La competitività del dollaro sull'euro e la politica fortemente orientata all'export degli Stati Uniti potrebbero migliorare il bilancio commerciale della superpotenza a stelle e strisce e quietare le preoccupazioni degli agricoltori, alle prese con una riduzione del reddito agricolo e per nulla rassicurati dall'atteggiamento della Casa Bianca sui dazi.

La barriera annunciata dal presidente Donald Trump è ora oggetto di un delicato negoziato con la Cina. Non si sa, però, quale piega prenderà il dialogo - ad oggi teso - tra Washington e Pechino.
Nessuno vuole cedere per primo, per affermare di fronte al mondo il proprio ruolo di leadership nello scacchiere diplomatico ed economico come prima economia mondiale e come realtà emergente e in forte accelerazione.

Almeno nel primo trimestre dell'anno, a ben vedere, le esportazioni Usa in Cina - almeno nel lattiero caseario, in base alle elaborazioni dei dati di Clal.it - sono state positive, con ritmi di crescita del 16,5% in quantità e del 3,9% a valore rispetto allo stesso periodo del 2017. Non solo. Il Consiglio degli esportatori di prodotti lattiero caseari degli Stati Uniti punta a raggiungere l'obiettivo di una ulteriore crescita, attraverso un progetto ribattezzato "The next 5%", da ottenersi attraverso politiche internazionali dinamiche e sostenute in chiave aggressiva.

Una buona notizia arriva dall'Argentina. Il paese sudamericano, terzo produttore mondiale di soia dopo gli Usa e il Brasile, ha prenotato agli Stati Uniti la più grande quantità dal 1997, così da compensare una carenza di prodotto prevista per la fine di quest'anno a causa della siccità, come ha riportato anche il Financial Times. In soli due giorni i trader Usa hanno venduto in Argentina 240mila tonnellate di soia per la consegna nell'anno commerciale 2018-19, che inizia a settembre.

Per gli analisti si tratta di un fatto sorprendente e significativo, che non mancherà di avere riflessi sui prezzi della soia già dalle prossime settimane.

Riuscirà la richiesta proveniente dal Sudamerica a compensare il calo dell'export di soia made in Usa in Cina, previsto in diminuzione di 66mila tonnellate per i 2018/2019 dalle 193mila tonnellate? Pronto a scalzare la soia statunitense c'è già il Brasile, che nell'arco di otto anni ha incrementato l'export della proteoleaginosa del 300%.
Ma soprattutto, basterà questa fiammata verso l'Argentina per riaccendere la fiducia dei farmer americani verso Trump, dal momento che gli esponenti della categoria rurale erano stati fra i suoi più accesi sostenitori?

Il report redatto dal quotidiano britannico The Economist traccia un bilancio tutt'altro che roseo per il mondo agricolo e parla di "tempi difficili", con il "reddito agricolo dimezzato" e passato "da un picco di 124 miliardi di dollari del 2013 a una previsione di 60 miliardi di dollari per quest'anno".

I suinicoltori americani vedono nero all'orizzonte, perché il braccio di ferro con la Cina e le barriere daziarie rischiano seriamente di compromettere quello che, per i numeri, rappresenta il terzo mercato più grande per i suini allevati negli Usa e il più grande mercato per il cosiddetto quinto quarto (zampe di maiale, fegato e cuore), che la maggior parte degli americani - esattamente come gli europei - non mangia.
"L'anno scorso gli Stati Uniti hanno venduto in Cina 496mila tonnellate di carne suina per un valore di 1,1 miliardi di dollari, ovvero il 20% delle esportazioni totali di carne suina" ha rilevato l'Economist.

Intanto, un recente sondaggio di AgriPulse, un sito web particolarmente seguito, ha rivelato che se nel 2016 il presidente Trump era sostenuto dal 67% dei farmer, oggi lo farebbe il 45%. E si avvicinano, improrogabili, le elezioni di medio termine del mandato alla Casa Bianca.