulle persone anziché tenerle focalizzate sulle evidenze fattuali. Peccato che tale retorica ad personam si presenti sempre zoppa, poiché mancante delle necessarie fondamenta probatorie. Per ovviare a tali lacune argomentative, uno degli strumenti più efficaci è infatti quello dell'insinuazione del dubbio, del sospetto. Se non si trova alcunché che corrobori le proprie tesi fallaci - o deliberatamente false - allora si cercherà di minare la credibilità di chi, invece, di prove solide ne ha portate a bizzeffe. 

 

Una delle vie più facili per gettare discredito sugli interlocutori scomodi è quella del conflitto di interessi, vero o falso che sia. Buttato là, a casaccio, in una pubblica discussione farà infatti guadagnare punti a chi nulla ha da argomentare in concreto, appannando artificiosamente l'immagine dei competitor. Quindi si è deciso di chiedere proprio a lui, al Conflitto d'interessi, come funzioni tale meccanismo.

 

Caro Conflitto d'interessi, ma com'è che Lei salta fuori ogni due per tre, spesso senza che ve ne sia necessità alcuna?

"Vede, di fatto io esisto davvero. Pensi a quante persone hanno ruoli decisionali su temi nei quali loro stessi hanno interessi soggettivi. Lei si fiderebbe di un appalto dato al cugino dell'assessore del suo paese?"

 

No. Non mi fiderei. Per lo meno vorrei verificare che l'offerta del "cugino" sia davvero la più solida e vincente.

"Ecco, appunto, Lei vorrebbe la verifica. Una verifica che però non chiederebbe con altrettanta fermezza se l'appalto venisse dato a qualcuno che, apparentemente, non ha legami col decisore pubblico. Ma ha idea di quanti conflitti di interessi ci sono sott'acqua, beneficiando dell'ombra proiettata da quelli esposti alla luce del sole?"

 

Intende dire che c'è molto più da preoccuparsi per i conflitti occulti e opachi, piuttosto che di quelli palesi?

"Esattamente. Talvolta il conflitto è di tipo economico, ma non facilmente individuabile come tale. Oppure non è nemmeno di tipo economico, bensì di tipo ideologico o filosofico. Il decisore, o l'opinionista, potrebbe sposare infatti una linea o l'altra non tanto in funzione di un'analisi puntuale dei fatti, bensì in base ai propri convincimenti. E questi sono conflitti di interessi ancora più insidiosi, poiché il soggetto potrebbe addirittura vantare a garanzia la propria supposta indipendenza, cosa che non è, ovviamente...".

 

Lasciamo perdere i sedicenti "indipendenti", che poi così indipendenti non sono mai, in base a cosa sarebbero più subdoli?
"Vede, entrare nella testa di una persona è più difficile che spulciare nel suo curriculum. A conferma, è meglio talvolta non avercelo neppure un curriculum, poiché in tal modo nessuno può ficcanasarci dentro alla ricerca di qualcosa con cui attaccarci. In sostanza e per assurdo, dati tali scenari, agli occhi di molti ingenui appare più credibile una persona del tutto ignorante su certi temi solo per il fatto che non essendosene mai occupata le viene inopinatamente conferito lo status di giudice imparziale".

 

E da quando l'ignoranza sarebbe garanzia di imparzialità?

 "Da quando l'esercito dei ciarlatani, sempre più agguerrito, ha compreso che l'ignoranza piace a larghe fette di popolazione ed è quindi la loro migliore alleata. Pensi al modo di sminuire gli scienziati chiamandoli 'professoroni', come se ciò fosse motivo di dileggio anziché di ammirazione".

 

Vabbè, ma qui si sta facendo leva sulle più basse invidie astiose di chi quei 'professoroni' non è nemmeno in grado di capirli...

"Appunto! Proprio nelle lacune cognitive altrui sguazzano i ciarlatani! Se uno scienziato in tv si mette a parlare di clima, di covid, di energia o di qualunque altro tema sul quale è competente, ci sarà sempre il contraltare che lo contesterà facendo leva proprio sui due differenti profili che essi rappresentano. L'esperto verrà bollato quale esponente di una non meglio precisata élite, i cui interessi è sicuramente lì per difendere. Il contrappositore si presenterà invece come paladino della verità a favor di popolo, vantando, appunto la mancanza di contatti con l'ambiente di cui si parla".

 

In sostanza, chi meno sa, più acchiappa?
"Esatto. La gara si sposterà in fretta dal piano delle prove, in cui lo scienziato è invincibile, a quello della retorica, in cui di invincibile c'è quasi sempre il ciarlatano. Tanto, quest'ultimo sa che per vincere l’attenzione mediatica gli basta sollevare dubbi e subdoli sospetti che il suo interlocutore abbia, appunto, 'conflitti di interessi'. Gran parte di chi ascolta verrà così irretita da tali colpi bassi e diffiderà istintivamente dell'esperto, fidandosi quindi del ciarlatano. Il pifferaio magico insegna, no?".

