Si chiama Orange Fiber, ha sede a Catania e un impianto pilota a Caltagirone ed è un’impresa che punta a riutilizzare il pastazzo di agrumi, sottoprodotto dell’industria agroalimentare che produce succhi di frutta, per farne fibra da utilizzare nel settore della moda. Si tratta di un’azienda giovane tutta al femminile che è stata premiata in Sicilia con l’Oscar Green Coldiretti ed è candidata al premio nazionale nella categoria “Fare rete”.
 
“Ho visto un tessuto sostenibile dove altri vedevano solo un’arancia”. Adriana Santanocito, di Catania, si presenta così quando spiega cos’è l’azienda che ha creato con Enrica Arena.
L’idea vincente: una ampia tipologia di tessuti possono essere ottenuti attraverso la lavorazione degli scarti di agrumi, incrociando la domanda crescente di nuovi materiali ecocompatibili che viene dal settore moda. Un dato su tutti: in Italia ogni anno l’industria di trasformazione agrumicola produce oltre 700.000 tonnellate di sottoprodotto da smaltire, con costi elevati per l’industria del succo di agrumi e per l’ambiente. Grazie al processo di produzione ideato dall’azienda catanese si può trasformare questo sottoprodotto in un tessuto di qualità per l’industria della moda, un modello che l’azienda vuole replicare anche in altri paesi.

In futuro, l’eventuale sviluppo ed utilizzo su larga scala di questa tecnologia potrebbe avere ricadute positive sul prezzo all’origine delle arance, visto che l’industria riuscirebbe ad utilizzare per ben due volte lo stesso prodotto.
AgroNotizie ha sentito Enrica Arena, che per Orange Fiber cura la comunicazione.
 
Qual è il vostro bacino di approvvigionamento per le bucce d'arancia?
"Attualmente la nostra materia prima - il pastazzo d’agrumi dal quale estraiamo cellulosa atta alla filatura - proviene da un’unica industria di spremitura di agrumi siciliana con sede a Caltagirone (Catania) - con la quale abbiamo stretto un accordo di collaborazione e all’interno della quale abbiamo installato il nostro primo impianto pilota, inaugurato a dicembre 2015 e realizzato anche grazie ai fondi del bando Smart & Start di Invitalia".
 
Avete un obiettivo realistico di riuso dello scarto in termini quantitativi per i prossimi anni?
"Solo in Italia sono oltre 700.000 le tonnellate di sottoprodotto derivanti ogni anno dall’industria di trasformazione agrumicola, un rifiuto che rappresenta un grosso problema per l’intera filiera agrumicola a causa dei suoi elevati costi di smaltimento e del suo impatto ambientale. In seguito alla collaborazione con il Politecnico di Milano, nel 2012 siamo riuscite a sviluppare e brevettare un innovativo processo che ci consente di recuperare questo sottoprodotto e utilizzarlo per creare un tessuto sostenibile di altissima qualità per il comparto moda.
Al momento non possiamo sbilanciarci circa le quantità di sottoprodotto che saremo effettivamente in grado di processare nei prossimi anni perché il risultato dipenderà dalla risposta del mercato e dal numero e dimensionamento degli impianti che decideremo di aprire. Ad ogni modo, l’Europa produce il 4% dei succhi d’agrumi al mondo, dunque le possibilità di replicare il nostro processo - e quindi le quantità di scarto riutilizzabili - appaiono decisamente elevate".

 
Esiste la possibilità di riusare scarti provenienti direttamente dalle aziende agricole?
"Non escludiamo questa possibilità, ma in questo momento stiamo concentrando i nostri sforzi sull’ottimizzazione del processo di estrazione della cellulosa dal sottoprodotto agrumicolo. Questo ci consentirà di contribuire alla risoluzione del problema dello smaltimento del pastazzo d’agrumi: tutto ciò che resta al termine della produzione industriale di succo d’agrumi".

Al momento avete una sola unità produttiva sperimentale. Quali le prospettive per il futuro?
"Il nostro impianto pilota ha sede a Caltagirone per essere più vicino ai luoghi di produzione delle materie prime e per cercare di portare valore alla nostra terra, la Sicilia. L’impianto rappresenta un passo fondamentale per l’ottimizzazione del nostro processo di produzione e il punto di partenza per lo scale up industriale del nostro progetto. Attualmente stiamo lavorando all’ottimizzazione del processo di produzione industriale del nostro filato e ci prepariamo all’importante sfida del lancio del prodotto sul mercato entro il 2016. Una volta avviata la fase commerciale del progetto, ci auguriamo di poter leggere cifre a 6 zeri".
 
