Non solo siamo nel pieno di una pandemia ma anche di un vero e proprio "inverno demografico" senza precedenti da secoli.
I nati nel 2020 sono stati 404mila contro 746mila morti. Il problema si è però manifestato ben prima del Covid-19.
Dal 2014 al 2020 la popolazione italiana è diminuita di 1.088.000 unità – stiamo parlando del totale dei residenti nel Belpaese. Come se non bastasse dal 2020 c'è una novità: il numero degli emigrati sorpassa quello degli immigrati. Il saldo fra la chi arriva in Italia e chi ne parte (emigra) è negativo: -41mila persone. Un fenomeno che non avveniva dagli anni '80. Se dal 1987 anni l'immigrazione sopperiva alla bassa natalità del paese (4,15 milioni di nuovi residenti) oggi questo non avviene più. Anzi, l'Italia è tornata terra di emigrazione.
Il dito ha indicato la luna e lo stolto ha guardato il dito: per troppi anni non si è guardata la demografia del paese.
Bisogna ora riparare, con azioni a favore delle famiglie, come ha suggerito Gian Carlo Blangiardo, presidente della stessa Istat e come pare abbia iniziato a fare il nuovo governo con l'assegno unico e universale per figlio.
In demografia le onde son però lunghe: per fare un cittadino attivo ci vogliono anni.
L'agricoltura è uno dei settori ove l'inverno demografico si sentirà di più. Molte aree agricole del paese sono oggi fortemente spopolate e anche dove vi è una agricoltura florida e potenzialmente redditizia, i problemi per ritrovare la manodopera sono (e saranno sempre più) notevoli. Mentre in molti settori si pensa che la salvezza nei prossimi dieci anni saranno gli "anziani attivi" (la fascia fra i 65 e 74 anni è in ovvia formidabile ascesa), in agricoltura è già da decenni che si conta sulla longevità lavorativa.
L'Italia non può permettersi di perdere la propria agricoltura.
Perlomeno: non per estinzione.