È quanto emerso dal webinar organizzato da Ita.Bio, la piattaforma promossa da Ice e Federbio, e curata da Nomisma, dal titolo "Internazionalizzazione del bio made in Italy: focus Cina".
La Cina, d'altronde, ha potenzialità non di poco conto, dal momento che con un valore di 8 miliardi di euro è il quarto mercato al mondo per consumo di prodotti biologici e una superficie coltivata in modalità "organic" che è cresciuta in otto anni del 188%, portando così gli ettari bio a oltre tre milioni.
La Cina, inoltre, rappresenta l'8% sul totale delle vendite globali di prodotti a marchio bio e, grazie a una rete di 230 ispettori certificati per il controllo "Cofcc" sui prodotti e le filiere (peculiarità tutta cinese quella del controllo dalla terra alla tavola), si fregiano del marchio cinese del bio 4.323 prodotti bio e sono state stampate 7,38 miliardi di etichette sotto l'egida dell'organismo ministeriale Cofcc, pari al 50% di tutte le etichette bio presenti sul mercato cinese.
L'Italia, forte di un appeal dato da un'immagine di qualità, salubrità, artigianalità particolarmente apprezzata da chi ha visitato la penisola, è in pole position per migliorare le performance di vendita su un mercato promettente e attento.
I supermercati sono il principale canale di vendita per i prodotti biologici, che rappresentano oltre l'80% del mercato per il bio. "In alcune grandi città - riferisce Giampaolo Bruno di Ice Cina e Mongolia -, i prodotti biologici sono venduti anche attraverso la vendita diretta con la consegna domicilio e i servizi di ristorazione. È presente anche il canale dei negozi specializzati, che offrono naturalmente una gamma più ampia di prodotti rispetto ai produttori con vendita propria".
"Il 19% dei consumatori cinesi - spiega Evita Gandini di Nomisma - dichiara di aver acquistato almeno una volta nell'ultimo anno alimentari o bevande made in Italy a marchio bio. E la propensione cinese all'acquisto raddoppia tra chi ha avuto una esperienza di visita nel Belpaese. Tra i turisti che negli ultimi anni sono stati in Italia, la quota di bio-users raggiunge il 28%".
L'Italia si colloca al primo posto tra i paesi che producono i prodotti di maggiore qualità secondo il consumatore cinese, sia relativamente ai prodotti alimentari in generale (il 17% indica l'Italia e il Giappone quando pensa ad un paese produttore di eccellenze del food & beverage) che per quelli a marchio bio (18%).
Buone notizie per l'Italia, dunque, che con un valore di 2,61 miliardi di euro di prodotti bio esportati nel 2020, è il secondo paese al mondo dopo gli Stati Uniti (2,98 miliardi, dato 2018).
Certo, chi acquista prodotti biologici ha una capacità di acquisto più elevata, redditi medio alti e, come anticipato, vive nelle grandi città (Pechino, Shanghai, Canton) e non disdegna gli acquisti online (passati dal 3,4% del 2014 all'8,3% del 2019, ma con una quota del 26% che acquista agroalimentare bio made in Italy), cosicché la spesa bio appare ancora indietro rispetto all'Occidente. Basti pensare che la spesa media del consumatore cinese nel segmento biologico è di appena 5,5 euro pro capite, contro i 57 euro dell'Italia, i 125 euro degli Stati Uniti e i 312 euro a testa della Danimarca.
A spingere gli acquisti dei consumatori cinesi sono, di fatto, le stesse cose che accomunano i consumatori nel resto del mondo e cioè la sicurezza alimentare, una ritenuta qualità superiore e una forte attenzione per l'ambiente. Forse anche la reminiscenza dello scandalo che nel 2008 investì i cinesi con il latte contaminato da melamina e destinato all'infanzia ha influito nella scelta dei prodotti. Le prime referenze ricercate nel biologico sono, infatti, i prodotti lattiero caseari (compreso il latte per l'infanzia), il baby food, ma anche carne e derivati assieme a pasta e prodotti da forno. Olio e vino, prodotti simbolo del made in Italy, nel 2019-2020 hanno registrato una battuta d'arresto nell'export e attraversano una fase di fragilità, si spera temporanea, tenuto conto che il mercato cinese ha buone prospettive di crescita.