 

Eccome, se insegna. Del resto, chi è esperto di qualcosa è ben più facile venga chiamato ad attività consulenziali rispetto a chi non è esperto di alcunché. 

"E qui subentra la spicciola invidia ad arrotondare il risultato a favore del ciarlatano. Di solito, meno si conta nella società, più s'invidia chi ce l'ha fatta, chi è arrivato nella parte alta della piramide sociale. S'inizia col definire 'cocco della maestra' al compagno di scuola che prende tutti 10, anziché infilare il filotto di insufficienze che caratterizza invece l'invidioso di turno il quale, una volta cresciuto, per le medesime ragioni finirà coerentemente per insultare e odiare l'esperto la qualunque. Quello che gli ricorda appunto il primo della classe da lui odiato. Quello che di volta in volta snocciola in tv o sui giornali dati contrari al proprio comodo storytelling. Uno storytelling alimentato ovviamente dalle solite pagine web di disinformazione seriale. Mi creda, contro l'invidia sociale e gli odiatori seriali non c'è davvero alcunché da fare: sono e resteranno i soldati migliori al servizio di ogni ciarlatano in cerca di consensi".

 

Ovvero l'incapacità di guardare a se stessi come fonte dei propri insuccessi, arruolandosi in eserciti in perenne marcia verso un'illusoria rivincita sociale...

"E lo fanno pure gratis, pensi. Difficile poi trovare qualcuno che ammetta serenamente che buona parte del proprio stato, ben poco soddisfacente, derivi dalle proprie capacità limitate, o da un impegno ben al di sotto del minimo richiesto. La colpa è molto più comodo darla a non meglio precisati favoritismi che la vita avrebbe esercitato a vantaggio di alcuni e non di altri. E con questi risvolti psicologici e sociali i ciarlatani ci vanno a nozze, poiché l'esercito degli invidiosi e degli incapaci è decisamente vasto. Molto più di quello dei sapienti e dei competenti, accusati di parlare come parlano non perché forti di argomenti solidi, bensì perché pagati da qualcuno".

 

Non me lo dica, il mio primo libro sulle bufale in agricoltura si intitolava appunto "Ki ti paga?", esaurito ormai da molto tempo

"Lo conosco. Prima o poi dovrà farne pure una seconda edizione. Lei pensa forse che nessuno tirerà fuori la presenza di qualche banner di un qualche partner, sopra a questa intervista? Basterà quello per farLa bollare di connivenze con le odiate multinazionali. Manco leggeranno quello che ha scritto e che ci siamo detti. Basterà vedere quel banner per scaricare una carriola di letame su di Lei e sul giornale che ospita i suoi articoli. Di analizzare i contenuti, ovviamente, manco se ne parla...".

 

Ormai sono abituato a tali incursioni demenziali sui social, luoghi ove non v'è contributo scientifico che non venga attaccato da chi di certi temi non vuole proprio sentir parlare.

"La sindrome della partita chiusa. Se una certa comunicazione si è insediata fra i media e sui social, nessun contributo tecnico potrà mai più scalzarla, poiché quello che i Suoi detrattori sono convinti di sapere è divenuto parte di loro stessi e nessuno deve azzardarsi a riscrivere la storia in una chiave che a loro non piace. Ammettere che i Suoi numeri sono solidi implicherebbe dover cambiare opinione. In pratica, cambiare radicalmente se stessi. Uno sforzo immane, mi creda".

 

Diciamo che poi c'è anche chi di sforzi non ne vuole fare perché, lui o lei sì che hanno interessi...

"Ah beh, lì si esce dal campo della contrapposizione di idee e si entra in quello degli interessi di parte reali. Questi ultimi possono infatti stare dalla parte opposta della barricata, cioè proprio sul versante di chi accusa gli altri di avere conflitti di interessi. Lei che si è occupato molto di glifosate, quante ne ha lette di accuse di connivenze con Monsanto ai danni di esperti che documentavano tesi contrarie allo storytelling colpevolista?".

 

Eccome se ne ho viste. Oltre che essere accusato io stesso, ho visto montare veri e proprie dossieraggi a danno di galantuomini dalla preparazione inattaccabile. E indovini un po'? Unico argomento, il conflitto d'interessi...

