“Il settore si è dimostrato compatto nel rivendicare controlli omogenei dei processi di invecchiamento delle acquaviti”, segnala Marco Bertagni, direttore di Widen. “Le distillerie nostre associate hanno ragione di credere che Ie procedure di invecchiamento non siano simili – come invece dovrebbero a livello comunitario e a volte anche all’interno dello stesso Paese – e che nemmeno i controlli lo siano. Questa frammentazione può portare a comportamenti 'border line' da parte di operatori senza scrupoli, a detrimento dell’immagine del settore e dei prezzi delle acquaviti”. “E’ necessario – prosegue Bertagni – che sia garantita al settore la possibilità di continuare a destinare i distillati, le acquaviti o l’alcol da vino e da sottoprodotti all’uso che ogni azienda preferisce, sia esso industriale o fuel (destinazione soggetta ad aiuti comunitari) o umano; tutto questo, ca va sans dire, nel totale rispetto dei parametri organolettici e delle attuali descrizioni dei prodotti a livello comunitario e di Stati membri”. La definizione di “Acquavite di origine vinicola” introdotta dalla legislazione portoghese per la produzione del vino Porto, oltre ad essere chiara (si tratta di acquaviti dalla distillazione di vino, fecce e vinaccia), è legittima (i produttori di Porto sono liberi di produrre il proprio liquore con gli ingredienti che credono), è stata notificata alla Commissione europea, ha un precedente nel Regolamento Ue 606/2009 e in ambito Oiv, ma soprattutto – fa notare Bertagni – non c’è nessuna relazione di causa-effetto tra l’introduzione di questa categoria di acquavite e il diffondersi di comportamenti fraudolenti. In altri termini, se ci sono operatori che producono acquavite vitivinicola o alcol da melasso o da cereali e le spacciano per acquaviti di vino o brandy non hanno bisogno di aggrapparsi alla definizione di “aguardente de origem vinicula” per delinquere, lo fanno sotto la propria responsabilità, rischiando, se i controlli fossero adeguati, di incorrere in pesantissime sanzioni”.
Le definizioni di brandy, acquavite di vino, acquavite di feccia, distillato di origine vinicola e acquavite di origine vitivinicola sono dunque abbastanza chiare; i lavori assembleari si sono concentrati sulla necessità di applicare in maniera omogenea il Regolamento 110-2008, soprattutto con riguardo al rispetto delle procedure di invecchiamento e controllo e alla possibilità di produrre acquavite di feccia in ogni Paese dell’Unione europea. L’altro tema caldo è stato quello dei Brandy: "o si bloccano alle frontiere europee i Brandy non prodotti in conformità con quanto prevede il 100-2008 o si decide, in seconda battuta, – come avviene in molti Paesi a vocazione vinicola – di utilizzare anche acquaviti vitivinicole per la produzione di Brandy. Su quest’ultimo tema però – conclude Bertagni – la discussione è ancora aperta: di sicuro c’è unanimità su un principio tra le distillerie europee: bisogna poter continuare a lavorare e a sviluppare il proprio business in uno scenario profondamente mutato”.
A proposito di scenari, l’Assemblea ha anche affrontato il tema dell’esclusione delle distillerie vinicole dalla possibilità di accedere a finanziamenti per investimenti in innovazione, una decisione penalizzante per il settore, incoerente e poco trasparente da parte dell’Unione europea che aveva ufficialmente auspicato questi investimenti da parte di un settore che, nel 2008, aveva visto rivoluzionati i propri pluri-decennali assetti organizzativo-produttivi.
Le distillerie aderenti a Widen hanno infine elaborato i dati di produzione di alcol e acquaviti vitivinicole nel 2014 (a livello comunitario la produzione si è assestata intorno al milione di ettanidri, di cui 50% a usi industriali e il 50% ad uso bocca), esaminato nel dettaglio i flussi di import-export per i tre maggiori Paesi vinicoli (Italia, Spagna e Francia) e tutta una serie di aspetti tecnici, tra cui la tracciabilità dell’alcol vitivinicolo destinato a biofuel e il regolamento Reach con riguardo a tartrato di calcio ed etanolo.
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Fonte: Bertagni Consulting srl