Vale 8 miliardi il nuovo Decreto Energia che il Governo ha approvato per abbattere i costi del caro energia. Dentro interventi soprattutto per le imprese (con un po' di gas nazionale in più che sarà ceduto a prezzi equi perché non importato) e per le famiglie, oltre a un supporto per il settore dell'automotive (con 1 miliardo, da sviluppare un apposito Decreto).
Un Decreto però che sembra già vecchio dopo l'invasione della Russia in Ucraina, e che proprio sul fronte energetico e su quello degli scambi commerciali - in primo piano il peso specifico del made in Italy, soprattutto agroalimentare - potrebbe avere ricadute economiche per il nostro Paese.
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3 miliardi vengono stanziati per bloccare gli oneri di sistema anche nel secondo trimestre, fino al 30 giugno prossimo. L'Arera, l'Autorità per la Regolazione dei Servizi Pubblici di Energia, Acqua e Rifiuti, annullerà le aliquote "applicate alle utenze domestiche e alle utenze non domestiche in bassa tensione, per altri usi, con potenza disponibile fino a 16,5 kW (kilowatt)" e "alle utenze con potenza disponibile pari o superiore a 16,5 kW, anche connesse in media e alta e altissima tensione o illuminazione pubblica e ricarica di veicoli elettrici in luoghi accessibili al pubblico".
L'Iva al 5% per il gas
Anche nel secondo trimestre per le fatture emesse per i consumi stimati o effettivi dei mesi di aprile, maggio e giugno 2022, il consumo del gas per uso civile e industriale avrà l'applicazione di un'aliquota Iva del 5%.
Più forza al bonus sociale
Per il secondo trimestre le agevolazioni sulle tariffe per la fornitura di energia elettrica riconosciute ai clienti domestici economicamente svantaggiati e ai clienti domestici in gravi condizioni di salute sono "rideterminate dall'Arera" per "minimizzare gli incrementi della spesa per la fornitura, previsti per il secondo trimestre 2022, fino a concorrenza dell'importo di 500 milioni di euro".
Grandi industrie energivore
Per le imprese a forte consumo di energia elettrica che hanno subìto un aumento dei costi di oltre il 30% rispetto al 2019 "è riconosciuto un contributo straordinario a parziale compensazione dei maggiori oneri sostenuti, sotto forma di credito di imposta, pari al 20% delle spese sostenute per la componente energetica acquistata ed effettivamente utilizzata nel secondo trimestre 2022".
Alle imprese a forte consumo di gas naturale è "riconosciuto, a parziale compensazione dei maggiori oneri sostenuti per l'acquisto del gas naturale, un contributo straordinario, sotto forma di credito di imposta, pari al 15% della spesa sostenuta per l'acquisto del medesimo gas, consumato nel primo trimestre solare dell'anno 2022, per usi energetici diversi dagli usi termoelettrici".
Le rinnovabili
Il Decreto prevede una semplificazione per gli impianti di natura rinnovabile, prevalentemente per il fotovoltaico. Per esempio quello sui tetti delle aziende agricole, come accaduto proprio in queste ore. Si tratta di facilitare al massimo l'espansione di tecnologie fotovoltaiche, prevalentemente per autoconsumo per impianti sino a 200mila kW. C'è un fondo ad hoc per aiutare le piccole e medie imprese.
Il gas
Parte del Piano è aumentare la produzione di gas, aggiungendone altri 2,2 miliardi di metri cubi a quello attuale e arrivando così a poco più di 5 miliardi di metri cubi di estrazione nazionale affinché sia distribuito a un prezzo equo (proprio perché non di importazione).
I biocarburanti
Il Governo intende investire sui "biocarburanti, soprattutto quelli in purezza. Carburanti assolutamente sostenibili, da filiere sostenibili".
L'energia del Sud
Arriva un Fondo da 290 milioni per il 2022-2023 destinato al credito di imposta per gli investimenti in energie rinnovabili ed impianti di efficienza energetica nelle regioni del Sud (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia).
La crisi in Ucraina
In cima alla lista degli impatti possibili sull'Italia ci sono le materie prime, il "passaggio" del gas e quindi la fornitura d'energia, oltre a ripercussioni su un pezzo consistente dell'agroalimentare italiano. In base ai dati dell'Ice, l'Agenzia per la Promozione all'Estero e l'Internazionalizzazione delle Imprese Italiane, la crisi in Ucraina coinvolge più di trecento aziende. E il valore dell'interscambio commerciale supera i 4 miliardi di euro (nei primi dieci mesi del 2021). Quanto ai rapporti commerciali tra Russia e Italia, il nostro Paese ha un import che arriva a più di 12,5 miliardi.