Grazie alla tecnologia che avete messo a punto, che tipologia di materia prima può essere ottenuta per la filiera tessile?
"Orange Fiber è il primo tessuto creato a partire dal sottoprodotto dell’industria di trasformazione agrumicola. I primi prototipi di tessuti realizzati - presentati nel settembre 2014 in occasione della Vogue Fashion Night Out - sono stati un raso bianco e un pizzo nero e bianco ottenuti tessendo Orange Fiber con della seta comasca.
Grazie a produzioni successive abbiamo sviluppato un twill 100% Orange Fiber, impalpabile e leggero, simile alla viscosa.
Tutti i nostri tessuti hanno un aspetto serico, del tutto simile alla seta, e per le produzioni future abbiamo messo a punto una serie di processi che ci consentono di produrre varie tipologie di tessuti, dai più strutturati ai più delicati, in modo da soddisfare tutte le esigenze di creazione dei brand di moda. I nostri tessuti possono inoltre essere stampati e colorati come i tessuti tradizionali.
La nostra soluzione, estrarre una materia prima da un sottoprodotto industriale non rivale dell’alimentazione offre la possibilità di soddisfare la crescente richiesta di cellulosa per uso tessile - dovuta alla volatilità dei prezzi del cotone e del petrolio - preservando al contempo le risorse naturali, senza produrre scarti industriali.
La prima parte della trasformazione avviene in Sicilia, dove la cellulosa atta alla filatura viene estratta, per essere poi mandata in Spagna, dove un nostro partner la trasforma in filato, e in ultimo questo rientra in Italia, presso una tessitura comasca, dove viene trasformato nel nostro prodotto: un tessuto sostenibile di altissima qualità.
Paragonato alle fibre cellulosiche artificiali esistenti, sia quelle derivate da legno che quelle da canapa e bamboo, Orange Fiber non sfrutta le risorse naturali, ma riutilizza un sottoprodotto, riducendo così lo sfruttamento di terra e acqua e l’uso di inquinanti. Negli ultimi anni la moda ha vissuto infatti profonde trasformazioni, sia per quanto riguarda i processi produttivi che per la scelta dei materiali, prendendo sempre di più consapevolezza del suo impatto e del bisogno di ripensare i modelli per accontentare i consumatori e il mercato, sempre più attenti alla qualità e alla tutela della salute e dell’ambiente".

 
Quali sono le prospettive di mercato del prodotto? 
"Nel 2013 abbiamo brevettato il processo e nel 2014 abbiamo realizzato i primi prototipi di tessuto dagli agrumi, e sin dalla nascita dell’idea abbiamo lavorato sulla riconoscibilità del brand Orange Fiber. Abbiamo registrato il marchio e testato il mercato dell’industria tessile individuando partner strategici all’interno della filiera.
I prossimi passi da compiere sono lo scale up industriale del processo di produzione e la prima commercializzazione del tessuto entro il 2016 in co-branding con un’azienda di moda che condivida i valori di sostenibilità, qualità e innovazione alla base del nostro marchio.
Secondo i nostri piani, entro il 2020 solo grazie al nostro primo impianto di produzione, saremo in grado di penetrare il mercato per poco più del 5% del nostro target iniziale, e cioè 400.000 metri dei 7.000.000 metri di tessuto sostenibile che si sono impegnati ad acquistare i 50 Top brand che nel 2014 hanno aderito alla campagna Detox di Greenpeace.
In contemporanea alla validazione del nostro prodotto sul mercato, ci occuperemo di completare il processo di ricerca e sviluppo, ottimizzando i costi di produzione e iniziando a replicare il modello in Italia e all’estero.
Con Orange Fiber vogliamo diventare il first mover italiano nel segmento dei tessuti sostenibili attraverso una produzione “green” di tessili cellulosici da fonti rinnovabili e creare un marchio tessile altamente riconoscibile e differenziato dagli altri per l’impegno nella tutela dell’ambiente e la trasparenza dell’intera catena di produzione".