Per questo la National farmers union (Nfu), il sindacato di rappresentanza degli imprenditori agricoli del Regno Unito, ha elaborato diversi documenti per orientare il governo di Sua Maestà a varare un piano strategico di sostegno dell'agricoltura dal punto di vista interno e sul fronte del commercio internazionale.
Alcuni agricoltori stanno rivalutando le posizioni storiche che hanno accompagnato il settore nel corso dei decenni e cioè una visione dell'agricoltura intimamente connessa all'ambiente, al paesaggio, alla cura delle risorse idriche, al rilancio dell'agroalimentare e del turismo. Quello che sembra venuto meno, però, è l'atteggiamento iper-liberista e allergico agli aiuti pubblici. Anzi, è piuttosto marcata la linea che vede nell'agricoltura un bene pubblico (esattamente come sostiene l'Ue) e che, pertanto, deve essere sostenuta.
Il mondo agricolo legge con scetticismo i primi documenti tecnici pubblicati dal department for Exiting the European Union, che sembrano sottovalutare i contraccolpi della Brexit e limitano gli allarmi all'agricoltura biologica che, senza un accordo fra Londra e Bruxelles, si ritroverebbe con prodotti senza più i requisiti autorizzativi per esportare i prodotti "organic" nell'Ue.
Secondo la Nfu, al contrario, arrivare al "No deal", l'uscita cioè dall'Unione europea della Gran Bretagna senza alcun accordo, provocherebbe dei fermi alla dogana di tutti i prodotti agricoli soggetti a riconoscimenti reciproci e assoggetterebbe i commerci alle regole del Wto. Un'ipotesi che di fatto comporterebbe un taglio del 62% di tutti gli scambi agroalimentari fra Ue e Regno Unito, secondo le elaborazioni del Parlamento europeo. A farne le spese non sarebbe solamente l'agroalimentare britannico, ovviamente, un comparto che impiega oltre 3,9 milioni di persone e genera un volume d'affari di 108 miliardi di sterline in valore per l'economia nazionale, collocandosi al primo posto del manifatturiero. Anche le produzioni comunitarie risentirebbero di un contraccolpo negativo, con perdite anche fino al 90% per riso, carni, zucchero e prodotti lattiero caseari. Sul piano geografico, le ripercussioni maggiori le subirebbero Irlanda, Paesi Bassi e Francia.
"Se il governo assicura un accordo commerciale libero con l'Ue - afferma la Nfu - garantisce che gli agricoltori del Regno Unito non siano svantaggiati da futuri accordi commerciali al di fuori dell'Ue e assicura il soddisfacimento del fabbisogno di manodopera dell'industria; in caso contrario le misure per gestire la volatilità, come i pagamenti diretti, rimarranno vitali per aiutare le aziende agricole a competere in un mondo incerto".
In un documento che la Nfu ha definito "Visioni per il futuro dell'agricoltura" e che abbraccia commercio, lavoro, politica agricola e regolamentazione, nell'interpretazione della politica agricola interna si rimarca il ruolo di un settore strategico. Per la Nfu, infatti, "l'agricoltura britannica offre una fornitura di cibo interna sicura ed economica, di cui si fidano gli inglesi. Senza questa produzione interna mineremmo la nostra sicurezza alimentare, facendo affidamento sulle importazioni prodotte secondo diversi standard ambientali e di benessere e con sistemi di sicurezza alimentare sui quali non abbiamo alcun controllo". Inoltre, non va trascurato il fatto che "gli agricoltori sono responsabili della manutenzione di oltre il 70% del territorio del Regno Unito" e che le comunità rurali forniscono posti di lavoro e stimolano "la crescita rurale sia nella produzione alimentare che in settori diversificati come l'energia rinnovabile e il turismo".
Se la Brexit condurrà a un risultato che mina l'agricoltura domestica, ribadisce il sindacato degli agricoltori, "non saremo più in grado di sostenere le loro comunità locali e l'intera economia, non saranno in grado di gestire e migliorare l'ambiente o di produrre forniture adeguate di cibo britannico di cui il pubblico gode e si fida".
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