Queste sono le conclusioni del convegno 'Il futuro enologico del Lazio' che si è tenuto nei giorni scorsi a Viterbo presso la Sala Regia di Palazzo dei Priori.
Un convegno nato su iniziativa del dipartimento per l'Innovazione nei sistemi biologici, alimentari e forestali (Dibaf) dell'Università della Tuscia, a cui ha partecipato anche Arsial, con l'intento di avviare una prima riflessione ad ampio raggio sullo sviluppo enologico della regione, mettendo a confronto alcune delle realtà più significative del nostro territorio.
Si è così ragionato, nell'arco della giornata di studio, di tipicità, terroir, ampelografia, azioni di promozione e nuove tendenze di mercato.
Così i quattro pilastri a cui è stato fatto cenno prima - sostenibilità, vitigni autoctoni, marketing ed enoturismo - sono emersi come basi utili a promuovere lo sviluppo di un comparto che nel Lazio è strategico e si intreccia, in maniera più o meno rilevante a seconda degli areali, a segmenti significativi di economia locale.
Una realtà, quella del vino, che contribuisce alla valorizzazione del settore primario nel suo complesso, stimolando l'interesse per la fruizione di interi ambiti territoriali ove il richiamo del vino e della produzione vitivinicola costituisce sempre di più una componente importante anche nell'attrazione turistica.
Nell'intervento tenuto nel corso della mattinata, il presidente di Arsial Antonio Rosati ha sottolineato l'importanza della viticoltura come veicolo promozionale, fattore di attrazione e motore economico per l'intero territorio regionale.
Per Rosati il vino è una locomotiva del sistema Lazio e ci aiuta nel raccontare la bellezza dei territori di una regione che nel mondo è conosciuta come la regione di Roma, una cosa che evoca emozioni e fascino.
E con l'economia della bellezza, a cui si associa come parte integrante il turismo del vino, per il presidente di Arsial si può dare una risposta alle incertezze e ai timori per il futuro dei giovani, dal momento che l'obiettivo principale è sempre quello di creare ricchezza e lavoro.
La rappresentazione del 'vigneto Lazio' emersa a Viterbo è quella di un comparto che, malgrado alcune criticità importanti, si conferma tendenzialmente orientato alla crescita. Una meta a cui concorrere attraverso un impegno più deciso da parte delle istituzioni, a difesa delle superfici investite a vigneto e a sostegno delle misure di valorizzazione delle tipicità tramite le Doc e le Igt.
Sempre Rosati ha riassunto alcune proposte, venute fuori nel convegno, che dovranno essere valutate: mantenere il livello di superficie vitivinicola, lanciare con forza l'idea di una Dop Roma dal grande potenziale di mercato e promuovere il territorio nel suo complesso, unendo enogastronomia, turismo e cultura.
Secondo i dati diffusi durante il convegno, lo stato della viticoltura laziale appare comunque confortante, soprattutto in rapporto alle effettive potenzialità del territorio, che ad oggi può contare su 3 Docg, 27 Doc e 6 Igt.
A questo vanno sommati i 45 vitigni autoctoni iscritti al Registro regionale della biodiversità, 24 dei quali già presenti nel Registro nazionale delle varietà di vite ammesse al commercio e 10 in procinto di essere inseriti, una volta terminato l'iter istruttorio.
Nonostante il Lazio, nel contesto vitivinicolo ed enologico nazionale, non sia tra le regioni più significative in termini di quantità prodotte, è indubbio che l'enorme sforzo compiuto nell'ultimo ventennio da aziende produttrici ed istituzioni, a fronte di una drastica riduzione delle superfici, abbia condotto ad una notevole qualificazione delle produzioni.
Produzioni che sebbene non imponenti come in altre regioni italiane - circa 550mila ettolitri in media all'anno - possono contare su investimenti di tutto rispetto, indirizzati ai segmenti più innovativi rappresentati in particolare dal biologico e dagli autoctoni.
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Fonte: Arsial