Il progetto - presentato a Roma nel corso di un convegno dedicato al rafforzamento dell'economia circolare nel settore agroalimentare per migliorare la sostenibilità della filiera mediterranea - è stato finanziato con 2,1 milioni di euro dalla Commissione europea; e racconta anche di tecnologie, soluzioni e oltre sessanta buone pratiche per il settore (disponibili sul sito dedicato). In più si è pensato di costruire una vera e propria agenda sostenibile per le aziende.
Contemporaneamente, ricercatori, imprenditori ed esperti hanno associato al metodo una serie di indicatori socio-economici (su diritti umani, condizioni di lavoro, salute e sicurezza, patrimonio culturale, governance, impatti sul territorio); l'obiettivo era la definizione per ogni azienda di un business plan sostenibile.
"Una vera e propria strategia di eco-innovazione e di marketing - spiega Caterina Rinaldi, ricercatrice dell'Enea e coordinatrice del progetto - in grado di individuare aree di intervento, soluzioni tecnologiche e gestionali per ridurre gli impatti sia ambientali che socio-economici di prodotto e di filiera, con un'attenzione al territorio e agli strumenti di politica economica disponibili".
Per il presidente di Federalimentare Ivano Vacondio "la partecipazione al progetto è stata decisamente positiva su diversi fronti; la federazione, ancora una volta, ha dimostrato come il settore alimentare sia attento e sensibile ai temi della sostenibilità. Tuttavia permangono aree da sviluppare ulteriormente per consentire un uso credibile e di successo. Solo per citarne alcune: è necessario sviluppare ulteriormente le regole di categoria di prodotto, aumentare la rappresentatività delle banche dati e rendere l'impronta ambientale fattibile anche per le piccole e medie imprese".
Le iniziative nei sei paesi hanno riguardato in particolare il vino e il formaggio in Italia, l'olio d'oliva e l'acqua in bottiglia in Francia, i mangimi in Portogallo, i salumi e l'olio d'oliva in Spagna, il formaggio in Slovenia e Grecia; su queste filiere è stata testata una metodologia comune per valutare l'impronta ambientale dei prodotti nel loro ciclo di vita, per individuare le maggiori criticità ma anche per promuovere la produzione di prodotti a basso impatto nel mercato europeo, oltre che la competitività delle aziende.
"Il metodo e gli strumenti utilizzati - conclude Rinaldi - hanno dimostrato di essere efficaci per aziende e filiere e potrebbero servire a rispondere adeguatamente ai bisogni dei consumatori, soprattutto se associati ad uno schema di certificazione, come ad esempio il marchio nazionale 'made green in Italy' del ministero dell'Ambiente".