"Ecco, lo vede? Anche se ovviamente non vale certo il mal comune mezzo gaudio. Alla fine sempre a me buttano in mezzo, anche quando ci vuole una bella faccia tosta a farlo. Solo che per somma sfortuna quelle persone messe alla gogna con sospetti e insinuazioni hanno rotto le uova nel paniere a chi con l'allarmismo e la disinformazione porta a casa donazioni, abbonamenti o, più banalmente, giustifica gli stipendi che prende dalle redazioni dei giornali o delle trasmissioni che dirigono. Questo, per dire, è il più emblematico caso di conflitto d'interessi mascherato, invisibile agli occhi dei più ingenui. Anche loro hanno infatti precisi interessi, come le vendite di giornali o lo share televisivo, ma questa consapevolezza non sfiora mai la mente di chi li ascolta. Loro sì che sono i paladini, gli indagatori delle mille supposte porcherie con le quali i potenti avvelenano o danneggiano i deboli. E chi meglio di una multinazionale può impersonare il cattivo e potente?".

 

Diciamo che anche le multinazionali del proprio ce lo hanno messo, con comportamenti spesso orientati molto al profitto di breve periodo e poco alla salvaguardia della propria immagine. Difficile simpatizzare umanamente per la vecchia Monsanto, con i suoi modi spesso prepotenti e arroganti...

"Ovvio: in tali situazioni ce n'è sempre per l'asino e per chi lo mena. Anche se a onor del vero vi sono anche associazioni ambientaliste che ormai non sono affatto diverse dalle multinazionali per organizzazione e proventi. Sono cioè anche loro delle multinazionali, i cui ricavi, però, non derivano dalla vendita di prodotti e servizi, bensì arrivano dal continuo rastrellamento di denaro dalle tasche di ingenui donatori convinti che in tal modo salveranno api, clima, fiumi, balene e rondini. Ma Lei, mi scusi, non ha mai ricevuto pressioni per ciò che scrive?"

 

Certo che sì, poche volte, ma sì. In tutto tre: la prima volta un impiegato un po' ansioso che voleva forse compiacere la sua dirigenza. Mi scrisse piccato per un articolo che avevo scritto su glifosate. Finì ovviamente nel nulla. Un'altra volta un ex direttore della comunicazione, oggi in pensione, mi chiamò per esprimermi le sue perplessità nel leggere articoli come i miei su un giornale che riceveva budget pubblicitari dalla sua azienda.

"E Lei che gli disse?".

 

E pazienza: gli chiesi se c'era qualcosa di inesatto in ciò che aveva letto. La risposta fu "no, ma...". E lì ci salutammo. L'articolo non venne né toccato, né oscurato.

"E poi?"

 

Infine un'azienda che si lamentò perché avevo messo in luce alcune criticità ambientali del rame. Insomma, di aziende del settore, anche belle grosse, ne ho fatte arrabbiare diverse. Chissà in tal caso chi mi pagava?

"Sì sì, faccia pure lo spiritoso. Ovviamente nessuno avanzerà sospetti che Lei fosse pagato da qualche gigante dell'associazionismo ambientalista. Perché, vede, gli accusatori di conflitti d'interessi altrui sono come i divieti di sosta alternati...".

 

In che senso?

"Nei giorni pari stanno di qua, nei giorni dispari stanno di là... Ma, domanda finale: qualcuno ha mai smontato le argomentazioni Sue o di altri esperti di Sua conoscenza?".

 

Che è? Ora l'intervista la fa Lei a me? E va bene: no, mai. Oltre alle battutine sui banner sopra gli articoli non s'è mai azzardato nessuno ad andare. 

"Lo vede? Avere ragione serve a poco se la comunicazione dominante ha piantato nella testa della gente che Lei e o quelli come Lei hanno torto. Si rassegni: per ogni approfondimento che farete, per ogni documento che redigerete, per ogni dossier scientifico che produrrete, ai ciarlatani basterà citare un qualche supposto conflitto di interessi. E gli utili idioti a cui si rivolgono daranno loro ragione".

 

In effetti è molto frustrante... 

"Già, ma ora mi scusi, sono chiamato in causa per un tizio messo inopinatamente nella posizione di influenzare le decisioni di un'agenzia internazionale che valuta l'eventuale cancerogenicità delle sostanze chimiche, inclusi gli agrofarmaci. Ha presente l'esempio del cugino dell'assessore? Ecco, siamo lì...".

 

Ah... e cosa avrebbe fatto il tizio?

"Ha omesso di comunicare la sua posizione di attivista e consulente per un'associazione anti pesticidi...".

 

Vabbè, ma ora non cadremo mica pure noi nel vizietto di veder subito del losco dappertutto, no?

"Dice? Sarà, ma intanto il tizio non ha fatto a tempo a terminare il suo lavoro per quell'agenzia che è diventato subito consulente di uno studio legale in cerca di class action predatorie. Sa, quei conflitti di interessi che puzzano più di un calzettone da montagna bagnato, ma che di spazio sui media ne trovano sempre zero...".

 

Auguri allora. Ne ha bisogno. E arrivederci, caro Conflitto d'interessi. Mi sa che ci rivedremo presto.