Gli effetti sull'agroalimentare
Quello che invece conta molto è il tema dell'agroalimentare; cosa che potrebbe avere influenze concrete sulla filiera italiana della pasta, dal momento che (anche come espressione comune) l'Ucraina è considerata il "granaio d'Europa". Il prezzo del grano è in salita continua, anche se grazie alle scorte europee a disposizione non dovrebbero esserci effetti diretti per esempio sul prezzo della pasta.
L'Ucraina ha una Superficie Agricola Utilizzata (Sau) che è due volte quella dell'Italia, per 60 milioni di ettari; il frumento ne occupa 6,5 milioni di ettari, il girasole altri 6,5, e il mais 5,3 ettari. La produzione arriva a 25 milioni di tonnellate per il frumento, 13 milioni per il girasole, e 30 milioni per il mais.
La situazione degli scambi commerciali
Tra il 2013 e il 2021, infatti, le nostre esportazioni verso la Russia hanno accumulato un calo del 29,3%, il peggiore tra i principali Paesi dell'Ue. Tra i prodotti più venduti dalle imprese italiane in Russia, la diminuzione è stata pesantissima per la moda (-43,4%), seguita dai macchinari (-26,7%). A livello territoriale, le conseguenze più gravi in termini di crollo dell'export verso la Russia tra il 2013 e il 2021 si sono registrate in Abruzzo (-75,9%), nelle Marche (-59,6%), in Toscana (-40,4%). Forti cali anche per Lombardia (-30,4%), Veneto (-26,2%) ed Emilia Romagna (-25,2%).
Il rischio è che ora si ripeta un ulteriore stop alle nostre esportazioni in Russia dove, nel 2021, abbiamo venduto prodotti per un valore di 7.696 milioni di euro, con una crescita dell'8,8% rispetto al 2020, ma ancora inferiore del 2,3% rispetto ai livelli pre pandemia del 2019. Tra i prodotti italiani più apprezzati a Mosca, i macchinari e le apparecchiature: nel 2021 ne abbiamo esportati per 2.147 milioni di euro (pari al 27,9% del made in Italy in Russia). Seguono la moda per 1.346 milioni di euro (17,5% del totale del nostro export in Russia), i prodotti chimici per 720 milioni di euro ( 9,4%), i beni alimentari e bevande per 635 milioni di euro (8,3%). I settori italiani con la maggiore concentrazione di micro e piccole imprese (soprattutto alimentari, moda, mobili, legno, metalli) vendono in Russia prodotti per 2.684 milioni di euro, pari al 34,9% delle nostre esportazioni nel Paese. Tra le regioni più esposte con esportazioni sul mercato russo ci sono Emilia Romagna, Marche, Piemonte, Friuli Venezia Giulia e Lombardia.
Gli impatti sul made in Italy
Gli impatti dell'invasione dell'Ucraina da parte della Russia si abbattono sull'agroalimentare italiano - spiega Confagricoltura - con un effetto doppio: da un lato i costi dell'energia in particolare per il gas, dall'altro l'approvvigionamento di mais e la produzione di concimi. Ma "il vero problema è l'approvvigionamento energetico": anche per le aziende della filiera agricola dal momento che vengono colpite due volte, sia sui costi del gas che sulla produzione. Un elemento che nuoce la filiera però è "l'approvvigionamento di gas, non solo come fonte energetica ma anche per la produzione di concimi organici, di cui la nostra agricoltura ha bisogno; quindi un impatto doppio".
In generale - la nuova crisi - potrebbe far allungare l'elenco dei settori di punta del made in Italy colpiti come quello vitivinicolo, secondo in Ue per export verso la Russia, e il comparto della pasta. Con rischi crescenti sul costo del gas e quindi sia sulle bollette energetiche delle aziende sia sui prezzi di importazione, per esempio, dei fertilizzanti (già raddoppiati nell'arco dell'ultimo anno). Altro elemento di preoccupazione - secondo la Coldiretti - è il fatto che il conflitto possa danneggiare le infrastrutture e bloccare le spedizioni dai porti del Mar Nero con un crollo delle disponibilità sui mercati mondiali ed il rischio concreto di carestie e tensioni sociali.